Cronaca
Ci lascia Roberto Cavalli, mito della moda
Ciao, Roby. Noi di LaCitymag ti salutiamo e ringraziamo per il tuo straordinario contributo alla moda italiana e mondiale, che continuerà a ispirare e influenzare le generazioni future.

Roberto Cavalli
Roberto Cavalli, l’iconico stilista rinomato a livello globale, è morto ieri all’età di 83 anni. Nonostante da tempo si trovasse a fare i conti con una brutta malattia, la sua passione per la vita è rimasta sempre viva e vibrante. Nel marzo 2023, con grande entusiasmo, aveva annunciato il lieto evento della nascita del suo sesto figlio, Giorgio, e l’acquisizione della rinomata discoteca Pineta di Milano Marittima.
La sua fervida vitalità che non solo caratterizzava la sua personalità, ma permeava anche il suo straordinario successo nel mondo della moda. Le sue audaci collezioni hanno conquistato il cuore degli appassionati alla fine degli anni Novanta, con tessuti pregiati, stampe animalier e abiti che ridefinivano i canoni della moda. Per Cavalli, l’eccesso rappresentava la chiave del successo, e il suo obiettivo era di trasmettere alle donne un senso di sensualità attraverso i suoi capolavori.
Nonostante le critiche dell’epoca, l’estetica di Cavalli gode ancora oggi di una popolarità senza precedenti. La sua vita, caratterizzata da tragici eventi e straordinari successi professionali, è stata sempre all’insegna dell’eccellenza e dell’audacia.











Per Cavalli, l’eccesso è sempre stato un marchio di fabbrica. Amava ripetere che “l’eccesso talvolta è sinonimo di successo, a patto di fare qualcosa di diverso, speciale, sexy”. Il suo obiettivo era chiaro: aiutare tutte le donne a sentirsi delle dive. Anche se in passato non tutti hanno apprezzato e compreso il suo stile così eccentrico, ma oggi l’estetica di Cavalli è più in voga che mai, con il mercato vintage che impazzisce per i suoi capi originali.
I suoi spettacolari show, con le modelle più affascinanti e le scenografie più mozzafiato, sono stati tra i più ambiti delle sfilate milanesi. Nel 2002, apre il Just Cavalli Café a Milano, diventando rapidamente un punto d’incontro per calciatori, star e aspiranti tali. E Cavalli è sempre al centro dell’attenzione, divertito e sornione. Quando gli si chiede perché sia così affascinato dalle stampe animalier, risponde con semplicità: “Mi piace la natura: mi sono reso conto che tutti gli animali hanno un bellissimo ‘vestito’. Ho capito che Dio è uno straordinario stilista: e quindi, copio da lui”.
Nel 2007, la sua collaborazione con H&M fa registrare un successo strepitoso, mentre nel 2012 pubblica la sua autobiografia, presentandola a Milano in compagnia di Eva – con cui rimane molto legato nonostante la separazione – e di Matteo Renzi, suo grande amico.
La vita di Roberto Cavalli è sempre stata caratterizzata da eventi straordinari e spesso tragici, molte volte al di là del suo controllo. Il noto stilista nasce il 15 novembre 1940 a Firenze, ma la sua infanzia è segnata dalla dolorosa perdita del padre Giorgio, ucciso nel 1944 durante il massacro di Cavriglia ad opera delle truppe tedesche.
Crescendo, Cavalli mostra un talento innato per l’arte, probabilmente influenzato dallo zio materno Giuseppe Rossi, celebre pittore il cui lavoro è esposto agli Uffizi. Frequenta l’istituto statale d’arte di Firenze, dove si appassiona alla tintura su stoffa, specializzandosi in questa tecnica.
Fin da giovane dimostra un eccezionale entusiasmo e talento: ancora studente, le sue stampe floreali su un pullover attirano l’attenzione di vari produttori di calze e collant. Tuttavia, Cavalli desidera creare la propria strada nel mondo della moda e rivoluzionare il settore. Nei primi anni Settanta, all’età di appena trent’anni, brevetta un innovativo metodo di stampa su pelle, diventando così un pioniere nel campo. Questo lo porta a collaborare con importanti nomi come Pierre Cardin ed Hermès.






