Percorsi di coaching
Utili a se stessi e di conseguenza agli altri
Agosto, tempo di viaggi, di mare, di biglietti aerei comprati mesi prima. E che cosa ci raccomandano le hostess e gli steward prima della partenza dell’aereo? In caso di necessità, di vuoti d’aria o di qualsiasi emergenza, i passeggeri, specie se genitori con al seguito i loro bambini, anche piccoli, devono prima indossare la propria mascherina per l’ossigeno e poi pensare ai figli.
Oltre la metafora di bordo
Il cambiamento, manco a dirlo, parte da noi e se non ci attiviamo per primi nell’assecondare la nostra “miglior versione” questo cambiamento rimane incompleto e incompiuto. Ci sono tanti falsi miti sulla generosità, sulla compassione e sull’aiutare gli altri, fino a credere erroneamente che sacrificarsi sia utile o prioritario. Se mi metto all’ultimo posto, svalorizzo le mie capacità e doti, non aiuto nessuno e svilisco il mio valore disperdendolo.
Dire sempre di sì
Fin da piccoli, assorbiamo tutto dalla famiglia, comprese le credenze errate, e per il terrore di essere abbandonati non le mettiamo mai in discussione. E in effetti, solitamente dietro al dire sempre di sì, c’è un’enorme paura di essere rifiutato smarrendo per sempre l’amore e la fiducia degli altri (che nel frattempo non sono più solo i nostri genitori). Ma come abbiamo visto insieme nelle precedenti puntate, anche qui c’è una credenza cui lavorare e da utilizzare e da ribaltare a nostro favore: “io sono ok, tu sei ok”. Le altre persone non posso fare altro che apprezzarmi per quello che sono, per le mie qualità, i miei talenti, i miei tempi.
Perché non serve a niente credere di non farcela
Inizia tutto dalla coscienza della fiducia nei nostri mezzi e nel nostro potenziale: tutto ciò di cui ho bisogno è già dentro di me, la priorità sono io e posso – finalmente! – cambiare la vita delle altre persone che mi seguiranno per la mia unicità.
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I nostri tre poli direzionali
Ed eccoci arrivati a settembre, uno dei periodi dell’anno in cui di più si tende a raccogliere le forze, esplorare e far bilanci di quello che è stato nei mesi precedenti: l’estate tenderà a far spazio alla stagione del raccolto, seguendo i tempi naturali di ciò che si è seminato in primavera. Qualcuno deciderà di mettersi in gioco, trascorse ormai le ferie e deposta l’ascia di guerra da parte del “grande caldo” e del conseguente sudore. Ma è davvero così? Settembre coincide davvero con una messa “a stecchetto” e ad una ricalibrazione rispetto agli obiettivi?
Settembrite
Presente quando si fa coincidere l’iscrizione in palestra con il periodo post vacanze? O quando facciamo slittare quell’impegno così gravoso al proverbiale periodo più “favorevole”? O quando “appena riprendono le scuole, mi organizzo”? Chiamiamola pure la “scusite di settembre” o anche “settembrite”. I buoni propositi, senza obiettivi ben definiti né agganciati a una motivazione efficace e ad un coinvolgimento concreto sotto forma di visualizzazione dell’idea di stare meglio, si disperdono creando soltanto frustrazione e alibi. Se vi è mai capitato di cambiare idea tre volte in cinque minuti, credendo che tutte e tre le opzioni fossero giuste, anche se completamente diverse tra loro, sappiate che non c’è niente di sbagliato in voi!
