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Benessere

Depressione, il ruolo nascosto degli zuccheri nel cervello

Una nuova ricerca individua nel metabolismo degli zuccheri una possibile radice biologica della depressione, aprendo la strada a cure più mirate.

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Depressione

    La depressione, che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità colpisce oltre 280 milioni di persone nel mondo, potrebbe avere origini più fisiche di quanto si pensasse finora. Un nuovo studio pubblicato su Science Advances dal Center for Cognition and Sociality dell’Istituto coreano di Scienze di base ha infatti individuato un legame diretto tra il metabolismo degli zuccheri nel cervello e l’insorgenza dei sintomi depressivi.

    Il team guidato dal neuroscienziato C. Justin Lee ha scoperto che minuscole catene di zuccheri, chiamate O-glicani, sono essenziali per mantenere stabili le connessioni tra i neuroni. Quando questo delicato equilibrio viene alterato – ad esempio per effetto dello stress cronico – le cellule della corteccia prefrontale, l’area che regola emozioni e processi decisionali, perdono comunicazione e stabilità. Il risultato può tradursi in apatia, ansia e perdita di interesse.

    «Lo stress prolungato modifica la composizione delle catene zuccherine legate alle proteine cerebrali, compromettendo la comunicazione tra neuroni e innescando la depressione», spiega Lee.

    Dallo stress alla sinapsi: quando il cervello “si scollega”

    Per testare l’ipotesi, i ricercatori hanno sottoposto topi da laboratorio a tre settimane di stress controllato – isolamento, rumori e stimoli imprevedibili. Gli animali hanno manifestato comportamenti simili alla depressione umana, come ridotta socialità e perdita di peso.

    Il passo successivo è stato quello decisivo: disattivando artificialmente l’enzima St3gal1, responsabile del corretto posizionamento degli O-glicani, i topi hanno mostrato sintomi depressivi anche senza esposizione a stress. Analizzando il tessuto cerebrale, è emerso che la proteina NRXN2, fondamentale per la trasmissione dei segnali nervosi, perde stabilità quando le sue catene di zuccheri vengono alterate.

    Ketamina e zuccheri: un effetto biologico inatteso

    La scoperta assume un valore ancora più interessante considerando che la ketamina, già utilizzata per la depressione resistente, sembra agire proprio su questo meccanismo. Nei test condotti, il farmaco ha ripristinato i livelli di O-glicani e migliorato il comportamento degli animali, suggerendo che il suo effetto antidepressivo non dipenderebbe solo dai neurotrasmettitori ma anche dal riequilibrio metabolico del cervello.

    Una nuova frontiera terapeutica

    Oggi la maggior parte degli antidepressivi agisce sulla serotonina o sulla noradrenalina, ma non sempre risulta efficace. Intervenire sul metabolismo degli zuccheri cerebrali apre una prospettiva completamente nuova: diagnosi precoci basate su biomarcatori molecolari e terapie personalizzate capaci di agire sul metabolismo neuronale.

    Secondo la coautrice Boyoung Lee, «le alterazioni nei processi glicidici cerebrali sono direttamente collegate all’insorgere della depressione. Comprenderne il funzionamento potrebbe rivoluzionare la prevenzione e la cura dei disturbi dell’umore».

    Differenze tra uomini e donne

    Infine, lo studio ha notato differenze significative tra i sessi: nei modelli maschili il cervello appare più vulnerabile agli squilibri nel metabolismo degli zuccheri, pur mostrando sintomi simili a quelli femminili. Un dato che in futuro potrebbe portare a protocolli terapeutici diversificati per genere.

    In sintesi, la depressione potrebbe non essere solo una questione di neurochimica, ma anche di “energia cellulare”. E capire come il cervello utilizza – o spreca – i suoi zuccheri potrebbe rappresentare la chiave per trattamenti più efficaci e personalizzati.

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      Benessere

      I cibi amici della memoria: cosa mangiare per mantenere il cervello giovane

      Mangiare bene non serve solo a mantenere il corpo in salute, ma anche a proteggere il cervello dal decadimento cognitivo. Ecco gli alimenti che gli esperti consigliano per stimolare la memoria e favorire la concentrazione.

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      memoria

        Un cervello che si nutre bene

        Il nostro corpo ha bisogno di nutrienti per funzionare al meglio, e il cervello non fa eccezione. Alcuni alimenti possono aiutare a migliorare memoria e concentrazione, oltre a ridurre il rischio di malattie neurodegenerative. La dieta mediterranea, ricca di pesce, frutta, verdura, olio d’oliva e legumi, è considerata una delle migliori per la salute cerebrale.

