Sic transit gloria mundi
Nessuno può mettere Bergoglio in un angolo: il Papa tra ossigeno, fisioterapia e vaschette di gelato
Papa Francesco vive isolato al secondo piano della Domus: la routine è scandita da cure, esercizi, lavoro e pochi contatti. Ridotti i flussi di ossigeno, ripresi i saluti video e l’attività alla scrivania. Ma in vista della Pasqua, cresce l’attesa per un possibile ritorno a sorpresa in piazza San Pietro.

È circondato da medici, respiratori, infermieri, regole. Ma alla fine, quello che davvero non manca mai nella stanza 201 di Casa Santa Marta è… il gelato. Papa Francesco è in convalescenza, sì. Ma è pur sempre lui. E se gli chiedi di stare a riposo, ti ascolta con cortesia e poi fa come gli pare. Con buona pace della Direzione Sanitaria Vaticana.
Dopo il ricovero al Gemelli e la crisi respiratoria che ha fatto preoccupare mezzo mondo, il Pontefice ha trasformato il secondo piano della Domus in una sorta di residenza protetta. Non esce più per la messa in cappella, non scende a mensa, non passeggia nei corridoi: la sua giornata si svolge tra la suite e la cappella interna, riservata. Ma “isolato” è una parola grossa. Perché Francesco, seppur con naselli e ossigeno, continua a seguire dossier, firmare documenti, preparare discorsi e — pare — anche a dare direttive piuttosto energiche.
La sua routine è da atleta del recupero: sveglia all’alba, messa con i segretari, doppia sessione quotidiana di fisioterapia (una respiratoria, una motoria), riposo, lettura, telefonate. E poi, il momento clou: l’arrivo del gelato. Gusti prediletti? Limone, mango e dulce de leche. Il fornitore ufficiale è Sebastian Padron, un gelataio argentino che ha aperto il suo laboratorio non lontano dal Vaticano e che ormai conosce i gusti papali meglio dei segretari. Le vaschette vengono consegnate in cucina o direttamente alla reception della Domus. Cialdine comprese. Il Papa, raccontano, lo condivide volentieri con chi passa a trovarlo.
Il suo entourage è ridotto al minimo. I due infermieri fissi, Massimiliano Strappetti e Andrea Rinaldi, non lo perdono mai d’occhio. I segretari Salerno, Pellizzon e Villalon gestiscono agenda, visite e chiamate. Ma tutto avviene con discrezione, senza clamori. La parola d’ordine è una: protezione. Eppure, come spesso accade con Francesco, è lui il primo a rompere le regole. Domenica scorsa, per esempio, è uscito a sorpresa in piazza San Pietro per affacciarsi durante il Giubileo dei malati. Non era previsto, non era consigliato. Ma l’ha fatto lo stesso. Il Pontefice “più testardo dell’ossigeno”, come dice scherzando uno dei suoi assistenti.
Non riceve più visite ufficiali, ma non rinuncia a salutare ogni sera via video la parrocchia di Gaza, alle 20 in punto, attraverso lo smartphone di un collaboratore. Ogni tanto chiama i familiari in Argentina o qualche amico stretto. Brevi chiacchierate, spesso condite da una battuta, anche se la voce non è ancora del tutto tornata.
Nel frattempo, Casa Santa Marta è stata discretamente attrezzata: letto medico, macchinari, supporti, un piano completamente off-limits per altri ospiti. Tutto funziona come un piccolo ospedale privato vaticano. Senza clamori, ma con estrema efficienza.
Resta da capire se Francesco vorrà (e potrà) affacciarsi per la benedizione pasquale. Nessuno lo sa con certezza. I medici frenano, lui riflette. Ma se c’è una cosa che questi giorni ci confermano è che il Papa, quando ha deciso, non si ferma. Neppure col concentratore d’ossigeno. Né davanti ai consigli dei medici. Né, tantomeno, alla tentazione di una vaschetta di gelato al dulce de leche.
E in fondo, se anche i Santi amano i piccoli piaceri, perché il Papa non dovrebbe?
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Sic transit gloria mundi
Santa Rita De Crescenzo vergine e martire (del trash televisivo e dei suoi stessi followers)

Ogni epoca ha i suoi santi. Noi, che non ci facciamo mancare nulla, abbiamo Rita De Crescenzo: patrona delle punturine di acido ialuronico, del silicone spacciato per estetica e dei monologhi social che neppure alla recita dell’asilo. «Ho paura, basta odio, basta violenza mediatica», piagnucola oggi la tiktoker partenopea, appena il sindaco di Castel Volturno le ha cancellato uno show. Una Madonna del trash che si immola sull’altare della visibilità, con tanto di rosario fatto di stories Instagram.

Il problema, però, non è lei. È la folla che l’applaude. Migliaia di followers che la venerano nonostante accuse di spaccio per conto del clan Elia, minacce a un deputato («Devo essere il tuo incubo, è arrivata l’ora che ti distrugga io»), video dove la cultura del nulla diventa linguaggio quotidiano. Santa Rita del degrado non canta, non balla, non recita. Non sa fare assolutamente niente, eppure è riuscita a trasformare l’ignoranza in un titolo di studio, il pressapochismo in curriculum, l’urlato in vangelo.