Alla radice del fenomeno
È un fenomeno presente in ognuno di noi ed è facilmente osservabile nei bambini, che in cinque minuti passano dalla gioia più totale alla disperazione più fragorosa, o passano in maniera quasi compulsiva da un gioco all’altro. Nel mondo degli adulti accade lo stesso, solo che ci si nasconde dietro alle scuse di cui parlavamo sopra e procrastinando succede che poi trascorrono mesi ed anni. Dentro di noi albergano tante diverse identità sfaccettate che nel lavoro interiore vengono definite “io divisi”. Ci sono in effetti tante piccole parti di noi che sono in disaccordo, magari perché collegate a credenze, valori, esperienze, paure, retaggi familiari, attaccamenti vari. Queste parti vanno riconosciute per creare un “io sano di lavoro” che si possa muovere liberamente attraverso le pieghe del nostro cervello. Tutto questo funziona solo se i tre “centri” ruotano nell’armonia fra l’anima mentale, quella fisica e quella emozionale.
Praticare il lavoro su tre centri
La maggior parte delle persone tende a focalizzarsi solo su un “centro”, quello mentale o quello fisico. Basti pensare, a mero titolo di esempio, che talvolta si lavora esclusivamente sulla motivazione senza un collegamento fattivo alle emozioni sottostanti rispetto invece al raggiungimento dell’agognato futuro. Per un’elaborazione completa che abbia solide fondamenta, queste tre parti devono trovarsi nella piena armonia affinché si sviluppi una consapevolezza sempre maggiore circa il proprio potenziale e che faccia perno su obiettivi ben definiti, evitando il multitasking e tutto ciò che distoglie la mente dalla mèta che si è scelta. Che si tratti di obiettivi di breve periodo – mettersi in forma entro Natale – o di lungo – stravolgere il proprio stile di vita – il link fondamentale deve attraversare anche il polo emozionale, quello più irrazionale e agganciato al nostro vissuto. E di qualunque vissuto si parli, collegare simbioticamente le tre parti, favorisce e facilita il raggiungimento dei nostri sogni.
fraborrelli40@gmail.com
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Abbracciare la propria “missione”
Nel suo spazio blof Francesco Borrelli ci parla del concetto di “missione” e di come interpretarlo al meglio, per ottenere i migliori risultati.
Nelle puntate precedenti abbiamo visto come il talento contenga in sé due sfumature riguardanti vocazione e missione d’anima: l’abbinamento contestuale di esse conduce le persone a risultati virtuosi e performanti. Avete presente quei casi nella vita in cui avete risposto a un grazie con un sincero “l’ho fatto volentieri”, o con un “non mi pesa minimamente, l’ho fatto spontaneamente”, o ancora “non è lavoro, per me è passione”?
Un concetto applicabile ai contesti più differenti
Bene, ricordate la sensazione che avevate in quelle occasioni? Magari si trattava di una consulenza offerta al vostro vicino di casa; o magari era il collega in difficoltà cui offrivate uno spunto di riflessione da una prospettiva a lui fino a quel momento ignoto. O ancora era il conoscente cui vi sentivate di offrire supporto, per lui in quel momento così necessario, per voi piacevole e facile da fare.
La trasversalità della missione
Siete il medico? L’impiegato specializzato? L’autista di pullman? Sapete ciò di cui parlo se perseguite ogni giorno con passione la vostra Missione (la maiuscola è d’obbligo qui). Chiamiamolo “valore aggiunto”, “X-factor” o ancora “talento maggiore”, quello di cui parlo è qualcosa di comune a tutti, anche se non così consapevolizzato dalle persone. E per questo, dalle stesse, sottovalutato perché tutti in realtà ne hanno disponibile uno o più.
I sabotatori della “missione”
Quando riceviamo complimenti per questo talento, tendiamo a credere che gli altri stiano esagerando o fingendo. Ma questo dono non va schiacciato e anzi deve essere valorizzato lavorando sulla familiarità e sulla fiducia in sé stessi, con il pensiero che questo sia importante per noi e per gli altri. Sicuramente l’ingrediente fiducia deve abbondare in un impasto gustoso: non basta ripeterselo, non è sufficiente pensare al fatto di essere già riusciti in passato a superare paure o difficoltà analoghe perché il talento va in un certo senso, “messo alla frusta” e quindi trasformato in azione. Ecco perché esso non va mai dato per “scontato” o sottovalutato, come dicevamo poco sopra: le credenze negative vengono spesso assorbite al punto di non dare la giusta importanza allo scopo che perseguiamo, visto che possiamo realmente cambiare la vita agli altri.
