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Salute

Infertilità maschile in crescita: come combattere gli effetti negativi dello stile di vita moderno

Fumo, alcol e inquinamento ambientale sono tra i principali responsabili della riduzione della fertilità maschile. Ecco cosa evitare e quali alimenti e integratori possono migliorare la qualità dello sperma in vista di una futura procreazione.

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    L’infertilità di coppia è un problema di proporzioni crescenti, soprattutto nei paesi industrializzati come l’Italia. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il 15-20% delle coppie soffre di problemi di fertilità, con cause che vanno dalla sofisticazione degli alimenti, l’inquinamento ambientale e lo stile di vita moderno. La fertilità maschile, in particolare, è in declino per una combinazione di fattori esterni, come l’esposizione a tossine e la qualità dell’alimentazione.

    Studi scientifici evidenziano una riduzione significativa del numero di spermatozoi negli uomini in diverse parti del mondo. Negli Stati Uniti, ad esempio, si è registrata una diminuzione del 50% tra il 1982 e il 1992, mentre in Europa, dal 1971 al 1990, la riduzione è stata del 3,1% all’anno. Ciò si collega alla diminuzione del consumo di alimenti freschi, sostituiti da prodotti trattati, che spesso contengono pesticidi, metalli pesanti e altre sostanze dannose che compromettono la salute riproduttiva.

    Fattori che peggiorano la qualità dello sperma

    • Fumo: Riduce il numero di spermatozoi e la motilità, aumentando i rischi di aborto spontaneo, nati morti e malformazioni congenite.
    • Alcol: Provoca una diminuzione della quantità e qualità degli spermatozoi. Si consiglia di evitare il consumo di alcol per almeno 70-90 giorni prima della concezione.
    • Caffeina: L’abuso di bevande contenenti caffeina può ridurre il numero e la motilità degli spermatozoi, oltre ad aumentare il rischio di aborti e nascite premature.
    • Stress e droghe: Lo stress cronico e l’uso di droghe, come marijuana e cocaina, influenzano negativamente la qualità dello sperma, con effetti a lungo termine sulla fertilità.
    • Calore: Evitare l’esposizione eccessiva a bagni caldi e saune poiché il calore eccessivo può danneggiare lo sperma, che necessita di temperature più basse rispetto al resto del corpo.

    Cosa può migliorare la fertilità maschile? Esistono alcuni nutrienti e integratori che possono migliorare la qualità dello sperma:

    • Vitamina B12: Fondamentale per aumentare il numero di spermatozoi, si trova in alghe come la spirulina.
    • Vitamina C ed E: Essenziali per migliorare motilità e vitalità dello sperma.
    • Zinco e Selenio: Questi minerali favoriscono la produzione di spermatozoi di buona qualità, con lo zinco in particolare utile per il mantenimento dei livelli di testosterone.
    • L-Carnitina e L-Arginina: Aminoacidi che supportano la maturazione e la motilità degli spermatozoi.

    La combinazione di una dieta sana, priva di pesticidi e contaminanti, insieme a uno stile di vita equilibrato, può avere un impatto positivo sulla fertilità maschile, soprattutto se associata all’eliminazione di abitudini nocive come fumo, alcol e droghe.

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      Salute

      Un’iniezione per ridare la vista: la nuova frontiera contro la cecità corneale

      Dagli specialisti riuniti al congresso SISO-AIMO di Roma arriva l’annuncio: la terapia cellulare è vicina all’approvazione clinica. Potrà restituire trasparenza alla cornea e vista a chi l’ha perduta, riducendo la necessità di trapianti e la dipendenza dalle donazioni.

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      Un’iniezione per ridare la vista

        «Non siamo mai stati così vicini a una cura per la cecità corneale». Con queste parole gli esperti riuniti a Roma per il primo congresso nazionale congiunto della Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (SISO) e dell’Associazione Italiana Medici Oculisti (AIMO) hanno annunciato un passo storico nella ricerca: una terapia rigenerativa basata su un’iniezione di cellule endoteliali in grado di rigenerare la cornea malata, evitando il trapianto.

        La nuova tecnica, già testata con risultati incoraggianti e attualmente in fase III di sperimentazione clinica in Nord America, potrebbe rivoluzionare il trattamento di una delle principali cause di perdita della vista a livello globale.

        Cecità corneale: una sfida mondiale

        La cecità corneale colpisce ogni anno circa 10 milioni di persone nel mondo, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Si tratta di una condizione provocata da malattie, traumi o infezioni che danneggiano la cornea, la membrana trasparente che consente alla luce di entrare nell’occhio. Quando lo strato più interno, l’endotelio, smette di funzionare correttamente, la cornea perde trasparenza e la vista si offusca fino alla cecità.