Da lì in poi, la sua carriera è un’esplosione di tessuti audaci, colorati e ricamati, perfetti per l’era dell’hippie chic. Cavalli sfilata a Palazzo Pitti, apre la sua prima boutique a Saint Tropez nel 1972 e si sposa con il suo primo amore, Silvanella Giannoni, nel 1964, da cui ha i suoi primi due figli, Tommaso e Cristiana.
Il vero punto di svolta nella sua vita professionale e personale avviene nel 1977, quando, dopo il divorzio da Silvanella, incontra Eva Duringer, sua futura seconda moglie. Si conoscono al concorso di Miss Universo, dove Cavalli è giudice e Eva rappresenta l’Austria. Nonostante un legame proibito dal regolamento del concorso, i due si innamorano e si sposano nel 1980, avendo insieme tre figli: Robert, Rachele e Daniele.
Oltre alla sua vita privata, Eva si rivela essere una formidabile compagna creativa. Grazie a lei, Cavalli decide di ritornare alla moda e abbandona l’allevamento di cavalli. La sua seconda carriera professionale inizia nel 1994, quando lancia la sua linea di jeans invecchiati e trattati con la tecnica della sabbiatura, che, sebbene apprezzata all’epoca, sarà successivamente giudicata dannosa per la salute dei lavoratori.
I suoi capolavori hanno conquistato il cuore di molte celebrità e influenzato il corso della moda mondiale. L’incisiva trasformazione della sua immagine guidata da Franca Sozzani, leggendaria direttrice di Vogue Italia, insieme alla stylist Anna Dello Russo, ha dato nuova vita al suo marchio. Le sue campagne pubblicitarie, straordinariamente fotografate da Steve Hiett con la giovane Maria Carla Boscono, hanno dominato le città, mentre le star del calibro di Beyoncé, Cindy Crawford, Jennifer Lopez e molti altri non potevano fare a meno dei suoi capi.







Nonostante il successo, il mondo mutevole della moda ha portato sfide al marchio, con gusti che seguono ciclicamente nuove tendenze. Nel 2014, la famiglia Cavalli ha ceduto la maggioranza del brand al fondo Clessidra, ma purtroppo, nel 2019, il gruppo ha presentato istanza di fallimento. Tuttavia, la Vision Investment Co. di Dubai ha preso le redini, offrendo una nuova speranza per il futuro del marchio.
Roberto Cavalli, con la sua innata capacità di esprimere sempre la sua opinione, ha continuato a lasciare il segno, anche se a volte controverso, nel mondo della moda. Nonostante le polemiche sui social media e le divergenze con gli influencer, la sua visione della moda come fonte di divertimento rimane indelebile.
Oggi, la collezione porta la firma di Fausto Puglisi, che con la sua passione per i colori, le forme e la sensualità, ha riportato il marchio ai vertici del settore, proprio come Cavalli avrebbe desiderato.
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Mondo
Giulia Sarkozy compie 14 anni tra le lacrime: Carla Bruni le dedica un messaggio commovente alla vigilia dell’arresto di Nicolas
In un clima sospeso tra tenerezza e inquietudine, la famiglia Sarkozy si riunisce per celebrare Giulia. Carla Bruni affida ai social un messaggio pieno d’amore, mentre Nicolas si prepara alla prigione della Santé.

