Cronaca
Carta punti per i clienti premium dei massaggi erotici
Il caso di Barletta mette in luce un preoccupante fenomeno di sfruttamento della prostituzione mascherato da attività legittima. L’operazione dei carabinieri rappresenta un importante passo avanti nella lotta contro il lavoro irregolare e il favoreggiamento della prostituzione, garantendo che i responsabili siano portati di fronte alla giustizia.

Dopo un certo numero di prestazioni pagate i clienti più fedeli avevano diritto a qualche speciale omaggio che offriva la ditta. Le primi le pagavi a prezzo pieno, circa 300 euro a botta, quello omaggio te lo godevi gratis quando riempivi la tessera! Era questo il meccanismo che ha retto per qualche tempo un centro massaggi erotico di Barletta. Una specie di raccolta punti come quelle che supermercati e discount offrono ai clienti più fedeli.
Perché stupirsi tanto, gli affari sono affari
Il meccanismo scoperto nella cittadina pugliese era ben organizzato. Nel centro massaggi, che nascondeva un giro di prostituzione, alla clientela più assidua si applicavano tariffe basate sul “grado di intimità” tra operatrice e cliente. Se il cliente riusciva a entrare in ‘empatia’ con l”operatrice’ dopo un certo numero di ‘visite’, riusciva a ottenere bonus, regalini e anche prestazioni gratuite. Un servizio destinato solo ai clienti più affezionati e frequentatori conosciuti del centro. Fisicamente la carta a punti non c’era, faceva testo l’amicizia e l’intimità che si creava tra prostituta e cliente. Tutto questo in un ambiente signorile, ben decorato, confortevole tra oli profumati e luci soffuse. Ma anche cinghie, manette, bondage e frustini per le esigenze più particolari.
Dopo gli arresti qualcuno c’è rimasto male. E tutti i miei punti che fine faranno?
Ce lo possiamo immaginare quel cliente attempato che con la tessera a punti ormai piena, aspettava di poter godere della sua prestazione gratuita. Una attesa interrotta dall’irruzione dei carabinieri che hanno arrestato del titolare e la presunta segretaria del centro ‘Arte del Benessere‘. Punti accumulati senza poterne usufruire. Del resto ci vuole proprio dell’arte per escogitare un sistema semplice e allettante come quello adottato dal centro benessere. Al titolare, incarcerato, gli sono stati sequestrati beni per un valore di 500mila euro, tra cui conti correnti, l’immobile del centro, contanti e auto di lusso. La segretaria, invece, è agli arresti domiciliari senza braccialetto elettronico. Probabilmente è impegnata a rendicontare tutti i malcapitati clienti che dopo tante prestazioni non hanno potuto ottenere il regalo sperato.
Da 300 euro in su…
I due indagati sfruttavano cinque giovani donne, italiane e straniere, come prostitute con prestazioni erotiche del costo minimo di 300 euro. Pubblicizzato su Instagram e su siti come Happyending24 e Bakeca, con foto e video accompagnati da messaggi erotici, il centro accettava prenotazioni telefoniche che avvenivano utilizzando un linguaggio criptico per descrivere i servizi offerti.
Un discount molto frequentato
Solo nei primi sei mesi del 2024, il giro d’affari accertato è stato di 312mila euro, mentre nel 2023 era stato di 624mila euro, con il 50% dei ricavi destinato alle operatrici. Con tutto quel via vai dovevano anche tenere a mente chi, quando e quante volte, per offrire a tempo debito regalie e omaggi.
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Cose dell'altro mondo
L’orrore in Kenya non si ferma: nuove fosse comuni della setta del digiuno, Mackenzie accusato di genocidio
Il predicatore Paul Mackenzie, a processo insieme a 29 coimputati, avrebbe convinto i fedeli a lasciarsi morire di fame per “raggiungere Gesù”. Le vittime accertate sono oltre 400, ma la Croce Rossa teme che possano essere almeno 610.

