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La Fagnani, ritoccata sì… ma con stile e misura

La conduttrice di Belve, secondo alcuni, avrebbe fatto ricorso ad alcuni interventi di “ritocco”, anche se con risultati assolutamente armoniosi e per nulla snaturanti.

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    La giornalista dall’ormai inseparabile iconica agenda rossa, nella quale appunta le domande più cattive ed imbarazzanti da porre ai suoi interlocutori a Belve, spesso chiede alla sue ospiti femminile se si siano mai sottoposte a interventi di chirurgia estetica. Ma la domanda che ci poniamo noi è esattamente ribaltata: Francesca Fagnani l’ha mai fatto?

    Scusi, lei è rifatta?

    Se si analizzano le foto che la ritraggono qualche anno fa, non si notano particolari differenze. Anche se fosse ricorsa a qualche ritocchino di chirurgia estetica, il risultato appare comunque naturale, senza grandi stravolgimenti. Anche perchè, a volte, per mantenere il viso e la pelle luminosa ed elastiva, basta utilizzare alcuni trattamenti di bellezza. Striscia la Notizia, in una passata puntata di Fatti e rifatti, dedicò a Fagnani un piccolo servizio nel quale si evidenziava lo spessore delle labbra che, prima, non c’era, la sottigliezza del naso e la freschezza e luminosità del viso.

    Il parere dell’esperta

    Sulla questione si è espressa la dottoressa Alessandra Cecchini, chirurgo plastico ed estetico molto popolareanche su TikTok, che ha spiegato: «La conduttrice è decisamente cambiata e, con il tempo, è molto migliorata. Si è rifatta anche lei. Facendo infatti confronti con le foto che ho trovato mi sembra di poter dire che si è sottoposta a una rinoplastica, una blefaroplastica superiore e vari trattamenti di medicina estetica come botox e filler alle labbra. Questa è la dimostrazione che la chirurgia e la medicina estetica ben fatte possono solo renderci molto più belli».

    Una grande passione per il giornalismo

    Romana 1976, cresciuta all’ombra del Cupolone, dopo gli studi superiori si è laureata in Lettere all’Università La Sapienza con un dottorato di ricerca in filologia dantesca che l’ha portata un anno a New York proprio nel 2001, rendendola testimone diretta degli attentati dell’11 settembre alle torri gemelle. Un’esperienza che l’ha portata a interessarsi sempre di più di cronaca. Una volta tornata a Roma, ha lavorato insieme al giornalista Giovanni Minoli, esordendo in qualità di giornalista d’inchiesta nel programma Annozero di Michele Santoro.

    Non solo belva

    In questi giorni si fa un gra parlare del suo programma soprattutto per la reazione di uno dei supoi ospiti recenti, Teo Mammuccari, che ha mostrato di non gradire affatto il tono delle domande che gli sono state poste. Un format, quello di Belve, che ha permesso alla Fagnani di farsi conoscere al grande pubblico. Anche se, in realtà, oltre ad aver scritto per Il Fatto Quotidiano e La Repubblica per diversi anni, in passato aveva condotto un programma intitolato Il prezzo, incentrato sulle organizzazioni criminali di stampo mafioso.

    Il suo rapporto con Mentana

    Moltio riservata sul proprio privato, non esponendosi mai sulla sua sfera sentimentale, anche se dal 2013, è noto che sia impegnata con il giornalista Enrico Mentana con il quale convive. In merito, al Corriere aveva detto: «In linea di massima non amo parlare della mia vita ma sono l’ultima che può dirlo: sono vittima di me stessa. Mi chieda però tutto quello che chiederebbe a Enrico. In casa il più egocentrico è lui ma è una bella lotta. La prepotenza? Abbiamo lo stesso tipo di prepotenza, anche lui è impositivo eh. Per quanto riguarda il matrimonio, non ci sposiamo perché non ne sentiamo il bisogno».

