Beauty
Unwashed: abitudine per zozzoni o precisa scelta eco-friendly?
Anche da noi si sta diffondendo sempre più l’abitudine a limitare la doccia e, in generale, ad avere un rapporto differente nei confronti dell’igiene personale. Con buona pace dei dermatologi che confermano i risultati positivi.
Nel mare di termini anglofili – che a noi italiani pare ci piacciano così tanto – l’unwashed rappresenta la nuova tendenza che si basa sul lavarsi meno o addirittura non lavarsi, eccezione fatta per il minimo indispensabile. Una moda made in USA (ma molto diffusa anche Inghilterra e in Francia) che nel nostro Paese sta facendo proseliti. Personaggi del calibro di Russell Crow e Johnny Depp hanno apertamente detto “no” alla doccia tutti i giorni… e in un certo qualco modo – aggiungiamo noi – si vede pure! In Italia alcuni testimoni illustri di questo trend sono l’ex presidente del WWF Fulvio Pratesi, il giornalista Giuseppe Cruciani o l’alpinista-scrittore Mauro Corona.
Il risparmio di un bene fondamentale: l’acqua
Alla base di questa nuova tendenza c’è una precisa coscienza ambientale: non lavarsi tutti i giorni (specialmente usando la doccia) rappresenta un grande risparmio d’acqua, limitando di conseguenza l’utilizzo di saponi e shampoo. Qualche numero utile per meglio comprendere la questione: in media per una doccia di 5 minuti si usano circa 75-80 litri di acqua, con un consumo di 15-16 litri d’acqua al minuto, mentre per riempire una vasca da bagno ne occorrono circa 150.
Esistono vari approcci a questa pratica
Intendiamoci, praticare l’unwashed non significa necessariamente andare in giro sporchi o puzzolenti. E comunque questa pratica contempla vari livelli: da quelli più estremisti – con una doccia una volta al mese – a quelli più moderati con due docce alla settimana. Si potrebbe quindi dire che rappresenta la scelta di lavarsi il meno possibile.
L’esperienza ell’inglese Nicky
Nel 2007 l’inglese Nicky Taylor, fanatica della routine del benessere e del make up, iniziò a non farsi più la doccia quotidianamente, evitando di lavarsi i capelli con shampoo e balsamo e dicendo stop anche alle creme di bellezza e deodoranti. Questo dopo consultato attentamente gli ingredienti dei prodotti che usava di frequente: tra creme e altro, raccontò in quella occasione alla Bbc, esponeva la sua pelle a circa 200 sostanze chimiche ogni giorno.
40 giorni di “astinenza”… o quasi
Per 40 giorni non si lavò se non con acqua e solo il necessario. Dopo il primi giorni di estremo disagio, Nicky notò degli enormi miglioramenti della pelle e dei capelli, nonché dell’odore corporeo. Confutati da test ed esami che confermarono il ritrovato stato di salute della pelle dopo una pratica del genere. Trascorsi i 40 giorni, si organizzò con una nuova routine d’igiene personale, limitando l’uso della doccia e utilizzando solo prodotti organici,cdeodorante fai da te e una crema idratante.
I danni dell’eccesso di piluzia
Un esempio, il suo, seguito da sempre più individui, che in questo modo intendono testimoniare una precisa coscienza ambientale e una consapevolezza che aiuta a superare anche certe remore, dovute alla nostra società attuale, come una vera e propria ossessione per il pulito e l’igiene a ogni costo. Una “cultura” che ha portato il mondo occidentale a un eccesso di pulizia nocivo non solo all’ambiente ma anche all’uomo. Limitare l’uso di saponi aggressivi ed evitare di farsi la doccia tutti i giorni, – lo testimoniano molti dermatologi – arreca benefici alla nostra pelle che può così ritrovare il suo equilibrio naturale.
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Beauty
Capelli crespi addio: come ottenere una chioma morbida e disciplinata
Con i giusti accorgimenti – dal lavaggio all’asciugatura – e una cura costante, è possibile dire addio ai capelli indisciplinati. Gli esperti spiegano come prevenire e gestire il crespo, adattando la routine alle stagioni e al proprio tipo di capello.
Perché succede davvero
Dietro l’effetto crespo non c’è solo sfortuna genetica. Si tratta, spiega la dermatologa e tricologa Francesca Ferri, di “una risposta del capello alla disidratazione”. Quando la cuticola, lo strato esterno del fusto, si solleva o si danneggia, il capello perde acqua e assorbe umidità dall’ambiente. Il risultato? Volume incontrollato, opacità e una texture ribelle.
