Cronaca
Carmelo Miano, l’hacker che ha violato i segreti d’Italia: il covo era alla Garbatella. Tradito da un sito porno.
Miano, che lavorava per NttData come esperto di sicurezza informatica, era riuscito a penetrare in sistemi segreti di enti governativi e aziende. Tra i suoi obiettivi, fascicoli coperti da segreto investigativo e dati di milioni di utenti. A fermarlo è stato un errore banale, una traccia digitale che lo ha portato nelle mani della polizia postale.

Dal suo appartamento di via delle Sette Chiese alla Garbatella, Carmelo Miano, 24enne di origine gelese, ha violato alcuni dei server più protetti del Paese, inclusi quelli del ministero della Giustizia, degli uffici giudiziari e delle forze dell’ordine. Ma nonostante le sue straordinarie capacità informatiche, Miano è stato tradito da una semplice visita a un sito pornografico, che ha permesso agli investigatori di rintracciare il suo indirizzo IP e risalire alla sua posizione.
L’hacker più temuto
Miano non era un hacker qualunque. Il giovane lavorava dal 2021 per NttData, un colosso della sicurezza informatica e dei servizi IT, dove era stato assunto dopo sei mesi di stage, grazie alle sue evidenti competenze. Tuttavia, NttData ha fatto sapere che Miano non ha mai utilizzato i sistemi aziendali per le sue attività illegali, e dopo l’arresto lo ha sospeso cautelativamente.
Colossi nel mirino
Nel corso delle sue attività, l’hacker aveva violato i database di Tim, accedendo a dati riservati di circa 23 milioni di utenti consumer e 2,5 milioni di utenti business. Era anche riuscito a mettere le mani su informazioni coperte da segreto investigativo contenute nei server delle procure italiane, il che ha costretto le forze dell’ordine a tornare a utilizzare vecchi metodi per lo scambio di informazioni: documenti consegnati a mano, per evitare che Miano potesse intercettare le comunicazioni via email o WhatsApp.
Spiava polizia e finanza
Le indagini hanno rivelato che Miano era ossessionato dai procedimenti giudiziari a suo carico. Per questo motivo, monitorava costantemente i server delle procure che stavano indagando su di lui, cercando di ottenere informazioni sulle indagini. Già nel 2021 il giovane era stato perquisito dal nucleo speciale tutela privacy della Guardia di Finanza, che lo aveva descritto come una persona con un forte risentimento verso chi indagava su di lui.
Droga sul dark web
Miano era anche coinvolto in operazioni di black market sul dark web, dove il suo gruppo riusciva a incassare milioni di euro in criptovalute attraverso traffici di sostanze stupefacenti. Le operazioni di mixing delle criptovalute e l’apertura di conti intestati a prestanome gli avevano consentito di guadagnare una fortuna: circa 5 milioni di euro. Tra gli indagati in questa vicenda figuravano anche i genitori del giovane hacker, accusati di essere coinvolti nel riciclaggio del denaro sporco.
Rintracciato su un sito porno
A fermare la parabola criminale di Carmelo Miano è stata una traccia lasciata durante la navigazione su un sito pornografico. Gli investigatori della polizia postale sono riusciti a rintracciare il suo IP, risalendo così al suo appartamento a Roma.
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Storie vere
La donna con la barba più giovane al mondo è Harnaam Kaur, Guinness World Records nel 2016.
Soffre della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), una patologia che può causare, tra le altre cose, una crescita eccessiva di peli (irsutismo).

La storia di Harnaam Kaur è una vera e propria rivoluzione. Questa donna britannica di 34 anni, affetta dalla sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), ha trasformato la sua caratteristica più evidente – la barba – in un simbolo di forza e autoaccettazione. Harnaam non è solo un’icona visiva, ma soprattutto una voce potente nel movimento body positivity. L’ovaio policistico è una espressione di una complessa alterazione funzionale del sistema riproduttivo. Una alterazione dovuta all’aumento degli ormoni maschili (androgeni), causa di segni e sintomi quali: irsutismo (eccesso di peluria su viso e corpo), e alopecia androgenetica (acne e calvizie di tipo maschile).
La bellezza della diversità
Fin dall’infanzia, Harnaam ha affrontato il bullismo e il giudizio sociale per il suo aspetto. Inizialmente, come molte persone che si sentono diverse, ha cercato di conformarsi, radendosi la barba per adeguarsi agli standard tradizionali di bellezza femminile. Tuttavia, questo non ha fatto altro che accrescere il suo disagio interiore. La svolta è arrivata quando ha deciso di abbracciare la sua unicità e smettere di lottare contro la sua natura. Ha trasformato quella che molti consideravano una debolezza in un punto di forza, trovando nella sua barba non un motivo di vergogna, ma una “corona” da indossare con fierezza.