Antidoti e ripartenze
Il propulsore da collegare riguarda il focus, da orientare sulla possibilità del superamento degli ostacoli e dei limiti che separano dal raggiungimento dell’obiettivo. Occorre darsi un metodo, essere consistenti, sapere di avere dentro di noi ogni risorsa per farcela e insieme a tutto questo accettare con pazienza il maturare dei giusti tempi. Seguite lo schema del ciclo delle stagioni, con la perseveranza del contadino che se vuole sopravvivere un periodo semina grano, se vuole mantenersi dieci anni pianta alberi da frutti e se vuole spingersi oltre, investe risorse sulle persone e sui loro talenti. Compresi i propri.
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Talento e dintorni
Nell’ultimo episodio abbiamo citato il talento come elemento che, insieme alla salute, ci viene donato. Lo stesso che costituisce a tutti gli effetti una caratteristica non meritocratica. Da difendere, proteggere e coltivare minuziosamente sotto nostra responsabilità. In effetti molti saggi e maestri antichi orientali, sostenevano che veniamo al mondo con almeno sette talenti ma alcuni di questi rimangono nascosti o vengono bloccati dalle prime esperienze familiari e scolastiche.
Il “cloud” del talento
Nonostante ciò, i talenti non vengono persi. Ricadono in una sorta di archivio, come una nuvola virtuale del nostro processore cerebrale. In una sorta di database che in gergo siamo soliti definire “potenziale”. Trasformando le nostre credenze, condizionando i nostri stati d’animo, specie le nostre paure e le nostre debolezze, possiamo avere accesso a quel database. Andando a “riesumare” quei talenti nel tempo da noi “iconizzati” (se non addirittura archiviati e forse dimenticati?), costruendo conseguenti azioni tali da condurci nella direzione dei risultati che cerchiamo.
Tradizione evangelica
Fin dal Vangelo di Matteo, si racconta la parabola dei talenti. Un uomo, prima di partire per un lungo viaggio, affida i suoi talenti (denari) ai suoi servi: a uno ne dà cinque, a un altro due e all’ultimo uno. Chi aveva ricevuto cinque talenti li investe e ne raddoppia il valore, così come colui che ne aveva ricevuto due. Invece, il servo che ne aveva disponibile uno, spaventato di perderlo, lo nasconde. Al ritorno, il padrone è felice dei due servi che avevano raddoppiato i talenti. Arrabbiandosi con il servo pauroso, allontanandolo e donando la sua moneta al servo che ne aveva già. L’insegnamento della parabola è che le capacità di cui siamo dotati vanno condivise e messe a disposizione della famiglia, del gruppo di lavoro, della squadra, della società di cui facciamo parte. Riuscireste a immaginare la vostra vita se l’inventore del GPS non avesse messo a disposizione la sua scoperta?
Dal potenziale al fare
Innato dentro di noi c’è in effetti una parte di talento che rappresenta la nostra vocazione e un’altra che rappresenta la nostra missione d’anima: quando assecondiamo la prima, siamo profondamente felici e realizzati, specie in tutto ciò che è esaltazione dell’aspetto professionale. La vocazione può rimanere la stessa per tutta la vita o modificarsi nel tempo, in male ma anche in bene. La seconda parte si identifica invece con le nostre caratteristiche più spirituali, innescata da come siamo bravi a sbloccare – con le giuste credenziali e “password” – il database di cui sopra. Tradotto, da come impariamo a (alleniamo la nostra capacità di) gestire le nostre paure. Nel prossimo episodio analizzeremo come il nostro auto-sabotaggio minacci la nostra bravura a imparare dagli errori proponendo l’immobilità e la paura stessa. E cercheremo di smontarne ogni singola caratteristica.
Per info scrivere a fraborrelli40@gmail.com
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