        Per oltre un secolo, la soluzione è stata il trapianto di cornea da donatore, un intervento che ha restituito la vista a milioni di persone. Tuttavia, spiega Vincenzo Sarnicola, consigliere SISO e direttore della Clinica degli Occhi Sarnicola di Grosseto, «il trapianto, pur efficace, presenta rischi di rigetto, complicanze e dipende fortemente dalla disponibilità di tessuti donati».

        L’Italia pioniera dei trapianti lamellari

        Negli ultimi vent’anni, la chirurgia oftalmologica ha fatto enormi progressi. I trapianti lamellari, che sostituiscono solo la parte malata della cornea, hanno ridotto l’invasività e migliorato la sopravvivenza dei tessuti trapiantati. L’Italia è stata tra i Paesi pionieri di queste tecniche, che oggi rappresentano lo standard di riferimento.

        Ma resta il problema della carenza di donazioni. «In Italia abbiamo un’eccellente rete di banche degli occhi e un surplus di tessuti, tanto da poterli esportare — spiega Sarnicola — ma in molti Paesi del mondo, dal Sud America all’Asia, la carenza è cronica».

        La svolta: rigenerare invece di trapiantare

        Da qui nasce la promessa della terapia cellulare rigenerativa, che potrebbe superare definitivamente il limite delle donazioni. Il principio è semplice e rivoluzionario: invece di sostituire la cornea danneggiata, si stimola la rigenerazione del suo tessuto endoteliale attraverso una singola iniezione di cellule sane.

        «La tecnica prevede che una piccola quantità di cellule prelevate da una cornea donata venga moltiplicata in laboratorio e poi iniettata nell’occhio del paziente», spiega Sarnicola. «Una volta introdotte, queste cellule si posano sulla superficie interna della cornea e riprendono a funzionare, restituendole trasparenza».

        I risultati dei primi studi, pubblicati su Nature Biotechnology, mostrano che da una sola cornea di un donatore giovane (sotto i 30 anni) si potrebbero ottenere fino a mille dosi cellulari, sufficienti per curare altrettanti pazienti.

        Una speranza concreta per milioni di persone

        «Le terapie cellulari rigenerative rappresentano la vera nuova frontiera della cura per la cecità corneale endoteliale», sottolinea Vito Romano, professore associato di Oftalmologia all’Università di Brescia. «I dati attuali sono straordinariamente positivi: la cornea recupera la trasparenza in poche settimane, senza rigetto e senza necessità di trapianto».

        Se la sperimentazione in corso dovesse confermare i risultati, la terapia potrebbe essere approvata entro pochi anni e diventare una pratica clinica accessibile anche in Italia.

        Un futuro in cui la cecità potrà essere curata

        Oggi il trapianto di cornea resta una risorsa preziosa, ma la prospettiva di un trattamento rigenerativo apre scenari fino a poco tempo fa impensabili: curare la cecità senza bisturi, con un’iniezione.

        «Non si tratta solo di restituire la vista — conclude Sarnicola — ma di ridare autonomia e qualità di vita a milioni di persone. È un sogno che sta diventando realtà».

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          Salute

          L’alcol e gli antidepressivi: una questione delicata

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          L'alcol e gli antidepressivi

            Mentre un bicchiere di vino o una birra possono sembrare innocui per molti, per coloro che assumono antidepressivi, l’alcol può rappresentare un rischio significativo. Questa combinazione può avere effetti imprevisti e persino pericolosi sul corpo e sulla mente. Vediamo perché l’abbinamento di alcol e antidepressivi è sconsigliato.

            Effetti collaterali potenziali

            Gli antidepressivi sono progettati per influenzare i neurotrasmettitori nel cervello al fine di trattare disturbi dell’umore come depressione, ansia e disturbo ossessivo-compulsivo. L’alcol, d’altro canto, è un depressivo del sistema nervoso centrale che può accentuare gli effetti collaterali degli antidepressivi. Questo può includere sonnolenza, vertigini, difficoltà di concentrazione e problemi di coordinazione.

            Aumento del rischio di depressione

            Sebbene l’alcol possa inizialmente sembrare un modo per alleviare lo stress o l’ansia, può in realtà esacerbare i sintomi della depressione nel lungo termine. L’alcol è noto per avere effetti depressivi sul sistema nervoso centrale, il che può contrastare gli sforzi per trattare la depressione con farmaci antidepressivi.

            Alterazione dell’efficacia del trattamento

            L’assunzione di alcol mentre si è sotto trattamento con antidepressivi può compromettere l’efficacia del farmaco nel trattare i sintomi. L’alcol può interferire con l’assorbimento e il metabolismo degli antidepressivi nel corpo, riducendo la loro efficacia nel gestire i disturbi dell’umore.

            Rischio di gravi reazioni avverse

            Oltre agli effetti collaterali comuni, l’abbinamento di alcol e antidepressivi può aumentare il rischio di gravi reazioni avverse. Questo può includere aumento della pressione sanguigna, crisi ipertensive, insufficienza respiratoria e comportamento suicida. In alcuni casi estremi, può verificarsi anche il rischio di coma.

