Salute
Bambini troppo sedentari, trascorrono sei ore al giorno inattivi, sviluppando gravi rischi per la salute
La sedentarietà nei bambini è un problema significativo che può avere gravi conseguenze sulla salute epatica in età adulta. Adottare uno stile di vita attivo, con almeno tre ore di attività leggera al giorno, è fondamentale per ridurre il rischio di fegato grasso e cirrosi, contribuendo a migliorare la salute generale e il benessere dei giovani.
I bambini con uno stile di vita troppo sedentario, trascorrendo più di sei ore al giorno inattivi, sono a rischio elevato di sviluppare problemi epatici in età adulta, come il fegato grasso e la cirrosi. I dati emergono da uno studio pubblicato sulla rivista Gut and Liver e realizzato da Andrew Agbaje della University of Eastern Finland e della University of Exeter
Cosa ci dicono i dati raccolti
Lo studio ha utilizzato i dati di Alspac, un progetto longitudinale che ha monitorato oltre 2.500 bambini e adolescenti nel Regno Unito. I partecipanti, di età compresa tra 11 e 24 anni, hanno indossato regolarmente un accelerometro per misurare la loro attività fisica e hanno eseguito ecografie epatiche e analisi del sangue per rilevare la presenza di grasso nel fegato e cicatrici della cirrosi.
Da sei a nove ore di sedentarietà al giorno: sono troppe
I dati mostrano che, in media, i bambini sono sedentari per sei ore al giorno, un tempo che aumenta a nove ore durante l’adolescenza. Per ogni mezz’ora di sedentarietà aggiuntiva oltre le sei ore, il rischio di sviluppare fegato grasso entro i 25 anni aumenta del 15%. Al contrario, ogni mezz’ora di attività fisica leggera oltre le tre ore al giorno riduce il rischio del 33%.
Da adulti rischio fegato ingrossato e cirrosi
La malattia del fegato grasso è caratterizzata dall’accumulo di grasso nel fegato, causato spesso dalla sindrome metabolica o dal consumo di alcool. La cirrosi, invece, è una degenerazione del tessuto epatico normale in tessuto cicatriziale non funzionante, una delle principali cause di morte a livello mondiale.
Una campagna di prevenzione: InFormaTeen
Per contrastare gli effetti negativi della sedentarietà, è essenziale promuovere attività fisica leggera per almeno tre ore al giorno. Questo tipo di attività include giochi all’aperto, passeggiate con il cane, fare commissioni e andare in bicicletta. La campagna InFormaTeen mira a sensibilizzare gli adolescenti sull’importanza della prevenzione tramite attività fisica regolare.
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Salute
Intossicazioni alimentari durante le feste: quando il Natale finisce al pronto soccorso
Dai sintomi più lievi ai casi che richiedono un intervento urgente: ecco come riconoscere un’intossicazione alimentare, cosa fare subito e quando il rischio diventa serio.
Le festività natalizie sono da sempre sinonimo di convivialità e tavole imbandite, ma ogni anno, proprio in questo periodo, aumentano i casi di intossicazione alimentare. Un fenomeno tutt’altro che raro, favorito dall’elevato consumo di cibi elaborati, dalla preparazione anticipata dei piatti e da una gestione non sempre attenta della catena del freddo. Secondo i dati della sanità pubblica, le infezioni di origine alimentare tendono a crescere nei periodi festivi, quando i pasti fuori casa e i grandi pranzi familiari diventano la norma.
Cos’è un’intossicazione alimentare
L’intossicazione alimentare è una condizione causata dall’ingestione di alimenti o bevande contaminati da batteri, virus, parassiti o dalle tossine da essi prodotte. Tra i microrganismi più frequentemente coinvolti figurano Salmonella, Campylobacter, Escherichia coli, Listeria monocytogenes e Norovirus. In alcuni casi non è il germe in sé a provocare i disturbi, ma le tossine già presenti nel cibo.
I sintomi più comuni
I disturbi possono comparire da poche ore fino a diversi giorni dopo il consumo dell’alimento contaminato, a seconda dell’agente responsabile. I segnali più frequenti includono nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, febbre e senso di debolezza. Nelle forme lievi, i sintomi si risolvono spontaneamente nell’arco di 24-72 ore. Tuttavia, non sempre va così.