In Kenya l’orrore continua a riaffiorare dalla terra. Nell’entroterra di Malindi, nella foresta di Shakahola, la Direzione delle indagini criminali ha portato alla luce nuove fosse comuni con decine di corpi senza vita. Tutti riconducibili alla “setta del digiuno”, fondata e guidata dal predicatore Paul Mackenzie, già sotto processo insieme a 29 complici.
Le cifre sono impressionanti: oltre 400 le vittime accertate finora, di cui quasi la metà bambini. Ma secondo la Croce Rossa del Kenya, che assiste i familiari e monitora le ricerche, il bilancio potrebbe salire fino a 610 persone. Un massacro silenzioso, consumato lontano dalle città, che oggi scuote il Paese e la comunità internazionale.
Il meccanismo era sempre lo stesso: Mackenzie convinceva i suoi adepti che digiunare fino alla morte fosse l’unico modo per “vedere Gesù in paradiso”. Un’ossessione alimentata da prediche infuocate, registrazioni e riti collettivi che trasformavano la foresta in un campo di annientamento.
Alcuni sopravvissuti, ora sotto protezione, hanno raccontato scenari da incubo. Minori costretti ad assistere all’agonia dei genitori, a scavare fosse e seppellire i corpi. Famiglie intere convertite dall’islam al cristianesimo per seguire i precetti del pastore, che prometteva salvezza eterna in cambio della vita terrena. «Mio padre diceva che non poteva più mangiare perché Gesù lo stava chiamando», ha raccontato una testimone davanti agli investigatori.
Sull’uomo pendono accuse pesantissime: omicidio di massa, terrorismo, abuso su minori, fino al capo d’imputazione di genocidio. Le autorità keniane hanno avviato un processo che si annuncia lungo e complesso, ma che dovrà fare i conti con centinaia di famiglie distrutte e con una comunità segnata per sempre.
Il caso di Shakahola è già stato definito “il più grande massacro rituale della storia recente dell’Africa orientale”. E mentre gli scavi continuano e i corpi riaffiorano dal terreno, resta una domanda inquietante: come è stato possibile che una predicazione delirante abbia potuto trascinare nella morte centinaia di persone, nel silenzio e nell’indifferenza generale, fino a quando era ormai troppo tardi?
Mondo
Trump e quel livido viola sulla mano: mistero sulla salute del presidente tra gonfiori, trucco e smentite
La Casa Bianca parla di semplici “strette di mano” e di aspirina, ma il gonfiore alle caviglie e la diagnosi di insufficienza venosa alimentano nuove speculazioni sulla resistenza fisica del presidente più discusso del mondo.

Donald Trump, 79 anni, non è nuovo a polemiche, ma questa volta non c’entrano né la politica né i comizi incendiari. Stavolta al centro dell’attenzione c’è un dettaglio fisico: un livido viola, vistoso, comparso sulla mano destra del presidente. L’ematoma, immortalato dai fotografi durante l’incontro con il presidente sudcoreano Lee Jae Myung nello Studio Ovale, ha immediatamente fatto il giro del mondo.