        Il pesce e gli omega-3

        Quando i genitori dicevano “mangia pesce, così ti ricordi le cose”, non avevano tutti i torti. Non è il fosforo, come si credeva un tempo, ma gli acidi grassi omega-3 a rendere il pesce un alleato della memoria. Questi nutrienti sono fondamentali per il buon funzionamento del cervello: favoriscono la concentrazione e riducono il rischio di Alzheimer e altre malattie neurodegenerative. I pesci più ricchi di omega-3 sono salmone, tonno, sgombro, sardine, aringhe e trote.

        Frutta e verdura: vitamine e antiossidanti

        Frutta e verdura restano sempre indispensabili, ma alcune varietà sono particolarmente utili al cervello. I frutti rossi, come mirtilli e fragole, sono ricchi di antiossidanti che proteggono le cellule nervose. Le arance apportano vitamina C, utile al sistema immunitario e alla circolazione. Tra le verdure, invece, broccoli e spinaci migliorano l’apporto di ferro e aiutano a combattere stanchezza e cali di attenzione.

        Anche la frutta secca gioca un ruolo importante: noci, mandorle e nocciole contengono acidi grassi sani, vitamina E e antiossidanti che proteggono le cellule cerebrali e aiutano a mantenere la memoria attiva.

        Olio extravergine di oliva: solo a crudo

        L’olio extravergine di oliva non è solo un condimento. Usato a crudo, aiuta la circolazione sanguigna del cervello e riduce l’infiammazione dei neuroni. È uno dei pilastri della dieta mediterranea e contribuisce al benessere generale, ma va consumato senza cottura per mantenere intatte le sue proprietà.

        I legumi: energia per la mente

        Ceci, lenticchie, fagioli, piselli e fave sono alimenti semplici ma preziosi. Contengono acido folico, fibre e proteine che favoriscono il funzionamento del cervello e aiutano la memoria. Inserirli più volte alla settimana nella dieta è una scelta salutare ed economica.

        Cioccolato fondente: un piacere che fa bene

        Non tutti i dolci sono nemici della salute: il cioccolato fondente, con almeno l’85% di cacao, è un alleato della memoria. Contiene flavonoidi, sostanze antiossidanti che migliorano la circolazione e hanno un effetto positivo sul cervello. La quantità consigliata è di 20-30 grammi al giorno, da gustare senza sensi di colpa.

        La memoria non dipende solo dallo studio o dall’esercizio mentale, ma anche da ciò che portiamo in tavola. Scegliere alimenti ricchi di nutrienti come pesce, verdura, frutta, olio d’oliva, legumi e cioccolato fondente può fare la differenza. Non si tratta di diete drastiche o complicate, ma di piccoli gesti quotidiani che aiutano a mantenere il cervello giovane e pronto ad affrontare le sfide di ogni giorno.

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          Benessere

          Formaggi e intolleranza al lattosio: cosa si può davvero mangiare

          La stagionatura riduce naturalmente il lattosio, rendendo molti formaggi adatti a chi ha difficoltà a digerirlo. Ecco quali scegliere, cosa evitare e perché.

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          Formaggi e intolleranza al lattosio

            Per molte persone scoprire di essere intolleranti al lattosio significa eliminare latte e derivati in blocco. Ma non sempre è necessario. L’intolleranza, dovuta a una ridotta produzione dell’enzima lattasi, provoca disturbi gastrointestinali solo quando la quantità di lattosio supera la soglia tollerata dal singolo individuo. E la buona notizia è che alcuni formaggi, grazie ai processi di produzione e stagionatura, contengono quantità molto basse di zucchero del latte, spesso inferiori allo 0,1%.

            Perché alcuni formaggi sono naturalmente “lactose free”

            Durante la trasformazione del latte in formaggio, i batteri lattici presenti negli starter consumano il lattosio come fonte di energia, trasformandolo in acido lattico. Più lunga è la stagionatura, più completo è questo processo. È per questo che i formaggi a pasta dura e molto stagionati sono generalmente sicuri per la maggior parte degli intolleranti.

            Non si tratta di prodotti artificialmente modificati: è il metabolismo naturale dei microrganismi a far scomparire quasi del tutto il lattosio.

            I formaggi che si possono mangiare senza problemi

            Gli enti di ricerca alimentare e le associazioni internazionali dedicate alle intolleranze concordano: molti formaggi stagionati contengono tracce trascurabili di lattosio. Tra i più indicati:

            • Parmigiano Reggiano: dopo 12 mesi di stagionatura il lattosio è assente; i consorzi garantiscono ufficialmente che il prodotto è naturalmente privo di lattosio già dal nono mese.
            • Grana Padano: anche qui il lattosio viene completamente metabolizzato dai batteri durante la maturazione; il formaggio stagionato oltre 12 mesi è considerato sicuro.
            • Pecorino stagionato: le versioni oltre i 6-8 mesi hanno contenuti di lattosio praticamente nulli.
            • Gorgonzola piccante e altri erborinati maturi: la lunga fermentazione riduce drasticamente il lattosio.
            • Provolone stagionato: più è vecchio, meno lattosio contiene.
            • Emmental, Gruyère, Comté: tutti caratterizzati da lunghi tempi di stagionatura.
            • Cheddar stagionato: nelle versioni mature il lattosio è molto basso.