Quando preoccuparsi
Esistono situazioni in cui l’intossicazione alimentare può diventare pericolosa per la vita. Febbre molto alta, disidratazione severa, sangue nelle feci, vomito persistente o stato confusionale sono campanelli d’allarme che richiedono un consulto medico immediato. Particolare attenzione va riservata a anziani, bambini piccoli, donne in gravidanza e persone con sistema immunitario compromesso, più esposti a complicanze gravi, come sepsi o danni neurologici, soprattutto in caso di infezione da Listeria.
Cosa fare ai primi sintomi
In presenza di disturbi lievi, la prima regola è reidratarsi: acqua, soluzioni saline e tisane aiutano a reintegrare i liquidi persi. È consigliabile sospendere temporaneamente cibi pesanti, latticini e alcol, privilegiando una dieta leggera. Gli antibiotici non vanno assunti senza indicazione medica, perché spesso inutili o addirittura controproducenti nelle infezioni virali.
Se i sintomi peggiorano o persistono oltre due giorni, è fondamentale rivolgersi al medico o al pronto soccorso.
Gli alimenti più a rischio durante le feste
Durante il periodo natalizio, i cibi più spesso coinvolti sono uova crude o poco cotte, maionese fatta in casa, dolci con creme, carni poco cotte, pesce crudo o affumicato e piatti lasciati a temperatura ambiente troppo a lungo. Anche la conservazione impropria degli avanzi rappresenta una delle principali cause di contaminazione.
Prevenzione: la vera arma
La prevenzione resta lo strumento più efficace. Lavare accuratamente le mani, cuocere bene gli alimenti, rispettare le temperature di conservazione e consumare i piatti entro tempi sicuri riduce drasticamente il rischio. In cucina, soprattutto durante le feste, l’attenzione ai dettagli può fare la differenza.
Feste sì, ma in sicurezza
Godersi il Natale e il Capodanno è possibile senza rinunce, purché si mantenga un approccio consapevole. Riconoscere i segnali di un’intossicazione alimentare e sapere quando intervenire permette di trasformare un potenziale pericolo in un semplice incidente di percorso, evitando conseguenze ben più serie.
Salute
Attacchi di panico: riconoscerli, affrontarli e prevenirli
Gli esperti spiegano come distinguere l’attacco di panico da altre crisi d’ansia e quali strategie adottare per gestirlo. Dal respiro controllato al supporto psicologico, fino a uno stile di vita equilibrato: ecco le armi per riprendere il controllo.
Un cuore che batte all’impazzata, la sensazione di non riuscire a respirare, un’ondata di paura incontrollabile. Sono alcuni dei segnali tipici dell’attacco di panico, un disturbo d’ansia che può colpire all’improvviso e paralizzare chi ne soffre. In media dura tra i 20 e i 30 minuti, ma la percezione soggettiva è spesso quella di un tempo infinito. A differenza della crisi d’angoscia acuta, che si manifesta con sintomi più intensi e numerosi. L’attacco di panico si caratterizza per la rapidità con cui emerge e per l’effetto destabilizzante.
Tra le manifestazioni più comuni compaiono palpitazioni, dolore o fastidio al petto, vertigini, nausea, vampate di calore, tremori e la sensazione di soffocamento. Sintomi che possono ricordare altre condizioni, come la spasmofilia, che però si diagnostica attraverso un elettromiogramma. Non stupisce quindi che, durante un episodio, molti temano di essere vittima di un infarto o di perdere completamente il controllo.
Gli specialisti sottolineano però che l’attacco, pur essendo spaventoso, non mette in pericolo la vita e può essere gestito con alcune tecniche mirate. Prima di tutto è utile allontanarsi dal contesto che genera ansia – un luogo affollato, un mezzo di trasporto, una situazione percepita come insicura – e cercare un ambiente tranquillo in cui attendere la fine della crisi. Se si è in auto, meglio fermarsi e non ripartire finché i sintomi non si attenuano.
Fondamentale anche concentrarsi sul respiro. L’iperventilazione è una reazione tipica durante l’attacco e rischia di amplificare la paura. Respirare lentamente, con la bocca chiusa e usando il diaframma, aiuta a ristabilire un ritmo più regolare. Un altro accorgimento è osservare l’orologio: il tempo oggettivo aiuta a ricordare che la crisi dura pochi minuti, non ore, e sposta l’attenzione dai sintomi a un dato concreto.
Non meno importante il ruolo delle relazioni. Essere accompagnati da una persona cara o chiedere supporto in caso di bisogno può ridurre l’ansia e dare la sensazione di non affrontare tutto da soli. Alcuni trovano utile focalizzarsi su immagini positive, su ricordi felici o immaginare un luogo rilassante, per distrarre la mente dal vortice di pensieri negativi.