            Consigli e precauzioni

            È fondamentale seguire le indicazioni del medico riguardo all’assunzione di antidepressivi e all’evitare l’alcol durante il trattamento. Se si ha il desiderio di bere, è importante discuterne con il proprio medico per valutare i rischi e benefici individuali. Inoltre, è essenziale essere consapevoli dei segnali di reazioni avverse e cercare assistenza medica immediata in caso di emergenza.

            L’interazione tra alcol e antidepressivi può essere pericolosa e sconsigliata. È importante essere consapevoli dei rischi associati e seguire le indicazioni del medico per garantire un trattamento sicuro ed efficace dei disturbi dell’umore. In caso di dubbi o domande, è sempre consigliabile consultare un professionista sanitario. Se ti senti giù, prova a leggere i nostri consigli per raggiungere la gioia.

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              Salute

              Shock anafilattico: riconoscerlo in tempo può salvare una vita

              L’anafilassi non è un’allergia comune: è una corsa contro il tempo che richiede sangue freddo, prontezza e conoscenza delle manovre di primo soccorso.

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              Shock anafilattico

                Una puntura d’insetto, una nocciolina, un farmaco. Bastano pochi secondi per scatenare una reazione allergica violenta, chiamata shock anafilattico, che può mettere in pericolo la vita.
                Secondo il Ministero della Salute, i casi di anafilassi sono in aumento, soprattutto tra i giovani e chi soffre di allergie alimentari. Ogni anno, in Italia, si registrano migliaia di accessi al pronto soccorso per reazioni di questo tipo.

                Cos’è lo shock anafilattico

                Lo shock anafilattico è la forma più grave di reazione allergica sistemica. Si verifica quando il sistema immunitario reagisce in modo eccessivo a una sostanza normalmente innocua – come un alimento, un farmaco o il veleno di un insetto – rilasciando una grande quantità di istamina e altre sostanze infiammatorie.
                Questo provoca una vasodilatazione improvvisa e una caduta della pressione sanguigna, associata a difficoltà respiratorie, gonfiore e alterazione dello stato di coscienza. Se non trattato immediatamente, può portare alla perdita di conoscenza e al blocco cardiaco.

                Come riconoscerlo

                I sintomi compaiono quasi sempre entro pochi minuti dal contatto con l’allergene. I segnali da non ignorare includono:

                • Orticaria diffusa, arrossamento o prurito intenso;
                • Gonfiore di labbra, lingua o gola (angioedema);
                • Voce rauca, tosse secca o respiro sibilante;
                • Sensazione di svenimento o confusione;
                • Battito accelerato, pallore e sudorazione fredda.

                In alcuni casi, i sintomi gastrointestinali (nausea, crampi, vomito) possono essere i primi campanelli d’allarme. Se compaiono due o più di questi segni, bisogna agire subito: ogni minuto conta.

                Cosa fare nell’emergenza

                La prima cosa da fare è chiamare immediatamente il 118 (o 112), specificando che si sospetta uno shock anafilattico.
                Se la persona ha con sé un autoiniettore di adrenalina (come EpiPen o Jext), va usato senza esitazione: si applica sulla parte esterna della coscia, anche sopra i vestiti. L’adrenalina è il farmaco salvavita che contrasta gli effetti dell’istamina e ripristina la pressione sanguigna e la respirazione.

                Dopo l’iniezione, la persona deve essere sdraiata con le gambe sollevate, a meno che non abbia difficoltà respiratorie: in quel caso, è meglio tenerla semi seduta per facilitare il respiro. Se il paziente perde conoscenza ma respira, va messo in posizione laterale di sicurezza.

                Mai somministrare cibo o bevande e non tentare di “aspettare che passi”: l’anafilassi può peggiorare rapidamente anche dopo un apparente miglioramento.

                La prevenzione è la prima cura

                Chi ha già avuto una reazione allergica grave deve consultare un allergologo per identificare con precisione la sostanza responsabile e valutare la prescrizione di adrenalina autoiniettabile. Portarla sempre con sé – a scuola, in viaggio, al lavoro – può fare la differenza tra la vita e la morte.

                Inoltre, è fondamentale informare familiari, amici e colleghi su dove si trova il dispositivo e come usarlo: in molti casi, l’intervento tempestivo di chi è accanto alla persona colpita è ciò che la salva.

                Un gesto che vale una vita

                Lo shock anafilattico non lascia spazio all’improvvisazione. Conoscere i sintomi e saper agire prontamente è un atto di responsabilità verso se stessi e gli altri. Come ricordano la Croce Rossa Italiana e l’OMS, la prevenzione e la formazione di base nel primo soccorso possono ridurre drasticamente la mortalità.

                In fondo, bastano pochi gesti per fare la differenza: riconoscere, reagire, e non esitare. Perché contro l’anafilassi, il tempo è davvero tutto.

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