Un’attivista per l’autoaccettazione
Oggi, Harnaam Kaur è una delle voci più influenti nel mondo della body positivity. Attraverso i social media e le sue apparizioni pubbliche, trasmette un messaggio chiaro. Ovvero che la bellezza non è un concetto rigido e predefinito, ma un’espressione autentica di sé. Il suo motto, “Non abbiamo bisogno di rientrare in schemi per essere belli”, è un invito a chiunque si senta inadeguato rispetto ai modelli imposti dalla società. La sua storia ha ispirato migliaia di persone a rivalutare il proprio valore personale, al di là delle etichette. Harnaam ha collaborato con importanti brand di moda impegnati a promuovere la diversità, sfidando gli stereotipi e dimostrando che la bellezza risiede nella fiducia in se stessi.
Per Harnaam Kaur un messaggio di coraggio e amore per sé
Molto più di una semplice detentrice di un record mondiale – riconosciuto ufficialmente dal Guinness World Records nel 2016 – l’esistenza e il coraggio di Harnaam Kaur dimostrano che la vera forza sta nell’accettarsi e nell’amarsi incondizionatamente. Un esempio che insegna quanto non si debba permettere agli altri di definire chi siamo o quanto valiamo. Nel suo percorso, Harnaam ha trasformato la sua esperienza personale in un movimento più ampio, aiutando chiunque si senta escluso o giudicato a trovare la forza di essere se stesso.
Mondo
“Mi sono alzato tra le fiamme e ho cominciato a correre”: il racconto dell’unico sopravvissuto alla strage di Ahmedabad
“Non so come sia possibile, ma sono uscito vivo da lì”. Si chiama Vishwash Kumar Ramesh, ha 40 anni, la cittadinanza britannica e una famiglia a Londra. È l’unico sopravvissuto al disastro del Boeing Air India precipitato ad Ahmedabad. Il volo, diretto nel Regno Unito, si è schiantato poco dopo il decollo, provocando 240 morti. Il suo racconto, tra dolore e incredulità, arriva da un letto d’ospedale, dove è ricoverato con ustioni al volto, al petto e agli arti.

Vishwash non riesce a darsi una spiegazione, e forse non la troverà mai. Il boato, le fiamme, il buio, poi il silenzio. “Si è capito che qualcosa non andava a pochissimi secondi dal decollo”, ha raccontato. Prima un forte rumore, poi lo scoppio, un tonfo improvviso. E in un attimo, tutto intorno a lui è stato fuoco. Non c’è stato il tempo per gridare. Né per pensare.
Era seduto al posto 11A, accanto al portellone di emergenza. Forse è stato questo a salvarlo. Quando ha riaperto gli occhi, era ancora vivo. Ustionato, confuso, ma vivo. “Mi sono alzato tra le fiamme e ho cominciato a correre, tra lamiere e corpi senza vita, cercando disperatamente un’uscita”. In tasca aveva ancora la carta d’imbarco. L’ha mostrata ai soccorritori come se fosse un talismano, una prova fisica di un passaggio rimasto inspiegabilmente aperto tra la vita e la morte.
Nelle sue parole, spezzate dalla fatica e dal dolore, c’è un’immagine che torna più volte: quella dei passeggeri davanti a lui. Un’hostess, una coppia di anziani, e suo fratello Ajay. “Sono morti tutti davanti ai miei occhi”, ha detto. Il fratello, 45 anni, era accanto a lui. Viaggiavano insieme, di ritorno da una breve visita ai parenti. Avevano preso quel volo per tornare a casa, in Gran Bretagna, dove vivono da vent’anni. Uno solo è sopravvissuto.
Il racconto prosegue come un sogno spezzato. “Mi muovevo quasi senza capire. C’erano pezzi dell’aereo ovunque, fumo, odore di carburante. A un certo punto ho visto qualcuno venirmi incontro. Poi l’ambulanza”. L’aereo, carico di cherosene per il lungo viaggio, ha preso fuoco subito dopo l’impatto con un edificio nei pressi dell’aeroporto. Era un ostello per studenti di medicina: tra le vittime, almeno cinque giovani che dormivano nelle stanze investite dalle lamiere.
