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Percorsi di coaching

Il mondo di Lapo

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    Estate di Europei (atletica, calcio, scherma), Olimpiadi, paralimpiadi, Wimbledon: l’estate 2024 di sportivo ha tantissimo. E a noi che appassionano i Percorsi di Coaching, non sembra vero poter estrarre una storia, una delle tante che affollano la platea di aspiranti medagliati. Si tratta di una riflessione condivisa sui sacrifici nella direzione di quell’obiettivo così forte da rapirci mente e cuore nella visione del futuro che desideriamo. Vi presento Lapo, un ragazzo, un atleta, un sognatore (estratto dal mio libro Childlike. Come un bimbo, 2024, Antea Edizioni).

    Farsi trovare sempre pronti

    “La mia è la condizione del portiere di riserva nel calcio, comunque vada devo farmi trovare pronto e ambire a una squadra forte, con o senza di me. Ma io sono qua e forse non sarà a questi mondiali né al meeting di fine anno, ma l’obiettivo è che il mio destro sia titolare sul blocco di partenza con vista Tour Eiffel, proprio come quel pomeriggio al campo degli Assi, nel 2015. A volte mi chiedo se siano passati più giorni o più chilometri, da allora.

    L’ossessione

    In effetti, il nonno lo diceva sempre che non sono gli anni trascorsi nella vita, ma la vita e la passione che metti in quegli stessi anni. Chissà cosa dicono i ragazzi a Tivoli, forse apprezzeranno il sano silenzio in nostra assenza in questi giorni di missione americana; e chissà se ho chiuso la luce della dispensa prima di partire. Me lo dice sempre anche Camilla che la mia ossessione per i 46 secondi mi ha fatto perdere il portafoglio un mese fa e a casa lascio sempre qualcosa fuori posto. Sono la riserva del quartetto titolare, ma sono presente qui e ora. Ha ragione Luciano, se non mantengo la concentrazione e non miglioro ancora, queste rinunce saranno state tutte inutili.

    Il caso non esiste

    Trovarmi qua non è certo un caso e non sono ad accompagnare, perché a quello serve la mia splendida borsa azzurra. È bella quest’attesa, non mi logora, mi rende orgoglioso di tutto il cammino che ho messo dietro di me, di come ho superato gli infortuni, della mentalità che ho dovuto forgiare nelle tante difficoltà e che mi ha accompagnato fino a questo terminal di aeroporto.
    ALLENARE…I DENTI!

    Questo non è il mio punto di arrivo. Parigi è dopodomani e Riccardo mi ricorda di esercitare sempre i denti, perché quel metallo là va morso con stile, ma anche con forza. Per adesso devo continuare a capitalizzare i miei punti di forza, lavorare sulle aree di miglioramento e rosicchiare ancora qualche centesimo di secondo, a nanna presto ogni sera e la mattina leoni.
    PRONTI, PARTENZA…

    Quanta strada dovrò ancora percorrere, quanto sudore dovrò ancora metterci e quante rinunce dovrò ancora sacrificare in nome di questo mio sogno con una scadenza. Ora però è arrivato il momento di andare, la porta scorrevole dell’aeroporto dove sono atterrato mezz’ora fa, si è chiusa dietro di me e lo shuttle fino al villaggio di Casa Azzurri mi sta aspettando. Ho voluto essere l’ultimo a salire, come se fosse quel podio là, sugli Champs Elysées…”

    fraborrelli40@gmail.com

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      Questione di fortuna

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        Esistono parole che hanno la capacità di evocare mondi immaginari, territori inesplorati e tesori nascosti, oltre ad avere significati multipli, adattabili quasi ad ogni contesto. Una di queste è proprio… fortuna. L’idea che alcuni eventi e determinate circostanze non trovino spiegazione nella sfera razionale ha alimentato, fin dall’antichità, un vero e proprio alone mitologico interno a questo concetto, cui poi sono state associate molte diverse accezioni che vanno a toccare religione e misticismo. Fra i settori in cui più spesso la sorte viene citata, lo sport riveste, senza dubbio, un ruolo preponderante. La gente tende a trincerarsi nel concetto che nella vita la fortuna abbia un ruolo tanto impattante quanto fuori dal proprio controllo.