La sua difesa? «Sono una donna, una madre, una persona come tutte le altre». Tutte le altre chi? Quelle che fanno dei filtri TikTok un manifesto politico? Quelle che credono che il talento consista nel mettersi una minigonna fluorescente e ripetere frasi sconnesse in diretta?
Il miracolo è che funziona: più la criticano, più sale. Più le istituzioni le chiudono le porte, più diventa martire. È la beatificazione trash: non serve saper cantare, scrivere, pensare. Serve piangere davanti a una telecamera, gonfiare le labbra fino a sembrare canotti e agitare le mani in aria come se fossero ali d’angelo caduto.




Chi la segue, in fondo, non cerca un’artista. Cerca un’icona dell’idiozia elevata a forma d’arte, un simbolo che rassicura: “se ce l’ha fatta lei, posso farcela anch’io”. E infatti ce l’ha fatta. A diventare il monumento vivente di un Paese che si inchina al nulla e lo incorona.
Meritiamo l’estinzione? Sicuramente. Ma tranquilli: prima dell’apocalisse ci sarà la sua prossima diretta online di Santa Rita, e sarà sold out.

Sic transit gloria mundi
Caso Epstein, Melania Trump pronta a chiedere oltre un miliardo a Hunter Biden: “Accuse false e diffamatorie”
Melania Trump ha minacciato una causa miliardaria contro Hunter Biden per aver dichiarato che sarebbe stato Epstein a presentarla al marito. Intanto i democratici puntano il dito sul trasferimento di Ghislaine Maxwell in un carcere meno severo.

Melania Trump è passata al contrattacco. La first lady americana ha annunciato l’intenzione di fare causa a Hunter Biden, chiedendo un risarcimento da oltre un miliardo di dollari, dopo che il figlio del presidente ha affermato che sarebbe stato Jeffrey Epstein – il finanziere condannato per abusi sessuali e traffico internazionale di minori – a presentarla a quello che poi sarebbe diventato suo marito. Una ricostruzione definita dai legali di Melania “falsa, denigratoria, diffamatoria e provocatoria”.
Le dichiarazioni di Biden risalgono a un’intervista di inizio mese, in cui aveva ripercorso i rapporti tra il presidente e il miliardario pedofilo, sottolineando vecchie frequentazioni poi interrotte “agli inizi degli anni Duemila”, come lo stesso Trump ha sempre sostenuto.
Ma la vicenda non si ferma qui. I democratici della Commissione Giustizia della Camera hanno sollevato un polverone sul trasferimento di Ghislaine Maxwell – ex compagna e complice di Epstein – in un carcere federale del Texas con regime meno restrittivo. La donna, condannata a 20 anni, era detenuta a Tallahassee, in Florida, ma è stata spostata subito dopo un incontro con il vice procuratore generale Todd Blanche.
Secondo il deputato Jamie Raskin, leader dei democratici in Commissione, il trasferimento “offre maggiore libertà ai detenuti” e “prima di questo caso era categoricamente vietato per chi fosse condannato per molestie sessuali”. In una lettera al procuratore generale Pam Bondi e al direttore del Bureau of Prisons William K. Marshall, Raskin parla di “preoccupazioni sostanziali” su possibili pressioni per indurre Maxwell a fornire una testimonianza favorevole al presidente, “violando le stesse politiche federali”.
Un’accusa che, in un contesto già incandescente, riaccende i riflettori sul nodo più imbarazzante per la Casa Bianca: i rapporti passati tra il presidente e Jeffrey Epstein.
Sic transit gloria mundi
Il Senato salva Sangiuliano dal processo per la “chiave di Pompei”: 112 voti bastano a fermare l’accusa di peculato
Il caso ruotava attorno al simbolico omaggio di Pompei finito in un regalo privato. La Giunta per le immunità ha riconosciuto l’atto come compiuto nell’interesse pubblico e non come reato ordinario. I legali dell’ex ministro ricordano che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che la chiave era stata acquistata e pagata, diventando sua proprietà.

Palazzo Madama ha fatto scudo all’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, bloccando il processo per peculato che rischiava di aprirsi attorno alla “chiave d’onore” di Pompei. Con 112 voti favorevoli e 57 contrari, l’aula del Senato ha respinto l’autorizzazione a procedere, accogliendo la linea della Giunta per le immunità: il gesto di donare la chiave a Maria Rosaria Boccia non costituirebbe reato ordinario, ma un atto riconducibile all’esercizio della funzione di governo e al perseguimento di un interesse pubblico preminente.
La vicenda aveva incuriosito l’opinione pubblica nei mesi scorsi, trasformandosi in un caso mediatico: la chiave, simbolo del legame con la città archeologica, era stata regalata dall’ex ministro a una conoscente, scatenando polemiche e sospetti di appropriazione indebita. I difensori di Sangiuliano hanno sempre sostenuto la piena legittimità dell’operazione, ricordando che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che, tramite la procedura prevista dalla legge, l’ex ministro aveva acquistato e pagato l’oggetto, diventandone il proprietario a tutti gli effetti.
Il voto in aula è arrivato dopo una giornata di interventi accesi, tra ironie e schermaglie politiche. Il leghista Gian Marco Centinaio ha scherzato in diretta: «Lasciamo i colleghi nella suspense… Sim Salabim!», strappando un sorriso in un dibattito altrimenti teso.
Non solo Sangiuliano: nella stessa seduta, Palazzo Madama ha affrontato altre questioni di immunità parlamentare. Maurizio Gasparri ha incassato il via libera dell’aula sulla sua insindacabilità per le frasi rivolte al magistrato Luca Tescaroli nel 2023, giudicate collegate ad atti parlamentari come interrogazioni e interventi in aula. A favore hanno votato 117 senatori, mentre 23 – tra M5s e Avs – hanno detto no.
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