    Con il compagno Enrico Mentana

    Col tempo a volte si migliora

    In alcune immagini presenti sulla rete, la Fagnani porta spesso i capelli ricci, oppure indossa abiti che non valorizzavano troppo il suo incarnato. Attualmente, invece, sfoggia una piega mossa che le contorna molto meglio il viso, adottando abiti eleganti e in palette, che mettono in risalto la sua forma fisica e la sua bellezza.

    In versione riccia, ospite da Massimo Giletti

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      Beauty

      Skincare vs ossessione: quando la “dermorexia” diventa pericolo reale

      Dai social media alle abitudini quotidiane, l’ossessione per la pelle perfetta cresce tra bambini, adolescenti e adulti. Dermatologi e psicologi avvertono: routine estreme, troppi cosmetici e aspettative irrealistiche mettono a rischio salute fisica e mentale.

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      dermorexia

        Nel flusso infinito di post, video tutorial e filtri perfetti, il mondo della skincare domina i social — Instagram, TikTok, YouTube — con migliaia di contenuti al giorno, da consigli di esperti fino a prodotti sponsorizzati e challenge virali. Digitando l’hashtag “skincare”, si viene travolti da una moltitudine di immagini e suggerimenti: detergere, idratare, prevenire rughe, combattere imperfezioni. È positivo che cresca la consapevolezza sull’importanza della cura della pelle, specie se va incontro a esigenze specifiche (acne, sensibilità, età) o problemi medici. Ma c’è anche un lato oscuro, che gli specialisti iniziano a identificare sempre più chiaramente: la dermorexia, nota anche come cosmeticoressia.

        Il termine, coniato da Jessica DeFino, sottolinea un fenomeno di ossessione patologica verso la pelle e la sua apparenza. Non è solo una cura esagerata: è un’ansia costante verso il perfezionismo estetico, una spinta a usare prodotti non necessari, in dosi e combinazioni inappropriate.

        Chi sono i soggetti a rischio

        Le persone più vulnerabili sono i giovanissimi: preadolescenti e adolescenti che, spinti dalla pressione sociale, dai modelli estetici dei social, adottano routine complesse, aspettative elevate, e un uso frequente di prodotti anti-age già in età precoce. Alcuni articoli segnalano che anche bambine di 10-12 anni (o poco più) iniziano a usare sieri, peeling, maschere e cosmetici spesso inadatti per età e tipo di cute.

        Non è un fenomeno esclusivamente femminile: cresce l’interesse degli uomini verso prodotti specifici (sieri, contorno occhi, dopobarba con funzioni anti-age), e le marche lo sanno bene.

        I sintomi e i rischi per la pelle

        Il dermatologo avverte che l’uso ossessivo può danneggiare la barriera cutanea, alterare il microbiota della pelle (gli organismi che normalmente la proteggono), causare irritazioni, dermatiti allergiche da contatto, acne inducendo sovraccarico di attivi chimici.

        Altri segnali di dermorexia:

        • Routine di skincare composte da troppi passaggi, anche quando la pelle non mostra problemi evidenti.
        • Desiderio continuo di “novità” nei prodotti, cambi frequenti, ricerca spasmodica di creme miracolose.
        • Ansia, sentimenti di inadeguatezza dovuti a imperfezioni minime percepite come enormi.

        Il ruolo dei social media e della cultura estetica

        I social non sono solo canale: sono motore del fenomeno. Creano attese irrealistiche, amplificano esempi di pelle “perfetta” grazie a luce, filtri e ritocchi; promuovono tendenze come “glass skin”, “glow up” o routine elaborate, spesso sponsorizzate. La pressione estetica, specie tra i giovani, aumenta.

        In Italia, le riviste di salute e bellezza segnalano casi di adolescenti attratti da skincare intensiva, uso precoce di cosmetici anti-age, trattamenti estetici non necessari. Spesso la spesa è consistente, la curiosità alta, la conoscenza superficiale.