Le cause possono essere molte: trattamenti chimici aggressivi (decolorazioni, stirature, permanenti), uso scorretto di phon e piastre, lavaggi troppo frequenti, ma anche fattori ambientali come smog, sole e umidità. Alcune persone, inoltre, hanno capelli naturalmente più porosi e predisposti al crespo, ma la buona notizia è che la condizione si può gestire e migliorare.
Lavaggio e idratazione: la base di tutto
La lotta al crespo comincia sotto la doccia. Gli esperti raccomandano di usare shampoo delicati e nutrienti, privi di solfati aggressivi, arricchiti con glicerina, olio di argan o aloe vera, ingredienti che aiutano a trattenere l’idratazione nel fusto del capello.
Chi ha capelli lisci ma crespi dovrebbe preferire formule liscianti e disciplinanti; chi ha capelli ricci, invece, shampoo e balsami specifici per ricci, che definiscono la forma naturale senza appesantire.
Il balsamo idratante è un passaggio imprescindibile: sigilla le cuticole e forma una barriera protettiva contro l’umidità. Lasciarlo agire per almeno tre minuti e pettinare i capelli con un pettine a denti larghi durante la posa aiuta a districare senza spezzare.
Una o due volte a settimana, il balsamo può essere sostituito con una maschera nutriente, meglio se contenente burro di karité, cheratina o proteine della seta. Per potenziarne l’effetto, avvolgere la chioma in un asciugamano caldo: il calore favorisce la penetrazione dei principi attivi.
Asciugatura: il momento più delicato
Uno degli errori più comuni è strofinare i capelli con un asciugamano di cotone. Le fibre ruvide creano attrito e sollevano le cuticole, aumentando il crespo. Meglio un asciugamano in microfibra o una t-shirt di cotone morbido: tamponare, mai strofinare.
Il phon va usato correttamente. I modelli agli ioni o con tecnologia ceramica riducono l’elettricità statica e asciugano più velocemente. La temperatura ideale è media, non massima, e l’uso del beccuccio concentratore permette di direzionare l’aria dall’alto verso il basso, mantenendo le cuticole chiuse.
Prima di asciugare, è fondamentale applicare un termoprotettore e, se necessario, uno spray disciplinante anti-crespo. Chi ha capelli lisci può completare con qualche goccia di olio secco leggero, mentre chi ha capelli ricci può usare una crema idratante o definente.
Gli strumenti giusti (e quelli da evitare)
Le spazzole con setole naturali, come quelle di cinghiale, sono le migliori alleate per distribuire il sebo naturale lungo le lunghezze e donare lucentezza. Le setole sintetiche, invece, tendono a generare elettricità statica e a spezzare i capelli, soprattutto se usate su capelli bagnati.
Per districare la chioma umida, meglio usare un pettine a denti larghi o una spazzola con setole miste (naturali e sintetiche di qualità).
Routine anti-crespo stagionale
In inverno, l’aria secca e il riscaldamento accentuano la disidratazione. In questo periodo conviene aumentare la frequenza delle maschere nutrienti, usare olio protettivo sulle punte e, se possibile, dormire su una federa di seta o raso per evitare attrito e staticità.
In estate, invece, l’umidità, il sole e la salsedine possono gonfiare e opacizzare la chioma. Meglio allora usare spray anti-umidità con protezione UV, risciacquare sempre i capelli dopo il mare o la piscina e preferire acconciature raccolte per ridurre l’esposizione.
Abitudini salva-chioma
Piccoli gesti quotidiani possono fare la differenza:
- Non uscire mai con i capelli ancora umidi.
- Evitare lavaggi troppo frequenti (2-3 a settimana bastano).
- Limitare piastre e arricciacapelli, preferendo pieghe morbide con trecce o chignon.
- Bere molta acqua e seguire una dieta equilibrata: anche l’idratazione interna incide sulla salute del capello.
Il crespo non è un difetto da nascondere, ma un segnale che il capello chiede idratazione e cura. Con costanza e attenzione ai dettagli – i prodotti giusti, il phon adeguato, la delicatezza nei gesti – è possibile trasformare una chioma ribelle in capelli lucenti, morbidi e disciplinati.
Come ricorda la tricologa Ferri: “Non servono miracoli, solo conoscenza. I capelli, come la pelle, rispondono bene a chi sa ascoltarli”.
Benessere
Dieta vichinga: il ritorno all’alimentazione “ancestrale” che conquista i social e i nutrizionisti
Tra tendenza virale e approccio scientifico, la “Viking diet” si impone come modello equilibrato e naturale, in contrasto con l’eccesso di cibi ultraprocessati della società moderna. Gli esperti ne apprezzano la varietà e il rispetto per la stagionalità, ma invitano alla moderazione.
