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Capelli grigi: cosa causa questo cambiamento e come gestirlo

I capelli grigi sono un segno inevitabile dell’invecchiamento, ma possono comparire anche a una giovane età a causa di diversi fattori.

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    I capelli grigi sono un segno inevitabile dell’invecchiamento, ma possono comparire anche a una giovane età a causa di diversi fattori. Questo cambiamento nel colore dei capelli può avere un impatto significativo sull’aspetto estetico e sull’autostima di una persona. Esploriamo le cause e le strategie per gestirli con fiducia.

    Cause dei capelli grigi

    Il principale responsabile dei capelli grigi è il progressivo esaurimento dei melanociti, le cellule responsabili della produzione di melanina, il pigmento che conferisce colore ai capelli. Con l’invecchiamento, i melanociti diventano meno attivi e producono meno melanina.

    Oltre all’invecchiamento naturale, ci sono diverse altre cause, tra cui:

    1. Fattori genetici: La predisposizione genetica gioca un ruolo significativo nella comparsa dei capelli grigi. Se uno o entrambi i genitori hanno avuto questo problema precocemente, è probabile che si manifestino anche in un’età più giovane.
    2. Stress: Lo stress fisico e emotivo può influenzare la produzione di melanina, e quindi accelerando il processo di ingrigimento dei capelli.
    3. Cattive abitudini alimentari: Una dieta poco equilibrata e povera di nutrienti essenziali come conseguenza può influenzare la salute dei capelli e contribuire alla comparsa dei capelli grigi.
    4. Fumo: Il fumo di sigaretta purtroppo contiene sostanze chimiche dannose che possono danneggiare i melanociti e molto probabilmente accelerare l’ingrigimento dei capelli.
    5. Malattie autoimmuni: Alcune malattie autoimmuni, come la vitiligine e la sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada, possono influenzare la produzione di melanina e causare la comparsa dei capelli grigi.

    Gestione dei capelli grigi

    In ogni caso, è un cambiamento inevitabile, ma ci sono diverse strategie che possono aiutare a gestirli e a mantenerli sani e belli:

    1. Colorazione dei capelli: La colorazione dei capelli è il metodo più comune per coprire i capelli grigi e ripristinare il colore naturale o sperimentare nuove sfumature. È importante scegliere prodotti di qualità e seguire le istruzioni per evitare danni ai capelli.
    2. Prodotti per la cura dei capelli: Utilizzare shampoo e balsami specifici può aiutare a mantenerli morbidi, idratati e luminosi. Cerca prodotti arricchiti con ingredienti nutrienti come la cheratina, gli oli naturali e le proteine. O prova a fare i rimedi casalinghi.
    3. Stile di vita salutare: Mantenere uno stile di vita sano può favorire la salute dei capelli. Assicurati di seguire una dieta equilibrata, bere abbondante acqua, evitare il fumo e gestire lo stress con tecniche di rilassamento come lo yoga e la meditazione.
    4. Accettazione e fiducia in sé stessi: I capelli grigi possono essere una parte naturale dell’invecchiamento e della crescita personale. Accetta il cambiamento con fiducia e sii fiero della tua unicità. Ricorda che la bellezza risiede nella diversità e nella sicurezza in sé stessi.

    In conclusione, i capelli grigi sono un segno naturale dell’invecchiamento e possono essere gestiti con accettazione, cura e fiducia in sé stessi. Scegli le strategie che funzionano meglio per te e abbraccia il tuo aspetto unico e autentico.

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      Salute

      Zucchero e tumori: tra falsi allarmi e realtà scientifica, cosa dobbiamo davvero sapere

      Il medico nutrizionista Andrea Pontara, dell’Ospedale San Raffaele di Milano, aiuta a fare chiarezza su cosa la scienza dice davvero sul rapporto tra zuccheri, alimenti industriali e rischio oncologico.

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      Zucchero e tumori: tra falsi allarmi e realtà scientifica, cosa dobbiamo davvero sapere

        Scrollando social e blog dedicati alla salute, può sembrare che ogni giorno un nuovo alimento venga additato come “cancerogeno”. Video virali, presunti esperti e titoli allarmistici alimentano il sospetto che la spesa quotidiana sia un percorso a ostacoli pieno di rischi nascosti. Lo zucchero è spesso al centro di questa narrativa: accusato di “nutrire il tumore” o di essere di per sé una sostanza pericolosa.

        La realtà, spiegano gli specialisti, è più complessa e – soprattutto – meno spaventosa. «Lo zucchero non è classificato come cancerogeno» chiarisce il dottor Andrea Pontara, medico dell’Area Nutrizione Clinica e consulente del Programma Trapianti dell’Ospedale San Raffaele. «È un carboidrato semplice: come per molti nutrienti, i problemi nascono dall’eccesso».

        L’idea che abbia un ruolo diretto nella nascita dei tumori deriva da un fraintendimento: sia le cellule malate sia quelle sane utilizzano il glucosio come fonte di energia. Ridurre drasticamente l’apporto di zuccheri nella dieta non “affama” il tumore, e molte diete restrittive che circolano in rete non hanno alcun fondamento scientifico. «Il metabolismo tumorale è estremamente adattabile» ricorda Pontara: eliminare lo zucchero non impedisce la crescita delle cellule cancerose.

