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Beauty

Autunno, tempo di foglie (e capelli) che cadono: come affrontare il cambio di stagione

Con il ritorno del freddo non cambia solo il guardaroba, ma anche la salute dei capelli. Ecco perché in autunno si intensifica la caduta e come intervenire per rinforzare la chioma.

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    Ogni anno, con il ritorno dell’autunno, non sono solo gli alberi a perdere qualcosa. Anche i nostri capelli attraversano una fase di rinnovamento naturale che, seppur fisiologica, può allarmare.
    La cosiddetta “caduta stagionale” è un fenomeno comune che colpisce soprattutto tra settembre e novembre, quando il cambio di luce e temperatura influisce sul ciclo vitale dei follicoli.

    Durante questa fase, molti capelli entrano nella fase telogen, ovvero di riposo, e cadono per lasciare spazio a nuovi. In media, ogni giorno se ne perdono dai 60 ai 100, ma nei cambi di stagione il numero può raddoppiare senza che ciò sia indice di una patologia. Il problema sorge solo quando la perdita si prolunga oltre i due mesi o si accompagnano sintomi come prurito, dolore al cuoio capelluto o zone diradate. In questi casi è bene rivolgersi a un tricologo o dermatologo per una valutazione.

    Le cause principali della caduta autunnale sono molteplici. Gli ormoni giocano un ruolo chiave: in estate la maggiore esposizione solare stimola la crescita, mentre con l’arrivo del freddo la produzione ormonale rallenta, favorendo la perdita. Anche lo stress, fisico o emotivo, può aggravare la situazione: ansia da rientro, stanchezza e poco riposo alterano l’equilibrio dell’organismo, indebolendo la chioma. Infine, sbalzi ormonali legati a gravidanza o menopausa, insieme a carenze di vitamine e minerali, contribuiscono alla fragilità dei capelli.

    Cosa fare? Prima di tutto, adottare una hair routine mirata: shampoo delicati, impacchi nutrienti e maschere ristrutturanti a base di cheratina o oli vegetali aiutano a rinforzare il fusto. Evitare phon troppo caldi e piastre riduce lo stress termico, mentre uno scrub del cuoio capelluto ogni due settimane stimola la microcircolazione.

    Fondamentale anche l’alimentazione: via libera a proteine, ferro, zinco, omega-3 e vitamine del gruppo B, C ed E, presenti in legumi, frutta secca, pesce e verdure a foglia verde. Se necessario, si possono integrare con integratori specifici per capelli, sempre su consiglio medico.

    Infine, mai sottovalutare la componente psicologica. Una buona qualità del sonno, l’attività fisica moderata e tecniche di rilassamento come yoga e respirazione profonda aiutano non solo la mente, ma anche il cuoio capelluto. Perché, in fondo, una chioma sana inizia da uno stato d’animo sereno.

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      Salute

      Cambio dell’ora, tra scienza e salute: perché spostare le lancette ci scombina

      Da anni la comunità scientifica avverte: l’ora legale e solare dovrebbero lasciare il posto a un solo orario stabile. Intanto, un fisico spagnolo propone un’idea ancora più radicale: ognuno scelga da sé quando cominciare la giornata.

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        Nella notte tra sabato 26 e domenica 27 ottobre le lancette dell’orologio sono tornate indietro di un’ora. Un piccolo gesto che, puntualmente, riaccende un grande dibattito: ha ancora senso cambiare l’ora due volte all’anno? E, soprattutto, questo meccanismo fa bene o male alla nostra salute?

        L’interrogativo divide da tempo scienziati e politici. Tra le voci più originali spicca quella di José María Martín-Olalla, fisico dell’Università di Siviglia, secondo cui la discussione sull’ora legale o solare dovrebbe portarci a riscoprire un rapporto più naturale con la luce. “Per secoli – spiega – l’uomo ha adattato la propria vita al ritmo del sole, svegliandosi prima in estate e dormendo di più in inverno, senza alcun bisogno di cambiare l’orologio”.

        L’ora legale, introdotta in Europa e negli Stati Uniti durante la Prima guerra mondiale per risparmiare energia, si è poi diffusa in quasi tutto il mondo industrializzato. Ma, secondo Martín-Olalla, il sistema moderno “ha disaccoppiato” il nostro tempo sociale da quello biologico: chi vive a diverse latitudini, per esempio, riceve quantità di luce molto differenti, e un orario uniforme non tiene conto di queste differenze.

