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Benessere

Stanchezza, fiato corto, concentrazione a zero: ecco i campanelli d’allarme della carenza di ferro

La carenza di ferro colpisce una persona su quattro nel mondo. Ecco come riconoscerla, chi è più a rischio e quali strategie adottare per prevenirla.

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carenza di ferro

    Ti senti esausto anche dopo otto ore di sonno? Ti manca il fiato salendo le scale o fai fatica a concentrarti sul lavoro? Potrebbe trattarsi di una carenza di ferro, uno dei disturbi nutrizionali più diffusi al mondo. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre due miliardi di persone ne soffrono: significa che circa un individuo su quattro presenta livelli di ferro inferiori alla norma.

    Il ferro è un minerale fondamentale: serve a produrre emoglobina, la proteina dei globuli rossi che trasporta l’ossigeno nel sangue. Quando il corpo non ne riceve abbastanza, i tessuti non vengono adeguatamente ossigenati e compaiono sintomi che, se trascurati, possono evolvere in anemia sideropenica, una condizione che riduce energia e capacità fisica, influendo sulla qualità della vita.

    I segnali precoci: quando il corpo avverte

    La carenza di ferro non si manifesta all’improvviso. In un primo momento, l’organismo utilizza le riserve di ferritina, la proteina che immagazzina il minerale. Quando anche queste si esauriscono, i segnali iniziano a farsi sentire. I più comuni includono:

    • stanchezza persistente, anche dopo il riposo;
    • debolezza muscolare;
    • mal di testa o capogiri frequenti;
    • battito cardiaco accelerato;
    • difficoltà di concentrazione o sensazione di “mente annebbiata”.

    Molti di questi sintomi vengono confusi con stress o mancanza di sonno, ma se si prolungano nel tempo è bene parlarne con il medico.

    Quando l’anemia peggiora

    Se la carenza non viene corretta, l’anemia si aggrava e i sintomi diventano più evidenti:

    • unghie fragili o che si spezzano facilmente;
    • pelle molto pallida;
    • affanno anche a riposo;
    • lingua gonfia o dolente;
    • perdita di capelli;
    • movimenti involontari delle gambe durante la notte (sindrome delle gambe senza riposo).

    In alcuni casi compare anche la pica, il desiderio di mangiare sostanze non commestibili come ghiaccio o terra: un segnale che indica un deficit marcato di minerali.

    Le cause più frequenti

    Oltre a un’alimentazione povera di ferro, una delle principali cause è la perdita di sangue, visibile o nascosta. Nelle donne, le mestruazioni abbondanti rappresentano una delle prime fonti di carenza; negli uomini e negli anziani, può trattarsi di micro-sanguinamenti gastrointestinali legati a ulcere, gastriti o uso prolungato di antinfiammatori.

    Anche gravidanza, allattamento, crescita evecchiaia sono fasi della vita in cui il fabbisogno di ferro aumenta. A rischio maggiore anche i vegetariani e vegani, che devono integrare con attenzione le fonti vegetali di ferro e vitamina C per facilitarne l’assorbimento.

    Diagnosi e trattamento

    Per accertare una carenza, il medico può prescrivere esami del sangue come emocromo, ferritina, sideremia e transferrina. I valori di ferritina sono i più indicativi: livelli bassi segnalano che le riserve di ferro si stanno esaurendo.

    Nelle forme lievi, la dieta può essere sufficiente a ristabilire l’equilibrio. È consigliato consumare carne rossa magra, legumi, pesce azzurro, verdure a foglia verde, frutta secca e cereali fortificati. Chi segue una dieta vegetale può abbinare gli alimenti ricchi di ferro con fonti di vitamina C, come agrumi o kiwi, che ne migliorano l’assimilazione.

    Nei casi più gravi o persistenti, il medico può prescrivere integratori di ferro per via orale o, se necessario, una somministrazione endovenosa.

    Ascoltare i segnali del corpo

    La carenza di ferro non va sottovalutata: non è solo un problema di energia, ma una condizione che può compromettere il benessere generale. Riconoscere i sintomi e intervenire in tempo permette di recuperare rapidamente forze e concentrazione.

    Il messaggio degli esperti è chiaro: ascoltare il proprio corpo è la prima forma di prevenzione. Se la stanchezza diventa la norma e non l’eccezione, è il momento di parlarne con il medico.

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      Benessere

      I cibi amici della memoria: cosa mangiare per mantenere il cervello giovane

      Mangiare bene non serve solo a mantenere il corpo in salute, ma anche a proteggere il cervello dal decadimento cognitivo. Ecco gli alimenti che gli esperti consigliano per stimolare la memoria e favorire la concentrazione.