        L’”elastico” della sfida

        È indubbio che, nello sport come nella vita, la fortuna possa giocare un ruolo importante per definire il risultato finale di una sfida, ma viene spesso frainteso il fatto che questa variabile segua le movenze di un “elastico”, destinato a ridursi o ad ampliarsi a seconda di come è stata preparata la sfida. Il risultato non è che la naturale conseguenza del percorso fatto, successivo all’adeguatezza della preparazione fisica, allo sviluppo della parte tecnica, all’atteggiamento mentale positivo, alle skills e i talenti coltivati e capitalizzati, senza dimenticare anche le battute d’arresto, gli errori e i fallimenti. Purtroppo, secondo una molto diffusa concezione, agli antipodi con il concetto in sé di evoluzione umana e di percorso di crescita nel coaching, il risultato finale è invece considerato l’unico elemento importante e giustifica ogni mezzo utilizzato per ottenerlo. Quest’ottica inverte l’ordine corretto, anteponendo il risultato al processo.


        Il processo è l’unica cosa che conta

        Se è vero, come è vero, che ogni abilità possa essere migliorata ed allenata, possiamo completare questo assioma affermando che è proprio in questo modo che l’uomo può “controllare” gli eventi, e più familiarizza per affrontare il percorso, più potrà fare la differenza. L’influenza del caso e della fortuna può essere compressa fino a una dimensione infinitesimale, limitandosi a casistiche estreme. Chi invece rimane agganciato all’idea di far dipendere l’esito di un intero processo dalle circostanze, senza quindi riuscire a superare le difficoltà, alimenta quella che coach Julio Velasco, recente medaglia d’oro nel volley femminile all’ultima Olimpiade parigina, definisce la “cultura degli alibi”, cioè il tentativo di attribuire un nostro fallimento a qualcosa che non dipenda da noi.

        Il messaggio di Velasco

        “Ho conosciuto centinaia di atleti, alcuni vincenti, altri perdenti. La differenza? I vincenti trovano soluzioni, i perdenti cercano alibi. Non mi piace dire ai ragazzi che andrà tutto bene, rassicurandoli. Preferisco dire loro che andrà come noi faremo in modo che vada. Ai giovani io dico: voi dovete cercare di vincere il più possibile, ma non credete a chi dice che il mondo si divide fra vincenti e perdenti. Io credo che il mondo si divida fra brave e cattive persone, poi tra le cattive persone ci sono dei vincenti, purtroppo. E tra le brave persone ci sono, purtroppo, anche dei perdenti. Uno non è un grande allenatore quando fa muovere i giocatori secondo le proprie intenzioni, ma quando insegna ai giocatori a muoversi per conto loro. L’ideale assoluto avviene nel momento in cui l’allenatore non ha più niente da dire perché i giocatori sanno tutto quello che c’è da sapere”.

        Giustificazioni da gregge

        La cultura degli alibi affonda le proprie radici con facilità: gli individui si trincerano dietro alle responsabilità altrui senza considerare le proprie, magari guardando con malcelata invidia chi invece si è rimboccato le maniche e ha capito che solo una minima parte delle persone di successo è venuta al mondo con talenti innati o forti predisposizioni. La cultura degli alibi in effetti minimizza il sacrificio di chi ha figuratamente pagato il prezzo fin da giovane, giovanissima età e ha improntato la vita a coltivare il proprio sogno-obiettivo. E magari ha dovuto per questo fare rinuncie importanti nel nome di quel sogno, limitando il proprio tempo con i propri genitori o con i propri amici, per imbarcarsi in cerca di quella “fortuna” così fisicamente e mentalmente lontana dal nido e dalla propria zona di comfort.