La prevenzione è altrettanto cruciale. Attività fisica regolare, tecniche di rilassamento e una routine equilibrata tra sonno e alimentazione riducono il rischio di ricadute. Al contrario, il consumo di alcol, cannabis o alcune sostanze stimolanti può diventare un fattore scatenante.
Quando gli episodi diventano ricorrenti o troppo invalidanti, è raccomandata la consulenza di uno psicologo o di uno psichiatra. Le terapie comportamentali e cognitive hanno dimostrato una particolare efficacia nel fornire strumenti pratici per gestire l’ansia e ridurre la frequenza degli attacchi.
Gli attacchi di panico, spiegano gli esperti, non vanno banalizzati né demonizzati: sono un campanello d’allarme che invita a rallentare e ad ascoltare il proprio corpo e la propria mente. Affrontarli significa anche imparare a prendersi cura di sé, trasformando un’esperienza traumatica in un’occasione di crescita personale.
Salute
Cibo scaduto: si può mangiare davvero o è sempre un rischio?
Sicurezza alimentare, sprechi e buon senso: cosa dicono le regole, quali prodotti non vanno mai consumati dopo la scadenza e quando, invece, è possibile valutare caso per caso.
Aprire la dispensa e trovare un prodotto appena scaduto è un’esperienza comune. La domanda sorge spontanea: si può consumare o va buttato senza esitazioni? La risposta non è sempre la stessa e dipende da un dettaglio fondamentale spesso ignorato: il tipo di data indicata sull’etichetta.
Le due scadenze che non sono uguali
Sulle confezioni alimentari compaiono principalmente due diciture. La prima è “da consumarsi entro”, che indica una vera e propria data di scadenza. Superato quel termine, il prodotto può rappresentare un rischio per la salute e non dovrebbe essere mangiato. È il caso di alimenti altamente deperibili come carne fresca, pesce, latte fresco, formaggi molli e piatti pronti refrigerati.
La seconda dicitura è “da consumarsi preferibilmente entro”, che segnala invece il termine minimo di conservazione. Oltre quella data il cibo può aver perso parte delle sue caratteristiche organolettiche – gusto, profumo, consistenza – ma non è automaticamente pericoloso, se conservato correttamente e se la confezione è integra.
Quali alimenti possono durare di più
Prodotti secchi o a lunga conservazione come pasta, riso, biscotti, legumi secchi, conserve, farina e zucchero possono spesso essere consumati anche settimane o mesi dopo il termine minimo, purché non presentino muffe, odori anomali o infestazioni. Lo stesso vale per molti prodotti in scatola, che restano sicuri finché il contenitore non è gonfio, arrugginito o danneggiato.
Attenzione agli alimenti a rischio
Diverso il discorso per cibi che favoriscono la proliferazione batterica. Uova, latticini freschi, carne cruda, salumi affettati e pesce non dovrebbero mai essere consumati oltre la data di scadenza vera e propria. In questi casi, il rischio di intossicazioni alimentari supera di gran lunga il beneficio di evitare uno spreco.
L’importanza della conservazione
La data in etichetta vale solo se il prodotto è stato conservato correttamente. Un alimento lasciato fuori dal frigorifero, esposto al caldo o aperto da tempo può deteriorarsi ben prima della scadenza indicata. Per questo è fondamentale seguire le istruzioni riportate sulla confezione e, una volta aperto il prodotto, consumarlo entro i tempi suggeriti.
I sensi come alleati (ma non sempre sufficienti)
Osservare, annusare e assaggiare con cautela può aiutare a capire se un alimento è ancora buono, ma non è una garanzia assoluta di sicurezza. Alcuni microrganismi pericolosi, infatti, non alterano né l’odore né l’aspetto del cibo. Per questo il buon senso deve sempre accompagnarsi alle regole di base della sicurezza alimentare.
Meno sprechi, più consapevolezza
Conoscere la differenza tra le varie date di scadenza aiuta non solo a tutelare la salute, ma anche a ridurre lo spreco alimentare, un problema sempre più rilevante. Buttare cibo ancora sicuro significa sprecare risorse, ma consumare alimenti realmente scaduti può avere conseguenze serie.
La regola d’oro
In caso di dubbio, meglio non rischiare. La sicurezza viene prima di tutto. Ma imparare a leggere correttamente le etichette permette di fare scelte più informate, responsabili e sostenibili, senza rinunciare al buon senso.
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