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      memoria

        Un cervello che si nutre bene

        Il nostro corpo ha bisogno di nutrienti per funzionare al meglio, e il cervello non fa eccezione. Alcuni alimenti possono aiutare a migliorare memoria e concentrazione, oltre a ridurre il rischio di malattie neurodegenerative. La dieta mediterranea, ricca di pesce, frutta, verdura, olio d’oliva e legumi, è considerata una delle migliori per la salute cerebrale.

        Il pesce e gli omega-3

        Quando i genitori dicevano “mangia pesce, così ti ricordi le cose”, non avevano tutti i torti. Non è il fosforo, come si credeva un tempo, ma gli acidi grassi omega-3 a rendere il pesce un alleato della memoria. Questi nutrienti sono fondamentali per il buon funzionamento del cervello: favoriscono la concentrazione e riducono il rischio di Alzheimer e altre malattie neurodegenerative. I pesci più ricchi di omega-3 sono salmone, tonno, sgombro, sardine, aringhe e trote.

        Frutta e verdura: vitamine e antiossidanti

        Frutta e verdura restano sempre indispensabili, ma alcune varietà sono particolarmente utili al cervello. I frutti rossi, come mirtilli e fragole, sono ricchi di antiossidanti che proteggono le cellule nervose. Le arance apportano vitamina C, utile al sistema immunitario e alla circolazione. Tra le verdure, invece, broccoli e spinaci migliorano l’apporto di ferro e aiutano a combattere stanchezza e cali di attenzione.

        Anche la frutta secca gioca un ruolo importante: noci, mandorle e nocciole contengono acidi grassi sani, vitamina E e antiossidanti che proteggono le cellule cerebrali e aiutano a mantenere la memoria attiva.

        Olio extravergine di oliva: solo a crudo

        L’olio extravergine di oliva non è solo un condimento. Usato a crudo, aiuta la circolazione sanguigna del cervello e riduce l’infiammazione dei neuroni. È uno dei pilastri della dieta mediterranea e contribuisce al benessere generale, ma va consumato senza cottura per mantenere intatte le sue proprietà.

        I legumi: energia per la mente

        Ceci, lenticchie, fagioli, piselli e fave sono alimenti semplici ma preziosi. Contengono acido folico, fibre e proteine che favoriscono il funzionamento del cervello e aiutano la memoria. Inserirli più volte alla settimana nella dieta è una scelta salutare ed economica.

        Cioccolato fondente: un piacere che fa bene

        Non tutti i dolci sono nemici della salute: il cioccolato fondente, con almeno l’85% di cacao, è un alleato della memoria. Contiene flavonoidi, sostanze antiossidanti che migliorano la circolazione e hanno un effetto positivo sul cervello. La quantità consigliata è di 20-30 grammi al giorno, da gustare senza sensi di colpa.

        La memoria non dipende solo dallo studio o dall’esercizio mentale, ma anche da ciò che portiamo in tavola. Scegliere alimenti ricchi di nutrienti come pesce, verdura, frutta, olio d’oliva, legumi e cioccolato fondente può fare la differenza. Non si tratta di diete drastiche o complicate, ma di piccoli gesti quotidiani che aiutano a mantenere il cervello giovane e pronto ad affrontare le sfide di ogni giorno.

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          Benessere

          Formaggi e intolleranza al lattosio: cosa si può davvero mangiare

          La stagionatura riduce naturalmente il lattosio, rendendo molti formaggi adatti a chi ha difficoltà a digerirlo. Ecco quali scegliere, cosa evitare e perché.

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          Formaggi e intolleranza al lattosio

            Per molte persone scoprire di essere intolleranti al lattosio significa eliminare latte e derivati in blocco. Ma non sempre è necessario. L’intolleranza, dovuta a una ridotta produzione dell’enzima lattasi, provoca disturbi gastrointestinali solo quando la quantità di lattosio supera la soglia tollerata dal singolo individuo. E la buona notizia è che alcuni formaggi, grazie ai processi di produzione e stagionatura, contengono quantità molto basse di zucchero del latte, spesso inferiori allo 0,1%.

            Perché alcuni formaggi sono naturalmente “lactose free”

            Durante la trasformazione del latte in formaggio, i batteri lattici presenti negli starter consumano il lattosio come fonte di energia, trasformandolo in acido lattico. Più lunga è la stagionatura, più completo è questo processo. È per questo che i formaggi a pasta dura e molto stagionati sono generalmente sicuri per la maggior parte degli intolleranti.

            Non si tratta di prodotti artificialmente modificati: è il metabolismo naturale dei microrganismi a far scomparire quasi del tutto il lattosio.