        Fiducia nel “processo”

        E si torna ad un ideale già condiviso negli scorsi episodi: non esiste persona di successo che non abbia sopportato un sacrificio più o meno alto per arrivare dove si trova oggi, ma tutto ciò che si nasconde dietro la “fotografia del presente” sfugge ai più, impegnati a cercare il difetto o ad aspettare il passo falso di chi, invece, ha fatto di tutto per posizionarsi ai nastri di partenza e giocare al meglio la propria partita. Per chi vede nell’atleta o nel personaggio di successo il semplice punto di arrivo del predestinato, non vale la pena soffermarsi su precedenti rinunce e sacrifici, tantomeno lasciarsene ispirare. In fondo, quel tale sportivo ha vinto la medaglia d’oro perché aveva doti innate, era raccomandato o semplicemente… è stato fortunato!

        Tratto da Childlike – Come un bimboAntea Edizioni


        fraborrelli40@gmail.com

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          E tu credi nel processo?

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            La vita è una strada disseminata di opportunità e di incontri grazie ai quali ogni giorno rappresenta un’occasione per crescere e imparare nuove abilità. Nonostante questa assoluta verità, è capitato, e capita, ad ognuno di noi, chi più chi meno, di percepire talvolta il brusìo di una vocina interna che ci dice con inusuale sicurezza qualcosa tipo “ormai il treno è passato”, “che vuoi riuscire a fare, adesso è tardi”.

            Imbarazzo da Dolby Surround mentale

            Quel bisbigliare così fastidioso, e talvolta così insistente, è la manifestazione di una tipologia di dialogo interno molto penalizzante che condiziona negativamente il nostro stato emotivo. Sì, perché se il nostro giudizio su noi stessi è già così severo, come potremo proporre la nostra idea, per esempio, in maniera efficace? Come potremo “far colpo” su un/una partner in modo impattante? Ancora, come potremo giocare la nostra migliore partita se in campo siamo appesantiti da questo “fardello”? Quella vocina, dunque, fa di tutto per sabotarci e direzionare il nostro malessere e lo fa in ogni possibile scelta, paralizzandoci spesso nel perfezionismo o nell’”indecisione decisa”, ovvero quel perverso stato di non-propensione a prendere l’impegno, la responsabilità o la posizione.

            Trust the process

            Che ci piaccia o no il tempo va avanti inesorabile, si tratta solo di capire che uso farne. E si tratta di percepire con fiducia il fatto che coltivare il talento porterà a risultati visibili nel tempo ma sempre variabili da persona a persona, a seconda di sviluppo fisico, sistema di credenze, condizionamenti ambientali, vicissitudini varie. La possibilità di prendere in mano la propria vita ci è data, il controllo sulle nostre emozioni fa sì che i risultati, anche alla lunga, arrivino e lo facciano a volte anche in maniera esponenziale.


            Siamo posizionati sul nostro “fuso orario”

            Qualcuno si è laureato all’età di 22 anni, ma ne ha attesi 5 prima di assicurarsi un buon lavoro; qualcuno è diventato CEO a 25 anni ed è morto a 50, mentre qualcun altro CEO lo è diventato a 50 e ha vissuto fino a 90 anni. Qualcuno è ancora single, mentre qualche ex compagno di scuola è già nonno. Obama si è ritirato dalla politica a 55 anni, Trump ha iniziato a 70. Il campione Luka Modric, pallone d’oro nel 2018, fino a 27 anni non aveva mai vinto un trofeo, oggi a 38 dispone di una bacheca di oltre 26 (ventisei!) titoli in bacheca. Tutti in questo mondo lavorano in base al proprio personale fuso orario, per cui alcune persone potrebbero sembrare più avanti o più indietro. La verità è che ognuno sta correndo la sua gara, nel suo tempo e nella sua unicità.
            Non è in ritardo. Non è in anticipo. È nel suo tempo.