Un compleanno diverso da tutti gli altri. Domenica 19 ottobre, Giulia Sarkozy, figlia di Carla Bruni e Nicolas Sarkozy, ha compiuto 14 anni, ma la festa si è svolta in un clima difficile: a sole 48 ore dall’arresto del padre, condannato a cinque anni per associazione a delinquere nel caso dei finanziamenti libici.
La cena si è tenuta al ristorante stellato del Four Seasons Hôtel George V di Parigi, dove la famiglia si è riunita per trascorrere insieme le ultime ore di normalità. Oltre a Carla e Nicolas erano presenti i tre figli maggiori dell’ex presidente — Pierre, Jean e Louis — e Aurélien Enthoven, il figlio che Bruni ha avuto dal filosofo Raphaël Enthoven.
Durante la serata, tra luci soffuse e silenzi più lunghi del solito, Giulia ha ricevuto una sorpresa: una fotografia pubblicata dalla madre sui social, accompagnata da parole dolci e intense. Nell’immagine, la ragazza posa accanto alla sua cavalla Valentine, la sua più grande passione.
«Buon compleanno alla più meravigliosa delle figlie — ha scritto Carla Bruni —. Quest’anno non è un compleanno facile, ma tu sei così forte e coraggiosa. Grazie di esistere, Giulia mia, è una felicità essere tua madre.»
Un messaggio semplice, ma che racchiude tutta la tensione di questi giorni. Per Sarkozy, che si è detto «pronto alla prova», quella cena è stata l’ultima serata in famiglia prima di entrare alla Maison de la Santé, il carcere parigino dove sconterà la pena.
Nonostante l’atmosfera malinconica, Giulia ha ricevuto centinaia di messaggi d’affetto. Tra i primi a scriverle, la top model Linda Evangelista e la fotografa Mae Photography, che le ha dedicato un post: «Buon compleanno mia Giu, resta come sei, sei una persona incredibile».
Serena ma consapevole, la giovane ha ricondiviso alcuni auguri sul suo profilo, ringraziando con cuori e sorrisi. Da sempre legata all’equitazione, trascorre gran parte del tempo con la madre, lontana dai riflettori, anche se la notorietà dei genitori la accompagna fin da piccola.
Carla Bruni, che negli ultimi giorni ha scelto il silenzio, ha voluto però mostrare una forza calma, quella che da anni caratterizza la sua figura di moglie e madre. E nel messaggio a Giulia, più che malinconia, c’è un filo di speranza: l’idea che anche nei momenti più bui, l’amore possa restare la sola, vera certezza.
Cronaca
Il padre di Elisabetta Gregoraci accusato di violenza e stalking: “Versione parziale dei fatti, emergerà la verità”
L’inchiesta della Procura di Catanzaro, nata da una denuncia presentata ai carabinieri, approderà il 5 novembre davanti al giudice dell’udienza preliminare. Gregoraci è indagato per maltrattamenti e stalking: «Mai usato violenza, la mia versione non è stata ascoltata».

Un’inchiesta delicata scuote la famiglia Gregoraci. Mario Gregoraci, 75 anni, padre della conduttrice televisiva Elisabetta Gregoraci, è indagato dalla Procura di Catanzaro per maltrattamenti e stalking nei confronti della sua ex compagna, Rosita Gentile, 57 anni di Soverato. La donna lo accusa di averla sottoposta, per quasi tredici anni, a una serie di violenze fisiche e psicologiche.
La denuncia, presentata ai carabinieri, ha aperto un fascicolo che il 5 novembre approderà davanti al giudice dell’udienza preliminare, chiamato a decidere se rinviare o meno Gregoraci a giudizio. Nella sua testimonianza, Gentile racconta un incubo lungo oltre un decennio: «Il femminicidio non è solo quando togli la vita a una donna, ma quando la distruggi dentro. Ho taciuto per dodici anni, undici mesi e ventitré giorni. Ora voglio dire alle donne: fate rumore».
Secondo la ricostruzione della denunciante, la relazione sarebbe iniziata nel 2012 a Soverato. All’inizio, l’uomo appariva premuroso e protettivo, ma presto — sostiene la donna — sarebbe emersa una gelosia ossessiva, sfociata in episodi di violenza: «Mi picchiava, mi spingeva, una volta mi ha puntato un coltello alla gola. Mi ripeteva: “Tu non sei niente”».
Parole e accuse gravi, che l’ex compagno però respinge con decisione. Mario Gregoraci, attraverso il suo legale, parla di una “versione parziale e distorta dei fatti” e dichiara di avere «piena fiducia nella magistratura». «Non ho mai alzato le mani su nessuno — ha detto —. Le accuse sono prive di fondamento e potrò chiarire tutto nelle sedi opportune».
Una vicenda che resta da accertare nei dettagli, ma che ha inevitabilmente attirato l’attenzione mediatica per il legame familiare dell’indagato. Elisabetta Gregoraci, da parte sua, non ha rilasciato dichiarazioni, mantenendo il massimo riserbo.
Il caso ora passa alla giustizia. E mentre la Procura raccoglie testimonianze e referti, due verità opposte attendono di essere messe a confronto in aula: quella di una donna che dice di aver vissuto per anni nel silenzio della paura, e quella di un uomo che si proclama innocente e parla di una “storia riscritta per ferirlo”.
Italia
Quando tifare diventa tragedia: l’ombra della violenza tra sport e premeditazione
Dopo l’agguato costato la vita a Raffaele Marianella, autista del pullman dei tifosi del Pistoia Basket 2000, ecco perché l’escalation della violenza calcistica e cestistica richiede un esame profondo delle radici del fenomeno.