        Il vero nodo è indiretto: un consumo elevato di zuccheri favorisce aumento di peso e infiammazione cronica, condizioni associate a un maggior rischio oncologico. Per evitarlo, le linee guida nutrizionali raccomandano che gli zuccheri semplici – quelli naturalmente presenti in frutta e miele o aggiunti a dolci e bevande – non superino il 10-15% dell’apporto calorico giornaliero.

        Altro tema che genera ansia è quello degli alimenti industriali: etichette piene di sigle, additivi, coloranti. Ma anche qui la scienza rassicura: «Gli additivi autorizzati vengono impiegati entro limiti considerati sicuri e controllati dagli enti regolatori» sottolinea Pontara. Il problema riguarda semmai i prodotti ultraprocessati, ricchi di zuccheri, grassi e sale, poveri di fibre e micronutrienti. Il loro consumo frequente peggiora la qualità complessiva della dieta, contribuendo a sovrappeso e problematiche metaboliche. Non è invece dimostrato un rischio oncologico diretto legato agli additivi ammessi per legge.

        Un discorso a parte riguarda l’alcol, su cui le evidenze sono solide: «È associato in modo certo a un aumento del rischio tumorale, in particolare all’apparato digerente» afferma il nutrizionista. Le indicazioni delle società scientifiche sono molto chiare: non esiste una soglia sicura. Chi decide comunque di bere dovrebbe limitarsi a una piccola unità alcolica a settimana per le donne e due per gli uomini.

        Quando si parla di prevenzione oncologica, quindi, non esistono “alimenti nemici” da eliminare in blocco – e tanto meno demonizzazioni che trovano origine sui social. Gli esperti ricordano che i cibi in vendita in Europa devono superare controlli rigorosi da parte di autorità come l’EFSA, che ne valuta la sicurezza periodicamente.

        La vera sfida è l’equilibrio: un biscotto o una marmellata non trasformano il nostro piatto in un pericolo. A fare la differenza sono le abitudini quotidiane, la varietà della dieta, la moderazione dei prodotti industriali e la prevenzione dei fattori che, quelli sì, sono scientificamente correlati ai tumori: sedentarietà, obesità e consumo di alcol.

        In altre parole: non è lo zucchero a essere cancerogeno, è l’eccesso a sottrarre benessere. E la scelta più salutare passa sempre dalla corretta informazione.

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          Salute

          Tatuaggi e sistema immunitario: i colori più comuni restano nei linfonodi per anni

          I ricercatori segnalano un’infiammazione prolungata che può ridurre la capacità difensiva e l’efficacia dei vaccini, sollevando interrogativi sulla sicurezza degli inchiostri più diffusi.

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          Tatuaggi e sistema immunitario

            Un tatuaggio può raccontare storie, passioni o ricordi, ma nuove evidenze scientifiche suggeriscono che i suoi pigmenti più usati non restano confinati alla pelle. I risultati emergono da uno studio internazionale coordinato dall’italiana Arianna Capucetti e da Santiago González dell’Istituto di ricerca in biomedicina di Bellinzona, pubblicato sulla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America). La ricerca, che ha coinvolto dodici gruppi di ricerca in Europa, ha analizzato gli effetti dei pigmenti nero, rosso e verde, più diffusi negli inchiostri per tatuaggi.

            Il dibattito sui possibili effetti dei tatuaggi sulla salute va avanti da anni, soprattutto in relazione al rischio oncologico, senza però prove definitive. Questo nuovo lavoro si concentra sulla tossicità dei pigmenti e sul loro impatto sul sistema immunitario.

            Come agisce l’inchiostro nel corpo

            Lo studio, condotto su topi, ha mostrato che i pigmenti dei tatuaggi vengono rapidamente trasportati dal sistema linfatico ai linfonodi, organi fondamentali per la risposta immunitaria. Qui si accumulano in grandi quantità già poche ore dopo l’inoculazione dell’inchiostro.

            I ricercatori hanno identificato una risposta infiammatoria in due fasi:

            1. Fase acuta, che dura circa due giorni, durante la quale il sistema immunitario reagisce immediatamente alla presenza dei pigmenti.
            2. Fase cronica, che può protrarsi per anni: i pigmenti rimangono intrappolati nei macrofagi, le cellule immunitarie deputate a “digerire” agenti esterni. Non potendo smaltire l’inchiostro, queste cellule muoiono progressivamente, compromettendo la capacità difensiva del linfonodo.

            Gli effetti sono più evidenti con inchiostri rossi e neri, mentre quelli verdi mostrano un impatto minore ma comunque significativo.

            Implicazioni per la salute

            I dati suggeriscono che la presenza cronica di pigmenti nei linfonodi potrebbe:

            • ridurre l’efficacia dei vaccini
            • compromettere la risposta immunitaria a lungo termine
            • generare un’infiammazione silente che persiste per anni

            Gli autori sottolineano la necessità di approfondire ulteriormente i rischi e di sviluppare pigmenti più sicuri o procedure che limitino l’assorbimento sistemico.