            fraborrelli40@gmail.com

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              Realizzarsi nell’Ikigai

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                C’era una volta un umile pescatore che viveva in un piccolo villaggio costiero del Giappone. Tutti i giorni si alzava all’alba, trascorrendo le ore in mare prima che il villaggio si svegliasse. Il suo lavoro era duro e la paga modesta, ma al centro di tutto c’era la gioia immensa derivante dalla sua passione per il mare. Un giorno, un uomo d’affari in vacanza vide il pescatore sollevare le reti cariche di pesci. Rimanendo impressionato dalla quantità e qualità del pescato per cui gli propose di espandere la sua attività. Lluomo d’affari avrebbe comprato più barche e assunto altri pescatori, consentendo al pescatore di diventare ricco e godersi la vita. Ma questi si chiese in effetti che cosa avrebbe fatto con tutto quel tempo libero? L’uomo d’affari rispose prontamente, “Potresti sederti e goderti il panorama, respirare la brezza marina, pescare un po’ per divertimento, senza preoccupazioni.” E il pescatore gentilmente: “non è forse quello che sto già facendo?”

                Alla ricerca di ciò che amiamo

                La storia del pescatore giapponese racchiude in sé il meraviglioso concetto zen dell’Ikigai. Quel centro di vita in cui è custodito e racchiuso il proprio “perché” e la propria ragione di vita, a cominciare dalle passioni che accendono l’emozione della felicità e la spinta motivazionale che ogni giorno caratterizza l’alzarsi dal letto con entusiasmo. In questo perimetro positivo, rientrano anche quegli hobby e quelle attività per le quali lo scorrere del tempo è impercettibile e connesso con la nostra natura più autentica e profonda.

                Missione e talento al servizio di ciò per cui ci pagano

                Ecco un elemento già conosciuto nelle precedenti puntate. Accanto al fuoco della passione, per realizzarsi nell’Ikigai è necessario focalizzarsi sulle proprie competenze e sulle consapevolezze riguardanti il talento. Ovvero su quelle abilità per le quali ci sentiamo di eccellere in maniera autentica e per cui abbiamo ricevuto complimenti. Affiancata a competenze e passione, la successiva riflessione include lo spunto sulle opportunità professionali, sulle nostre esperienze lavorative e sul fatto di poter guadagnare mediante passione e abilità per quel tipo di mansione. Detto spunto considera esperienze e progetti precedenti per le quali si è percepito un emolumento. Allargandosi all’idea di poter generare un reddito attraverso passione e accresciuta competenza.

                Il mondo ha bisogno di Noi: l’Ikigai prende forma

                Il tracciato verso l’Ikigai si completa attraverso il contributo che possiamo offrire al mondo intero. Attraverso l’impatto che le nostre passioni e le nostre competenze possono avere sui problemi e sui bisogni esterni: come possiamo migliorare la società in cui viviamo? Come possiamo immettere il nostro positivo attraverso ciò che sappiamo fare e rendere il mondo un posto migliore, più conforme ai nostri valori e arricchito dal nostro apporto? L’intersecarsi delle quattro diverse aree circoscrivere il nostro Ikigai. Corrispondente alla rispettiva realizzazione personale sotto forma di passione, talento, opportunità che porti ad un guadagno e, non ultimo, segno lasciato nel mondo sotto forma di contributo fattivo. La geometria ha consentito di tracciare le linee, le risposte alle varie domande nei quattro diversi filoni hanno definito il perimetro in cui ci sentiamo realizzati. Adesso spetta a noi dare vita alle nostre azioni e avvicinarci al nostro scopo di vita. Coniugando ciò che amiamo, ciò per cui siamo competenti, ciò per cui veniamo pagati e ciò di cui il mondo ha bisogno, costruendo un mattoncino alla volta la vita dei nostri sogni.


                fraborrelli40@gmail.com

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