Domenica 19 ottobre 2025 la strada statale 79 che collega Rieti a Terni ha fatto da scena a una tragedia dallo spessore incredibile. Un pullman che trasportava tifosi del Pistoia Basket 2000 è stato «teso d’assalto» da un gruppo di ultras della Sebastiani Rieti: due mattoni hanno sfondato il parabrezza, uno di questi colpendo mortalmente Raffaele Marianella, 65 anni, autista seduto accanto al conducente.
L’episodio ha riacceso un allarme che da tempo permanenza: perché il tifo può trasformarsi in violenza estrema? E chi organizza queste azioni cosa rischia realmente?
La spirale della violenza nello sport
Il legame tra sport e identità è forte: la squadra diventa estensione della comunità, della città, delle proprie radici. Tuttavia, quando questa passione si trasforma in antagonismo esasperato, il tifo può scivolare in odio attivo. Nel caso del pullman del Pistoia, fonti investigative ricostruiscono che «il mezzo è stato seguito per chilometri» prima di essere attaccato da tifosi nascosti oltre il guard-rail.
Si tratta quindi non di un gesto spontaneo, ma – secondo le autorità – di una azione premeditata. Questo sposta l’interpretazione da semplice vandalismo a un’aggressione pianificata, con vittima innocente. Il coinvolgimento di tifosi organizzati, la scelta del target (il bus ospite), il momento e il luogo indicano dinamiche che vanno al di là della rivalità sportiva.
Perché nasce la “violenza ultras”?
Dal punto di vista psicologico, diversi fattori contribuiscono:
- Il senso di appartenenza: l’ultra vive la squadra come “noi” e l’avversario come “la minaccia”.
- La performance virile e l’adrenalina del gruppo: atti estremi generano notorietà interna al movimento ultras.
- L’escalation simbolica: la vittoria non basta più, si ricercano gesti che entrino nella memoria collettiva.
- La pianificazione come rituale: quando l’azione è attentamente preparata, assume valenza di rito iniziatico per chi vi partecipa.
Nel contesto dello sport, questi elementi si sommano e in alcuni casi sfuggono al controllo. L’autobus, innocuo spettatore dell’evento, diventa bersaglio.
I rischi legali per chi organizza gli agguati
Dal punto di vista strettamente giuridico, un’azione come quella contro il pullman comporta conseguenze gravi per gli autori. Il lancio di mattoni contro un veicolo in movimento, con vittime e spettatori a bordo, può configurarsi come:
- Omicidio volontario o preterintenzionale (art. 575 e 584 c.p.), se il fatto comporta la morte.
- Associazione per delinquere o gruppo armato, se vi è contesto organizzato.
- Lesioni gravissime e danneggiamento aggravato.
- Evento con finalità terroristica o di intimidazione collettiva, se collegato a tifoseria e violenza ultras.
Nel caso specifico di Rieti-Pistoia, è emersa la circostanza che l’autobus fosse già scortato dalla polizia, ma l’agguato sarebbe avvenuto dopo la fine della scorta. Gli inquirenti della Digos e della Squadra Mobile stanno ascoltando decine di testimoni. Finora non risultano fermi.
La punibilità è elevata, ma l’individuazione dei singoli colpevoli può rivelarsi complessa: ambiente notturno, mobilità dei veicoli, anonimato degli ultras.
Vale la pena rischiare?
Perché qualcuno accetta di entrare in queste dinamiche così rischiose? Oltre alla motivazione ideologica o ludica, c’è un mercato della violenza che fornisce status all’interno del gruppo. Un gesto eclatante può elevare il singolo da semplice tifoso a “eroe” di curva. Ma il prezzo è altissimo: vite umane messe a rischio, vite distrutte, carriere sportive rovinate, processi penali, stigma sociale.
Il caso Marianella scuote l’intero sport italiano: non è più solo rivalità, è omicidio di Stato in trasferta. Le società, le istituzioni e le tifoserie sane dovranno assumersi l’impegno di separare la passione dalla violenza e di prendere contromisure concrete.
Tifare non dovrebbe mai significare mettere a rischio vite. Il dramma del pullman del Pistoia è la prova di quanto la ferocia ultras possa travalicare lo sport e trasformarsi in crimine. Dietro un mattone lanciato c’è una catena di decisioni: pianificazione, gruppo, obiettivo. A pagare sono innocenti. E chi agisce sa bene cosa rischia. Per lo sport, per la civiltà, per la vita.
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