        Verso una skincare equilibrata: i consigli degli esperti

        • Dietro al selfie o al filtro, la pelle ha bisogni reali: pulizia delicata, idratazione, protezione solare quotidiana sono le basi valide per tutti.
        • Valutare il tipo di pelle (secca, grassa, sensibile, acneica) e rispondere con prodotti appropriati, evitando attivi aggressivi o mix casuali.
        • Non iniziare troppo presto con prodotti anti-age; un uso prematuro può causare irritazioni, sensibilizzazione, danni nel tempo.
        • Evitare di basare la routine su trend virali o consigli non professionali; meglio fare riferimento a dermatologi o esperti certificati.
        • Tenere presente la salute mentale: se la cura della pelle diventa fonte di ansia, senso di vergogna per imperfezioni piccole o ossessione, è importante parlarne con uno psicologo o professionista.

        La skincare non è cattiva: cura, igiene, protezione sono fondamentali. Ma la dermorexia ci ricorda che quando il desiderio di perfezione estetica diventa compulsione, la bellezza si trasforma in peso.

        I social e l’industria cosmetica stanno cambiando il modo in cui percepiamo la pelle, il viso, l’aspetto di noi stessi. Serve cultura, educazione, consapevolezza: perché ogni pelle — giovane, adulta o matura — merita rispetto, non ossessione.

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          Benessere

          Quel piede che non sta fermo: stress, abitudine o semplice concentrazione?

          Un comportamento molto diffuso viene spesso letto come segnale emotivo nascosto. Psicologi e medici spiegano perché oscillare la gamba non è sempre indice di ansia e quando, invece, può meritare attenzione.

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          piede che non sta fermo

            Capita a molti: seduti alla scrivania, in riunione o mentre si aspetta il treno, la gamba inizia a muoversi da sola, avanti e indietro, in modo ritmico. Un gesto così comune da passare quasi inosservato, ma che spesso suscita curiosità e interpretazioni. È solo un’abitudine nervosa o il corpo sta cercando di dirci qualcosa?

            Secondo gli esperti di psicologia comportamentale, oscillare la gamba rientra tra i cosiddetti comportamenti di fidgeting, movimenti involontari e ripetitivi che aiutano a regolare la tensione interna. Non è un segnale di debolezza, spiegano gli specialisti, ma un meccanismo di autoregolazione del sistema nervoso. Quando ci si trova sotto pressione, annoiati o in attesa di un evento importante, il corpo può cercare una via per scaricare l’energia in eccesso senza interferire con ciò che stiamo facendo.

            Diversi studi, tra cui una revisione pubblicata sul Journal of Physical Activity and Health, indicano che piccoli movimenti ripetitivi possono contribuire a mantenere la concentrazione e ridurre l’irrequietezza, soprattutto in persone che devono restare sedute a lungo. Nei bambini e negli adulti con disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), ad esempio, il fidgeting può facilitare la gestione dell’attenzione senza rappresentare un segnale di disagio emotivo.

            Non sempre, però, il fenomeno ha un significato psicologico. Per molti è semplicemente un’abitudine radicata, spesso familiare, o un gesto automatico legato al consumo di caffeina, alla stanchezza o a lunghi periodi in posizione statica. Muovere la gamba, insomma, non basta per trarre conclusioni sullo stato emotivo di una persona.

            Esiste anche un’altra condizione, meno comune, da distinguere dal comportamento quotidiano: la sindrome delle gambe senza riposo (Restless Legs Syndrome). Si tratta di un disturbo neurologico riconosciuto, caratterizzato da un bisogno incontrollabile di muovere gli arti inferiori, soprattutto la sera e di notte, accompagnato da sensazioni spiacevoli. A differenza del semplice dondolio, interferisce con il sonno e la qualità della vita e richiede una valutazione medica.

            Detto questo, il corpo può davvero inviare segnali utili. Se il movimento compare in periodi di forte pressione, si associa ad altri sintomi — come affaticamento, irritabilità o difficoltà di sonno — può essere un campanello d’allarme per ricordarci che stiamo chiedendo troppo a noi stessi. Gli psicologi suggeriscono di osservare il contesto più che il gesto: fare una pausa, cambiare posizione, respirare profondamente o concedersi momenti di decompressione può essere più efficace del tentativo di controllare il movimento.