        Anche la neurologa Joanna Fong-Isariyawongse, dell’Università di Pittsburgh, sostiene la necessità di maggiore flessibilità negli orari scolastici e lavorativi, per adattarsi meglio alle variazioni stagionali.

        Sul piano medico, però, il consenso è chiaro: cambiare orario due volte l’anno non fa bene. Il cronobiologo Roberto Manfredini, dell’Università di Ferrara, ricorda che “lo spostamento dell’ora è un desincronizzatore dei ritmi circadiani, come il jet lag o il lavoro notturno”. Le conseguenze possono essere molte: insonnia, sonnolenza diurna, irritabilità, calo della concentrazione e, nei casi più seri, aumento del rischio di ictus, infarto e incidenti stradali.

        Non a caso, nel 2019 la Commissione Europea ha votato per abolire il cambio dell’ora, lasciando ai singoli Paesi la scelta di quale mantenere. Le società scientifiche raccomandano di adottare permanentemente l’ora solare, più “in sintonia” con i nostri ritmi biologici.

        Come affrontare, allora, il passaggio senza troppi contraccolpi? Manfredini suggerisce piccoli accorgimenti: “Nei primi giorni posticipate i pasti e l’ora di andare a dormire di 10-15 minuti, esporsi alla luce naturale del mattino e limitare l’uso di dispositivi elettronici la sera”.

        Per molti, però, questo piccolo spostamento si traduce in un vero “mini jet lag”. Il neurologo Piero Barbanti (Irccs San Raffaele di Roma) spiega che “chi soffre di emicrania, ansia o insonnia fatica ad adattarsi anche per giorni, perché il cervello si sincronizza con la luce come un orologio biologico: spostare l’ora significa, in pratica, toccare quel delicato meccanismo”.

        E così, tra risvegli anticipati, sbalzi d’umore e giornate più corte, il cambio dell’ora torna come ogni anno. Con un’unica certezza: per molti, l’autunno comincia davvero quando le lancette tornano indietro.

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          Salute

          Mal di testa da cervicale: quando il dolore nasce dal collo

          Posture scorrette, stress e tensioni muscolari sono tra le principali cause di questo disturbo. Capire i sintomi e intervenire in modo mirato è il primo passo per liberarsi dal dolore.

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          Mal di testa

            Il mal di testa da cervicale, o cefalea cervicogenica, è tra le forme più diffuse di mal di testa secondario, cioè legato a una causa precisa e non a un’alterazione diretta del sistema nervoso. A differenza dell’emicrania o della cefalea tensiva, il dolore nasce da un problema meccanico o muscolare nel tratto cervicale — la parte superiore della colonna vertebrale che sostiene la testa.

            Il disturbo si manifesta quando le prime vertebre del collo subiscono un’alterazione strutturale o funzionale, che può derivare da diversi fattori: un trauma (come il classico colpo di frusta), una contrattura muscolare persistente, una postura scorretta mantenuta per ore davanti al computer o allo smartphone, oppure da condizioni croniche come artrosi cervicale, artrite o ernie del disco. Anche disturbi apparentemente lontani, come il bruxismo (digrignare i denti) o una malocclusione dentale, possono contribuire a creare tensione nei muscoli del collo e scatenare il dolore.

            I sintomi tipici comprendono un dolore sordo e costante nella zona posteriore della testa, che può irradiarsi verso la fronte, le tempie o la mandibola. Alcuni pazienti riferiscono anche fastidi a orecchie, gola o lingua. Il dolore peggiora con i movimenti del collo o con posture statiche prolungate, e spesso si accentua nel corso della giornata. Si associano frequentemente rigidità muscolare, difficoltà nei movimenti del capo e una sensazione di tensione continua nella parte alta della schiena.

            Per una diagnosi corretta è fondamentale rivolgersi a uno specialista in neurologia o fisiatria, che valuterà la causa attraverso un esame clinico e, se necessario, esami diagnostici come radiografia, TAC, risonanza magnetica o elettromiografia.