            Tutti questi formaggi sono normalmente tollerati dalla maggior parte dei soggetti intolleranti, poiché il contenuto di lattosio è inferiore allo 0,1%—quantità che rientra nella soglia “lactose free” riconosciuta a livello europeo.

            E quelli da evitare?

            I formaggi freschi o a breve stagionatura mantengono una quota più elevata di lattosio. Tra quelli più problematici:

            • Mozzarella (soprattutto vaccina): contiene lattosio residuo, anche se in quantità moderate.
            • Ricotta: non è un formaggio in senso stretto ma un latticino ottenuto dal siero, più ricco di lattosio.
            • Mascarpone: molto ricco di lattosio.
            • Fiocchi di latte e formaggi spalmabili: crema di formaggi freschi dove il lattosio è presente in quantità rilevanti.
            • Stracchino, crescenza, robiola fresca: la stagionatura brevissima non permette ai batteri di consumare il lattosio.

            Per chi è molto sensibile, esistono comunque versioni delattosate di quasi tutti i prodotti, ottenute tramite aggiunta di lattasi o processi enzimatici specifici.

            Il consiglio degli esperti: ascoltare la propria soglia

            L’intolleranza al lattosio non è uguale per tutti. Alcune persone digeriscono bene piccole quantità, altre devono evitarlo quasi del tutto. Le linee guida dei nutrizionisti suggeriscono di:

            • introdurre i formaggi stagionati gradualmente;
            • osservare la risposta del proprio organismo;
            • preferire piccole porzioni distribuite nella giornata;
            • evitare di consumare più prodotti freschi nello stesso pasto.

            Un’alimentazione più varia, senza rinunce

            Sapere che molti formaggi sono naturalmente privi di lattosio significa poter tornare a gustarli senza timori. La soluzione sta nell’informarsi, leggere le etichette e conoscere le differenze tra un prodotto fresco e uno stagionato.

            Per chi convive con l’intolleranza, è una libertà in più a tavola: un modo per non rinunciare al gusto, rispettando allo stesso tempo il proprio benessere.

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              Dormire bene è il nuovo anti-age: i segreti del sonno rigenerante che migliora corpo e mente

              Sette ore di sonno non sono un capriccio ma una terapia naturale. Durante la notte, il corpo si rigenera e la pelle ringrazia.

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              Dormire bene

                Altro che creme miracolose o integratori costosi: la vera rivoluzione anti-age comincia nel letto. Dormire tra le sette e le otto ore per notte non è solo riposo, è una terapia rigenerante. Durante il sonno profondo, il corpo rilascia ormoni della crescita e melatonina, che stimolano il rinnovamento cellulare e riducono i processi infiammatori. È in quelle ore silenziose che il cervello “fa le pulizie”, eliminando tossine e consolidando i ricordi.

                Luci, schermi e cena leggera

                Per dormire bene non basta spegnere la luce: serve preparazione. Gli esperti parlano di “igiene del sonno”, una routine che aiuta il corpo a entrare nel ritmo giusto. La prima regola è limitare la luce blu di smartphone e computer almeno un’ora prima di andare a letto, perché inibisce la produzione di melatonina. Meglio optare per letture leggere o musica rilassante. Anche la temperatura della stanza incide: l’ideale è tra i 18 e i 20 gradi.
                La cena? Leggera, con cibi che favoriscono il rilascio di serotonina come riso, lattuga e banana. Da evitare, invece, alcol e pasti pesanti, che disturbano le fasi del sonno profondo.

                L’effetto bellezza del riposo

                Il legame tra sonno e bellezza è più forte di quanto sembri. Durante il riposo, la pelle produce collagene, l’elasticità migliora e il colorito appare più luminoso. Un sonno interrotto, invece, aumenta i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, favorendo infiammazioni e invecchiamento precoce. Anche la mente ringrazia: dormire bene riduce ansia e irritabilità, migliora concentrazione e memoria.
                Dormire, in fondo, è il più accessibile dei trattamenti anti-age. Nessuna spesa, nessuna controindicazione. Solo il piacere di chiudere gli occhi e lasciarsi rigenerare dal tempo più prezioso che abbiamo: quello che dedichiamo a noi stessi.

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