            Interpretare il linguaggio del corpo richiede quindi prudenza. Non ogni gamba che ondeggia nasconde un conflitto interiore, così come non ogni gesto automatico è privo di significato. La chiave sta nell’ascolto consapevole — senza allarmismi, ma senza ignorare i segnali che il corpo, a volte, ci invia prima della mente.

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              Benessere

              Attacchi di panico: riconoscerli, affrontarli e prevenirli

              Gli esperti spiegano come distinguere l’attacco di panico da altre crisi d’ansia e quali strategie adottare per gestirlo. Dal respiro controllato al supporto psicologico, fino a uno stile di vita equilibrato: ecco le armi per riprendere il controllo.

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              Attacchi di panico

                Un cuore che batte all’impazzata, la sensazione di non riuscire a respirare, un’ondata di paura incontrollabile. Sono alcuni dei segnali tipici dell’attacco di panico, un disturbo d’ansia che può colpire all’improvviso e paralizzare chi ne soffre. In media dura tra i 20 e i 30 minuti, ma la percezione soggettiva è spesso quella di un tempo infinito. A differenza della crisi d’angoscia acuta, che si manifesta con sintomi più intensi e numerosi. L’attacco di panico si caratterizza per la rapidità con cui emerge e per l’effetto destabilizzante.

                Tra le manifestazioni più comuni compaiono palpitazioni, dolore o fastidio al petto, vertigini, nausea, vampate di calore, tremori e la sensazione di soffocamento. Sintomi che possono ricordare altre condizioni, come la spasmofilia, che però si diagnostica attraverso un elettromiogramma. Non stupisce quindi che, durante un episodio, molti temano di essere vittima di un infarto o di perdere completamente il controllo.

                Gli specialisti sottolineano però che l’attacco, pur essendo spaventoso, non mette in pericolo la vita e può essere gestito con alcune tecniche mirate. Prima di tutto è utile allontanarsi dal contesto che genera ansia – un luogo affollato, un mezzo di trasporto, una situazione percepita come insicura – e cercare un ambiente tranquillo in cui attendere la fine della crisi. Se si è in auto, meglio fermarsi e non ripartire finché i sintomi non si attenuano.

                Fondamentale anche concentrarsi sul respiro. L’iperventilazione è una reazione tipica durante l’attacco e rischia di amplificare la paura. Respirare lentamente, con la bocca chiusa e usando il diaframma, aiuta a ristabilire un ritmo più regolare. Un altro accorgimento è osservare l’orologio: il tempo oggettivo aiuta a ricordare che la crisi dura pochi minuti, non ore, e sposta l’attenzione dai sintomi a un dato concreto.

                Non meno importante il ruolo delle relazioni. Essere accompagnati da una persona cara o chiedere supporto in caso di bisogno può ridurre l’ansia e dare la sensazione di non affrontare tutto da soli. Alcuni trovano utile focalizzarsi su immagini positive, su ricordi felici o immaginare un luogo rilassante, per distrarre la mente dal vortice di pensieri negativi.

                La prevenzione è altrettanto cruciale. Attività fisica regolare, tecniche di rilassamento e una routine equilibrata tra sonno e alimentazione riducono il rischio di ricadute. Al contrario, il consumo di alcol, cannabis o alcune sostanze stimolanti può diventare un fattore scatenante.

                Quando gli episodi diventano ricorrenti o troppo invalidanti, è raccomandata la consulenza di uno psicologo o di uno psichiatra. Le terapie comportamentali e cognitive hanno dimostrato una particolare efficacia nel fornire strumenti pratici per gestire l’ansia e ridurre la frequenza degli attacchi.

                Gli attacchi di panico, spiegano gli esperti, non vanno banalizzati né demonizzati: sono un campanello d’allarme che invita a rallentare e ad ascoltare il proprio corpo e la propria mente. Affrontarli significa anche imparare a prendersi cura di sé, trasformando un’esperienza traumatica in un’occasione di crescita personale.

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