            I formaggi che si possono mangiare senza problemi

            Gli enti di ricerca alimentare e le associazioni internazionali dedicate alle intolleranze concordano: molti formaggi stagionati contengono tracce trascurabili di lattosio. Tra i più indicati:

            • Parmigiano Reggiano: dopo 12 mesi di stagionatura il lattosio è assente; i consorzi garantiscono ufficialmente che il prodotto è naturalmente privo di lattosio già dal nono mese.
            • Grana Padano: anche qui il lattosio viene completamente metabolizzato dai batteri durante la maturazione; il formaggio stagionato oltre 12 mesi è considerato sicuro.
            • Pecorino stagionato: le versioni oltre i 6-8 mesi hanno contenuti di lattosio praticamente nulli.
            • Gorgonzola piccante e altri erborinati maturi: la lunga fermentazione riduce drasticamente il lattosio.
            • Provolone stagionato: più è vecchio, meno lattosio contiene.
            • Emmental, Gruyère, Comté: tutti caratterizzati da lunghi tempi di stagionatura.
            • Cheddar stagionato: nelle versioni mature il lattosio è molto basso.

            Tutti questi formaggi sono normalmente tollerati dalla maggior parte dei soggetti intolleranti, poiché il contenuto di lattosio è inferiore allo 0,1%—quantità che rientra nella soglia “lactose free” riconosciuta a livello europeo.

            E quelli da evitare?

            I formaggi freschi o a breve stagionatura mantengono una quota più elevata di lattosio. Tra quelli più problematici:

            • Mozzarella (soprattutto vaccina): contiene lattosio residuo, anche se in quantità moderate.
            • Ricotta: non è un formaggio in senso stretto ma un latticino ottenuto dal siero, più ricco di lattosio.
            • Mascarpone: molto ricco di lattosio.
            • Fiocchi di latte e formaggi spalmabili: crema di formaggi freschi dove il lattosio è presente in quantità rilevanti.
            • Stracchino, crescenza, robiola fresca: la stagionatura brevissima non permette ai batteri di consumare il lattosio.

            Per chi è molto sensibile, esistono comunque versioni delattosate di quasi tutti i prodotti, ottenute tramite aggiunta di lattasi o processi enzimatici specifici.

            Il consiglio degli esperti: ascoltare la propria soglia

            L’intolleranza al lattosio non è uguale per tutti. Alcune persone digeriscono bene piccole quantità, altre devono evitarlo quasi del tutto. Le linee guida dei nutrizionisti suggeriscono di:

            • introdurre i formaggi stagionati gradualmente;
            • osservare la risposta del proprio organismo;
            • preferire piccole porzioni distribuite nella giornata;
            • evitare di consumare più prodotti freschi nello stesso pasto.

            Un’alimentazione più varia, senza rinunce

            Sapere che molti formaggi sono naturalmente privi di lattosio significa poter tornare a gustarli senza timori. La soluzione sta nell’informarsi, leggere le etichette e conoscere le differenze tra un prodotto fresco e uno stagionato.

            Per chi convive con l’intolleranza, è una libertà in più a tavola: un modo per non rinunciare al gusto, rispettando allo stesso tempo il proprio benessere.

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              Benessere

              Dormire bene è il nuovo anti-age: i segreti del sonno rigenerante che migliora corpo e mente

              Sette ore di sonno non sono un capriccio ma una terapia naturale. Durante la notte, il corpo si rigenera e la pelle ringrazia.

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              Dormire bene

                Altro che creme miracolose o integratori costosi: la vera rivoluzione anti-age comincia nel letto. Dormire tra le sette e le otto ore per notte non è solo riposo, è una terapia rigenerante. Durante il sonno profondo, il corpo rilascia ormoni della crescita e melatonina, che stimolano il rinnovamento cellulare e riducono i processi infiammatori. È in quelle ore silenziose che il cervello “fa le pulizie”, eliminando tossine e consolidando i ricordi.

                Luci, schermi e cena leggera

                Per dormire bene non basta spegnere la luce: serve preparazione. Gli esperti parlano di “igiene del sonno”, una routine che aiuta il corpo a entrare nel ritmo giusto. La prima regola è limitare la luce blu di smartphone e computer almeno un’ora prima di andare a letto, perché inibisce la produzione di melatonina. Meglio optare per letture leggere o musica rilassante. Anche la temperatura della stanza incide: l’ideale è tra i 18 e i 20 gradi.
                La cena? Leggera, con cibi che favoriscono il rilascio di serotonina come riso, lattuga e banana. Da evitare, invece, alcol e pasti pesanti, che disturbano le fasi del sonno profondo.

                L’effetto bellezza del riposo

                Il legame tra sonno e bellezza è più forte di quanto sembri. Durante il riposo, la pelle produce collagene, l’elasticità migliora e il colorito appare più luminoso. Un sonno interrotto, invece, aumenta i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, favorendo infiammazioni e invecchiamento precoce. Anche la mente ringrazia: dormire bene riduce ansia e irritabilità, migliora concentrazione e memoria.
                Dormire, in fondo, è il più accessibile dei trattamenti anti-age. Nessuna spesa, nessuna controindicazione. Solo il piacere di chiudere gli occhi e lasciarsi rigenerare dal tempo più prezioso che abbiamo: quello che dedichiamo a noi stessi.

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