Trump di solito copre le imperfezioni con un velo di fondotinta: stavolta, però, il segno era troppo evidente per passare inosservato. Una macchia che ha alimentato il tam tam sui social e che ha risvegliato vecchi sospetti sulla sua salute.
La portavoce della Casa Bianca, Caroline Leavitt, si è affrettata a minimizzare: «Si tratta solo di una lieve irritazione dei tessuti molli, causata da frequenti strette di mano e dall’uso quotidiano di aspirina». Una spiegazione ribadita anche dal suo medico personale, il dottor Ronny Jackson, che ha assicurato: «Il presidente gode di buona salute».
Eppure il livido non è l’unico segnale che fa discutere. Già il mese scorso la stessa Casa Bianca aveva rivelato che a Trump è stata diagnosticata una “insufficienza venosa cronica”, responsabile del gonfiore alle caviglie. Una condizione che di certo non mette a rischio immediato la vita, ma che per l’opinione pubblica suona come un campanello d’allarme: soprattutto per un uomo che ha appena riconquistato lo Studio Ovale e che si presenta come simbolo di forza e resistenza.
Nelle foto trapelate, oltre al livido sulla mano, spiccano i piedi gonfi nelle scarpe lucide. I detrattori ne fanno motivo di ironia, i sostenitori parlano invece di “attacchi strumentali”. Ma l’immagine resta: quella di un leader che non riesce più a mascherare i segni del tempo, nonostante il fondotinta e la retorica muscolare.
Per i suoi avversari,non è più l’uomo in grado di reggere la pressione di un secondo mandato. Per i suoi fan, invece, il livido è solo un dettaglio: “anche gli eroi stringono mani e portano cicatrici”. La verità, come spesso accade con Trump, resta sospesa tra propaganda, ombre e immagini che parlano da sole.
Italia
Targa polacca per risparmiare sull’RC. Conviene? Un escamotage a rischio
Boom di targhe polacche su motorini e auto: servono ad aggirare le assicurazioni. Una scelta molto rischiosa.

Sono sempre di più i veicoli che circolano con targa polacca: un trucco per abbattere i costi dell’assicurazione, ma che può avere conseguenze inaspettate.
Il fenomeno dell’utilizzo delle targhe polacche per motorini e auto in Italia è diventato sempre più diffuso. In particolare in città come Napoli e in genere al Sud Italia. Delle 53 mila targhe straniere in Italia ben 35 mila, infatti, sono solo a Napoli. Una tendenza che è alimentata dai costi elevati delle assicurazioni. Del resto Napoli, dopo Prato è la città dove l’assicurazione Rc auto è la più costosa. Un esempio? L’Rc di un motorino nel capoluogo campano annualmente può superare i 1.500 euro annui di spesa. Con l’utilizzo di una targa straniera il costo si può ridurre fino a un quinto.
Come si fa in pratica
Il trucco consiste nel registrare il proprio veicolo come esportato in Polonia attraverso una procedura che coinvolge la radiazione del veicolo in Italia e la successiva immatricolazione in Polonia. Una volta ottenuta la nuova immatricolazione, il proprietario stipula un contratto di noleggio con una società intestataria polacca, consentendo di pagare tariffe assicurative significativamente inferiori rispetto a quelle italiane. Un giochino semplice semplice. Si pagano circa 600-800 euro il primo anno che diventano 300-350 euro per gli anni successivi. La pratica è consentita dalle normative italiane, come Giuseppe Guarino, Segretario Nazionale Studi di Unasca (Unione Nazionale Autoscuole e Studi di Consulenza Automobilistica). “Le agenzie di pratiche auto applicano le norme che consentono queste procedure“.
Risparmio ma con quali rischi?
Questa pratica comporta serie conseguenze. In caso di incidente, la nuova compagnia assicurativa polacca potrebbe non pagare o farlo con ritardi significativi. Inoltre, il proprietario perde il controllo diretto del veicolo, non potendo più venderlo o disporne liberamente. Se la società intestataria del veicolo fallisse, tutti i veicoli registrati con essa verrebbero confiscati, causando ulteriori complicazioni per gli ex proprietari. Insomma è necessario valutare molto bene se conviene risparmiare ma rischiare complicazioni anche penali oltre che amministrative.
Italia tra i paesi più cari
Questa pratica evidenzia un problema più ampio: i costi elevati delle assicurazioni in Italia. L’IVASS ha rilevato che gli italiani pagano il 27% in più rispetto alla media europea per assicurare i propri veicoli, con un aumento dei prezzi superiore all’inflazione negli ultimi anni. Questo fenomeno potrebbe essere un catalizzatore per l’aumento degli evasori assicurativi, con milioni di veicoli che circolano senza l’assicurazione obbligatoria. Nel nostro Paese, infatti, per assicurare un veicolo si paga il 27% in più rispetto alla media degli altri Paesi europei e nell’ultimo anno i prezzi sono saliti del 7,5%, un valore maggiore dell’inflazione.
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