            Una volta individuata la causa, il trattamento più efficace e meno invasivo è la fisioterapia mirata, utile per migliorare la mobilità cervicale e correggere le posture scorrette. In presenza di infiammazione o dolore acuto, il medico può prescrivere antinfiammatori, analgesici, miorilassanti o cortisonici. Nei casi cronici si può ricorrere a terapie manuali, tecniche di rilassamento o esercizi di rinforzo muscolare personalizzati.

            Gestire lo stress, fare pause frequenti durante il lavoro al computer e mantenere una postura corretta sono strategie semplici ma decisive per prevenire le recidive. Perché, spesso, il mal di testa da cervicale è il modo in cui il corpo ci ricorda che anche il collo — come la mente — ha bisogno di equilibrio.

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              Salute

              Ozempic e cervello: cosa accade davvero quando scompare la fame

              Nati per curare il diabete di tipo 2, i farmaci a base di agonisti del GLP-1 come Ozempic stanno mostrando effetti sorprendenti sul cervello: meno “rumore alimentare”, controllo delle dipendenze e, forse, una protezione contro l’invecchiamento neuronale.

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              Ozempic

                Nati come terapia per il diabete di tipo 2, gli agonisti del GLP-1 — come semaglutide (Ozempic) o liraglutide (Saxenda) — hanno rapidamente oltrepassato i confini per cui erano stati ideati. Oggi sono tra i farmaci più discussi al mondo per il loro effetto sul controllo dell’appetito e sulla perdita di peso, ma la scienza sta iniziando a capire che il loro impatto va ben oltre la bilancia.

                Molti pazienti raccontano che, dopo l’inizio del trattamento, il cosiddetto food noise — il continuo pensiero legato al cibo — si affievolisce. “È come se il cervello funzionasse su una frequenza più silenziosa e gestibile”, spiega Daisuke Hayashi, ricercatore alla Penn State University. Gli agonisti del GLP-1 rallentano lo svuotamento gastrico, aumentano il senso di sazietà e agiscono su specifici recettori cerebrali della ricompensa, riducendo il desiderio compulsivo di mangiare. Tuttavia, avverte Hayashi, “questo cambiamento richiede il supporto di un dietista, perché modificare il rapporto con il cibo senza un accompagnamento psicologico può avere effetti controproducenti”.

                Le ultime ricerche aprono scenari ancora più interessanti. Studi condotti presso la Rutgers University e l’University College London suggeriscono che chi assume GLP-1 potrebbe avere un rischio ridotto di sviluppare Alzheimer, Parkinson e altre forme di demenza. “Questi farmaci migliorano l’uso dell’insulina nel cervello e proteggono i neuroni”, spiega Michal Schnaider Beeri, direttrice del Rutgers Alzheimer Center. Secondo Stefan Trapp, neuroscienziato londinese, “favoriscono anche un migliore flusso sanguigno cerebrale e riducono la morte cellulare”.

                Non solo: il GLP-1 sembra modulare anche i circuiti dopaminergici legati alla ricompensa, gli stessi che intervengono nelle dipendenze. “Nei pazienti con disturbi da abuso di alcol o droghe si osserva spesso una riduzione del desiderio”, racconta Layla Abushamat, endocrinologa al Baylor College of Medicine.

                Sul fronte psicologico, i risultati restano sfumati. Alcuni studi segnalano un miglioramento dell’umore e dei sintomi depressivi, ma non per tutti. “Gli effetti sulla depressione sono ancora controversi — osserva Maria Letizia Petroni, dell’Università di Bologna —. In molti casi, il benessere emotivo è legato al miglioramento metabolico e all’autostima che segue la perdita di peso”.

                Non mancano però gli effetti collaterali: alcuni pazienti lamentano stanchezza, difficoltà di concentrazione o “annebbiamento mentale”. “Durante la perdita di peso, il cervello riceve meno glucosio, il suo carburante principale”, spiega Gary Sforzo, della Ithaca College. Bere a sufficienza, mangiare in modo equilibrato e procedere sotto stretto controllo medico aiuta a ridurre questi sintomi.

                In sintesi, Ozempic non agisce solo sul corpo ma anche sulla mente, toccando i meccanismi più profondi del comportamento alimentare e del benessere cerebrale. Una scoperta affascinante — ma che, come ogni farmaco capace di dialogare col cervello, richiede rispetto, cautela e supervisione clinica.

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