Il ritorno alle origini
Negli ultimi anni, complice la crescente consapevolezza sui rischi legati ai cibi ultraprocessati, si è diffuso un rinnovato interesse per le diete ispirate al passato. Sempre più persone cercano un’alimentazione più semplice e genuina, basata su ingredienti locali e poco manipolati.
C’è chi sceglie di acquistare solo da piccoli produttori e chi, invece, si spinge oltre, abbracciando veri e propri modelli “ancestrali”. In questo panorama si inserisce la dieta vichinga, una versione moderna e bilanciata delle antiche abitudini dei popoli scandinavi.
Non si tratta solo di moda: dietro questo stile alimentare c’è un crescente interesse scientifico. Secondo gli esperti, il suo equilibrio tra proteine magre, cereali integrali, frutta e pesce la rende una delle diete più complete e sostenibili del momento.
Cosa mangiavano (davvero) i vichinghi
Storicamente, l’alimentazione vichinga era molto più varia di quanto si immagini. Gli studi dell’archeologo culinario Daniel Serra, che da oltre vent’anni ricostruisce la cucina nordica altomedievale, rivelano un regime ricco e bilanciato.
La base era costituita da pesce – soprattutto aringhe, merluzzi, salmoni e halibut –, accompagnato da verdure a radice come rape, carote, porri e cipolle, legumi, frutta selvatica, noci e cereali come orzo, segale e avena. Non mancavano latticini, uova e carne, utilizzata però con parsimonia rispetto alla nostra dieta moderna.
Gli scavi archeologici hanno confermato questa varietà, restituendo tracce di semi, cereali e utensili per la trasformazione del latte. Serra ha persino ricreato una ricetta tipica dei viaggiatori vichinghi: il Traveller’s Fish Porridge, un porridge salato a base di pesce essiccato, orzo e spezie, simbolo di un modo di nutrirsi pratico, ma sorprendentemente raffinato.
Perché è tornata di moda
Oggi la “Viking diet” vive una seconda giovinezza grazie ai social media, dove TikTok e Instagram pullulano di ricette “nordiche”: pane d’avena, zuppe di pesce, verdure fermentate e yogurt artigianale.
Secondo la dietista americana Lauren Harris-Pincus, “questa dieta si basa su alimenti freschi, stagionali e locali, gli stessi principi che oggi definiscono un’alimentazione sana e sostenibile”. È, di fatto, una versione nordica della dieta mediterranea, con un’enfasi maggiore sul pesce e i cereali integrali.
In Scandinavia è persino diventata un modello ufficiale di salute pubblica, sostenuto dal Nordic Nutrition Council, che ne promuove la diffusione nelle mense e nelle scuole come alternativa salutare alle diete occidentali ricche di zuccheri e grassi saturi.
I benefici secondo la scienza
Le evidenze scientifiche sono incoraggianti. Studi pubblicati su riviste come The American Journal of Clinical Nutrition hanno mostrato che una dieta in stile nordico – ricca di pesce azzurro, fibre, frutti di bosco e cereali integrali – può ridurre i livelli di colesterolo, migliorare la sensibilità all’insulina e abbassare il rischio di malattie cardiovascolari fino al 36%.
Come spiega la nutrizionista Karine Patel, “il punto di forza della dieta vichinga è la varietà: i cereali integrali forniscono energia a lento rilascio, il pesce apporta omega-3 benefici per il cuore e il cervello, le verdure di stagione garantiscono fibre e antiossidanti”.
Inoltre, si tratta di un modello ecologico, basato su prodotti locali e stagionali, che riduce l’impatto ambientale rispetto a un’alimentazione globalizzata e industriale.
Il parere degli esperti
Molti nutrizionisti invitano, però, a non idealizzare troppo il passato. “Non serve mangiare come un guerriero norreno per stare bene – precisa Patel –. L’importante è prendere spunto dai principi chiave: semplicità, freschezza e varietà”.
Anche il fitness coach Tristan Bonner e la personal trainer Chloe Thomas raccontano di aver adottato la dieta vichinga per motivi di salute e performance: “Ci ha aiutato a ridurre gli alimenti processati e a riscoprire la soddisfazione di cucinare piatti genuini”, spiegano.
Il loro menu tipo prevede piatti come sgombro affumicato con verdure arrosto, pane d’avena fatto in casa, stufato di cervo, bowl di yogurt e frutti di bosco. Un equilibrio perfetto tra nutrienti, gusto e semplicità.
Una dieta antica, ma moderna
In definitiva, la dieta vichinga non è un nostalgico ritorno al passato, ma una reinterpretazione attuale di un modello alimentare naturale e sostenibile.