Vishwash ha provato a ricostruire quei secondi prima dello schianto. Secondo lui, qualcosa è andato storto appena dopo il decollo. “Sembrava che l’aereo si fosse fermato a mezz’aria. Poi ho visto accendersi luci verdi e bianche. I piloti hanno cercato di riprendere quota, ma non c’è stato niente da fare. È andato giù di colpo, a tutta velocità”. Quando l’aereo si è inclinato, il caos ha preso il sopravvento. I passeggeri si sono stretti ai sedili, molti hanno urlato. Lui ha stretto la cintura, poi il resto è venuto da sé.
Dall’ospedale civile di Asarwa, dove è ricoverato, Vishwash ha parlato con un cronista del quotidiano Hindustan Times, ma anche con i giornalisti di NDTV. Ha raccontato tutto, senza cercare un senso. “La morte di mio fratello spezzerà il cuore alla nostra famiglia. Io ringrazio gli dei per il miracolo che mi ha salvato, ma porterò per sempre nel cuore questa tragedia”.
Il posto 11A, accanto alla porta d’emergenza, è diventato un simbolo. Lo citano i medici, i cronisti, i soccorritori. È lì che sedeva l’unico sopravvissuto di un volo che non doveva finire così. È lì che, tra fumo, fuoco e lamiere, si è aperto un varco impossibile tra la fine e la vita.
Italia
“Affitto” Venezia e la trasformo in un sala ricevimenti: le nozze blindate di Bezos
Il matrimonio dell’anno è alle porte, e no, non sarà un evento sobrio. Jeff Bezos e la futura consorte Lauren Sanchez hanno scelto Venezia per dire sì, con una serie di festeggiamenti in grande stile. Dieci milioni di euro in ballo, ospiti internazionali, yacht extralusso, hotel blindati e motoscafi a tariffa maggiorata. Il tutto mentre la città si interroga: è ancora turismo o siamo alla colonizzazione del glamour?

Venezia non è nuova alle invasioni, ma questa volta non arrivano orde di turisti in bermuda e ciabatte. Arriva Jeff Bezos, terzo uomo più ricco al mondo, che ha deciso di trasformare la laguna in palcoscenico per le sue nozze con Lauren Sanchez. Tre giorni di eventi, dal 24 al 26 giugno, rigorosamente top secret ma già anticipati da una scia di indiscrezioni, malumori e tariffe da brivido.
A partire dagli ospiti, che più che invitati sembrano usciti da un red carpet di Cannes: Lady Gaga, Leonardo DiCaprio, Oprah Winfrey, Katy Perry, Kim Kardashian, Eva Longoria, Diane von Fürstenberg. In forse Ivanka Trump, che però ha già una suite opzionata in uno degli hotel di lusso. Si parla del Gritti, del Danieli, dell’Aman, del Cipriani e dello St. Regis: strutture blindate, camere prenotate con mesi d’anticipo e tariffe salite più in fretta del livello del mare.
Il luogo della cerimonia resta avvolto nel mistero. Alcuni scommettono sulla Fondazione Cini, sull’isola di San Giorgio. Altri pensano al chiostro della Misericordia, oppure – per i più romantici – al mega yacht Koru, lungo 127 metri e da mezzo miliardo di dollari, dove Bezos nel 2023 regalò a Lauren un diamante da 30 carati. Per ora si sa solo che il Koru e il suo fratellino Abeona saranno attraccati a San Basilio, alle Zattere, come due astronavi in attesa di decollare per lo spazio. E in effetti, Lauren Sanchez nello spazio ci è già andata, a bordo della Blue Origin, insieme alle amiche. Un viaggio che ha scatenato un’ondata di critiche, tra accuse di ostentazione e spreco, proprio mentre il mondo brucia per guerre e crisi ambientali.
Anche per questo, sembra che la coppia stia cercando di abbassare i toni. Ma solo un pochino. La cifra stimata per i festeggiamenti è di circa dieci milioni di euro, senza contare gli extra. Come i motoscafi privati, che nei giorni delle nozze hanno già una loro “tariffa Bezos”: 400 euro l’ora, quasi il doppio del solito. Chi non ha un invito – cioè il resto del pianeta – potrà forse accontentarsi di incrociare un volto famoso su una gondola, o di intravedere uno dei ventisette abiti che la Sanchez dovrebbe sfoggiare nelle 72 ore veneziane. Vero, ventisette. Più di uno ogni tre ore, nel caso qualcuno volesse fare i conti.
Intanto, in laguna l’atmosfera non è esattamente di festa. Gli abitanti storcono il naso, alcuni manifestano apertamente contro l’ennesima “privatizzazione di Venezia”. Non è solo una questione di soldi, dicono, ma di identità. Perché qui non si gira un film: è la vita vera. O almeno lo era, prima che diventasse sfondo per la passerella dei miliardari.
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