            Un problema aggiuntivo è rappresentato dalla grande varietà di pigmenti e combinazioni presenti sul mercato. Nonostante i controlli, episodi di contaminazioni sono stati documentati: nel 2022, ad esempio, nove inchiostri contenenti sostanze potenzialmente cancerogene furono ritirati dal mercato italiano.

            Cosa significa per chi ama i tatuaggi

            L’allerta non significa vietare i tatuaggi, ma invita a un approccio consapevole: conoscere la composizione degli inchiostri, affidarsi a professionisti certificati e restare aggiornati sulle normative e sui controlli sanitari.

            In futuro, lo studio potrebbe orientare lo sviluppo di pigmenti biocompatibili che riducano l’accumulo nei linfonodi e limitino l’infiammazione cronica. Nel frattempo, gli esperti raccomandano prudenza, informazione e attenzione alla qualità degli inchiostri.

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              Benessere

              La “celiachia immaginaria”: perché sempre più persone si inventano un’intolleranza che non hanno

              Mentre la celiachia è una malattia autoimmune seria e diagnosticabile solo tramite esami specifici, aumentano i casi di chi si dichiara intollerante al glutine senza basi cliniche. Un comportamento che rivela fragilità, pressioni sociali e desiderio di distinguersi.

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              celiachia

                Negli ultimi anni la celiachia è diventata uno dei temi più discussi in campo alimentare. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, si tratta di una malattia autoimmune che colpisce circa l’1% della popolazione e che richiede diagnosi accurate, come analisi del sangue e biopsia intestinale. Eppure, parallelamente ai dati scientifici, cresce un fenomeno molto diverso: quello delle persone che si definiscono “celiache” o “intolleranti al glutine” senza alcuna conferma medica.

                Non si parla qui della sensibilità al glutine non celiaca, una condizione studiata e riconosciuta, che però necessita comunque di valutazioni cliniche. Il fenomeno riguarda invece chi decide autonomamente di eliminare il glutine per sentirsi “più sano”, diverso o semplicemente in controllo della propria vita.

                La domanda sorge spontanea: cosa porta qualcuno a inventarsi un’intolleranza che non ha?

                Il ruolo delle mode alimentari e dei social

                Negli ultimi anni la dieta “gluten free” è stata spesso presentata come sinonimo di benessere generale, nonostante non ci siano prove scientifiche che eliminarlo faccia bene a chi non è celiaco. Influencer, celebrità e guru del wellness hanno contribuito alla diffusione dell’idea che togliere il glutine migliori energia, umore e forma fisica.

                Questo ha portato molte persone a identificarsi in un’etichetta che dà l’impressione di seguire uno stile di vita più “puro” e controllato. Ma senza evidenze cliniche, questa scelta rischia di diventare solo un gesto simbolico.

                Il bisogno di “non essere come gli altri”

                C’è un aspetto più profondo che gli psicologi riconoscono da tempo: il desiderio di differenziarsi. In un contesto in cui tutto sembra omologato, dichiararsi portatori di un’intolleranza — reale o presunta — può diventare un modo per sentirsi speciali.

                Non è un caso che molte persone raccontino con orgoglio la propria alimentazione “speciale”, quasi fosse una parte identitaria. Il problema nasce quando questa narrazione sostituisce la realtà medica, riducendo una patologia seria a una scelta estetica.

                Ansie corporee e ipocondria moderna

                La falsa celiachia è anche figlia della società iperconnessa, dove ogni sintomo viene immediatamente cercato online. Un leggero gonfiore addominale o una giornata di stanchezza bastano per convincersi di avere un’intolleranza. L’autodiagnosi, però, può peggiorare lo stato emotivo: ci si convince di essere fragili, di dover eliminare alimenti, di essere “diversi”, finendo in una spirale di restrizioni inutili.

                Il rischio concreto: banalizzare una vera malattia

                La comunità dei celiaci segnala da tempo un problema reale: la tendenza a confondere una malattia autoimmune con una moda alimentare rischia di far percepire la celiachia come un capriccio. Nei ristoranti, per esempio, chi afferma di essere “intollerante” senza basi mediche può portare a sottovalutare i protocolli di sicurezza necessari per i celiaci veri, che devono evitare ogni contaminazione.

                Ritrovare equilibrio: il valore della diagnosi

                Gli esperti ricordano che eliminare il glutine senza motivo non solo non fa bene, ma può complicare una diagnosi successiva. L’invito è sempre lo stesso: rivolgersi a un medico, fare gli esami necessari e non affidarsi al fai-da-te.

                E se dietro la finta intolleranza si nasconde un bisogno di attenzione o di controllo, riconoscerlo è già un primo passo per affrontarlo. Non serve un’etichetta alimentare per sentirsi unici: serve ascoltare davvero ciò che il corpo — e la mente — cercano di comunicarci.

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