Come conclude la dietista Patel: “Il segreto non è escludere, ma scegliere con consapevolezza. La dieta vichinga ci ricorda che mangiare bene significa rispettare il corpo e l’ambiente, proprio come facevano i nostri antenati – ma con la consapevolezza scientifica di oggi”.
Salute
Vertigini da stress: quando l’ansia manda in tilt l’equilibrio
Comprendere il legame tra ansia e vertigini è il primo passo per gestire il problema. Ecco come riconoscerlo, quali accertamenti fare e quando rivolgersi a un professionista.
Un improvviso senso di instabilità, la percezione di camminare su un suolo che oscilla, oppure un giramento di testa che compare nei momenti di maggiore tensione. Le vertigini da stress sono un fenomeno tutt’altro che raro e rappresentano una delle manifestazioni fisiche più diffuse dell’ansia. Non sono pericolose in sé, ma possono diventare altamente invalidanti se non vengono riconosciute in tempo.
Un legame sempre più studiato
Le ricerche più recenti confermano il ruolo dello stress sul sistema vestibolare, la struttura dell’orecchio interno responsabile dell’equilibrio. In presenza di forte tensione emotiva, il corpo produce adrenalina e cortisolo: ormoni utili in situazioni di emergenza, ma che, se in eccesso, possono alterare la percezione dello spazio e scatenare sensazioni di instabilità.
Ansia e vertigini, quindi, non sono un binomio immaginario, ma una reazione fisiologica legata all’attivazione del sistema nervoso autonomo.
Come si presentano le vertigini da stress
Riconoscerle non è immediato, perché i sintomi possono sovrapporsi a molte altre condizioni mediche. Tuttavia, esistono alcuni segnali tipici:
- instabilità e sbandamento, come se il pavimento si muovesse;
- capogiri improvvisi in concomitanza con ansia, tensione o preoccupazione;
- sensazione di essere spinti lateralmente, pur mantenendo fisicamente l’equilibrio;
- annebbiamento mentale o difficoltà di concentrazione;
- assenza di anomalie agli esami clinici.
Spesso i vertiginosi episodi sono accompagnati da tachicardia, sudorazione fredda, respirazione rapida e tensione muscolare: sintomi tipici dell’ansia, che contribuiscono a rinforzare la paura di avere un problema fisico serio.
Il meccanismo biologico
Quando lo stress raggiunge livelli elevati, il corpo entra nella cosiddetta modalità “attacco o fuga”. Il rilascio di adrenalina accelera il battito cardiaco e modifica la respirazione.
Quest’ultima, se diventa troppo rapida e superficiale (iperventilazione), può alterare i livelli di anidride carbonica nel sangue, generando ulteriori capogiri e senso di distacco dalla realtà.
Questi meccanismi non sono pericolosi, ma possono risultare molto sgradevoli e rinforzare l’ansia, creando un circolo vizioso difficile da spezzare.
Come distinguere le vertigini da stress da altre cause
Prima di attribuire il problema all’ansia, è fondamentale escludere patologie dell’orecchio interno, disturbi neurologici, alterazioni della pressione o problemi cardiaci. Per questo il medico può richiedere:
- esami audiovestibolari,
- valutazione neurologica,
- visita cardiologica,
- controlli ematochimici,
- eventuale consulto psicologico per analizzare il contesto emotivo.
Solo quando non emergono anomalie organiche, le vertigini vengono ricondotte allo stress.
Strategie efficaci per ridurre il problema
Il trattamento più efficace prevede un approccio combinato:
- Psicoterapia cognitivo-comportamentale: aiuta a gestire i pensieri catastrofici e a ridurre l’iperattivazione del sistema nervoso.
- Tecniche di respirazione lenta e profonda: stabilizzano i livelli di CO₂ e riducono i capogiri.
- Mindfulness e rilassamento muscolare: utili per interrompere la tensione fisica.
- Movimento regolare: camminate, yoga o attività aerobiche leggere migliorano l’equilibrio e riducono lo stress.
- Supporto farmacologico: valutato dal medico solo nei casi più intensi.
Anche la qualità del sonno, l’idratazione e la riduzione di caffeina e alcol giocano un ruolo importante nel prevenire ricadute.
Quando è il caso di farsi vedere
Se gli episodi diventano frequenti, durano a lungo o interferiscono con la vita quotidiana, è opportuno rivolgersi a uno specialista.
Un intervento tempestivo permette di evitare che i sintomi si cristallizzino e che l’ansia si trasformi in un disturbo più complesso.
Le vertigini da stress sono un esempio concreto di come mente e corpo siano strettamente collegati. Imparare a riconoscerle e a gestirle è il primo passo per recuperare stabilità — non solo fisica, ma anche emotiva.
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