Cronaca
Cologno Monzese sigla un protocollo per la tutela del lavoro negli appalti: qualità, diritti e trasparenza al centro dell’intesa
Il nuovo accordo tra l’amministrazione comunale e CGIL, CISL, UIL introduce regole più stringenti per garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori, la qualità dei servizi e la legalità negli appalti pubblici. Una clausola sociale obbliga i nuovi appaltatori a riassumere il personale impiegato.

Un passo avanti concreto nella tutela dei diritti dei lavoratori negli appalti pubblici. Il Comune di Cologno Monzese ha siglato oggi un protocollo con CGIL, CISL e UIL di Milano, con l’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro e garantire maggiore equità nelle gare d’appalto.
Una strategia contro il massimo ribasso
Uno degli aspetti centrali dell’accordo riguarda l’abbandono della logica del massimo ribasso nelle gare pubbliche. Il protocollo stabilisce che il criterio di aggiudicazione dovrà essere quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che premia la qualità del servizio e il rispetto delle condizioni contrattuali dei lavoratori, evitando il rischio di precarizzazione e sfruttamento.
Tutela dei lavoratori e stabilità occupazionale
Per contrastare il lavoro irregolare, il protocollo prevede l’obbligo di verificare il rispetto del costo del lavoro. Inoltre, introduce una “clausola sociale” che impone al nuovo appaltatore di assumere tutto il personale precedentemente impiegato, garantendo continuità occupazionale e tutele contrattuali. Un meccanismo che punta a salvaguardare la stabilità lavorativa e la qualità dei servizi erogati ai cittadini.
Legalità e trasparenza: stop al subappalto a cascata
L’accordo introduce anche misure stringenti per garantire maggiore trasparenza e legalità negli appalti pubblici del Comune di Cologno Monzese. Tra le più rilevanti, il divieto di “subappalto a cascata”, una pratica spesso associata a opacità gestionale e riduzione delle tutele per i lavoratori. L’amministrazione comunale si impegna inoltre a verificare che le risorse stanziate per gli appalti siano effettivamente destinate alla remunerazione del lavoro, evitando sprechi o possibili distorsioni.
Soddisfazione e impegno per il futuro
L’intesa è stata accolta con favore dai rappresentanti sindacali di CGIL, CISL e UIL di Milano. Melissa Oliviero, Eros Lanzoni e Claudio Mor hanno dichiarato: “Si tratta di un protocollo fondamentale perché coniuga la tutela del lavoro con la qualità dei servizi e delle opere per la cittadinanza. Centralità dell’offerta economicamente più vantaggiosa, una solida clausola sociale e il divieto di subappalto a cascata sono elementi chiave per garantire maggiore equità e stabilità”.
Dal canto suo, l’Amministrazione Comunale di Cologno Monzese sottolinea come questo protocollo rappresenti solo l’inizio di un percorso di collaborazione continua con le rappresentanze sindacali. Il sindaco Stefano Zanelli e l’assessore al Lavoro Andrea Arosio hanno commentato: “La firma di oggi non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Lavoreremo con le parti sociali per garantire un monitoraggio costante e costruire un sistema di confronto permanente, con l’obiettivo di maggiori tutele per i lavoratori negli appalti pubblici”.
Un modello per il futuro?
Secondo Francesco Fedele e Claudio Carotti, della CGIL di Milano, questo protocollo potrebbe diventare un modello replicabile in altre realtà territoriali: “L’intesa può essere l’apripista per una stagione di accordi territoriali fondamentali per la tutela della qualità del lavoro negli appalti. La contrattazione territoriale è un esempio virtuoso che può estendersi ad altre amministrazioni locali”.
Un protocollo che punta a tutelare i diritti dei lavoratori, garantendo trasparenza e qualità nei servizi pubblici. Ora resta da vedere se altre amministrazioni seguiranno l’esempio di Cologno Monzese.
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Italia
Abuso spirituale: non fidatevi di ‘guru’ e santoni alla facile caccia di like
L’abuso spirituale è più diffuso di quanto si pensi, ed è fondamentale mantenere alta l’attenzione.

L’abuso spirituale è un fenomeno subdolo e pericoloso, che può colpire chiunque si affidi a una guida spirituale. Ma come riconoscerlo? Come proteggersi dai ‘guru’ che sembrano convincenti e affascinanti ma poi creano più danni che benessere psico-fisico? Qual è il legame tra abuso spirituale e abuso sessuale? Questi temi saranno affrontati nel corso semestrale offerto dalla Facoltà teologica del Triveneto, condotto da don Giorgio Ronzoni, esperto in teologia pastorale e parroco di Santa Sofia a Padova.
Che cos’è l’abuso spirituale?
L’abuso spirituale si manifesta spesso in relazioni di accompagnamento spirituale, dove chi chiede aiuto diventa vittima di un manipolatore che abusa del potere conferitogli. Questo abuso può avvenire sia in contesti individuali, come tra un direttore spirituale e la persona assistita, sia in ambiti comunitari. La vittima finisce per essere controllata e manipolata, subendo danni profondi.
Chi sono gli abusatori?
Gli abusatori possono essere sacerdoti, religiosi, fondatori di movimenti, ma anche laici con una certa autorevolezza morale. L’elenco è lungo e comprende anche figure fuori dall’ambito ecclesiale, come santoni e veggenti. Il comune denominatore è il riconoscimento di un’autorità morale da parte delle vittime.
Come si riconosce l’abuso spirituale?
L’abuso spirituale spesso si camuffa come un percorso di crescita. La vittima, che potrebbe provare sofferenza, paura o depressione, viene indotta a credere che queste sensazioni facciano parte del processo di guarigione e siano volontà divina. L’abusatore manipola la vittima, suggerendo che il loro rapporto debba rimanere segreto, impedendo alla vittima di cercare aiuto.
Come avviene la liberazione?
La liberazione dall’abuso avviene raramente in modo autonomo. Spesso è necessaria l’intervento di una terza persona o di un elemento esterno (lettura, conferenza) che faccia scattare la consapevolezza nella vittima. Tuttavia, il processo è difficile e non immediato, poiché la fiducia della vittima nel suo abusatore è profonda.
Chi è a rischio?
Non esiste un profilo ideale di vittima: chiunque è potenzialmente a rischio. Tuttavia, le persone più fragili o in cerca di un sostegno spirituale sono più vulnerabili. Gli abusatori sono abili nel trovare i punti deboli delle loro vittime, rendendole facili prede.
Quali sono le motivazioni degli abusatori?
Gli abusatori possono essere di tre tipi
Quelli in parziale “buona fede”, convinti di agire per il bene della vittima, ma che in realtà cercano di legare a sé le persone per colmare un loro vuoto.
I perversi narcisisti, consapevoli del loro comportamento, che cercano il controllo totale per fini egoistici, spesso sessuali.
Gli egocentrici nevrotici, che sfruttano la loro immagine per calmare la loro ansia, cercando ammirazione e consenso.
Il pericolo dei social media
Nell’era dei social, la visibilità è spesso confusa con l’efficacia apostolica. Anche nella Chiesa, c’è chi crede che il numero di follower sia indice di carisma spirituale. Ma secondo san Paolo, i carismi sono doni dello Spirito, non basati sul successo visibile.
Come proteggersi?
Per chi cerca una guida spirituale, è fondamentale informarsi, confrontarsi con più persone e non affidarsi ciecamente a un’unica figura. Se una guida spirituale tende a isolare la persona, chiedendo esclusività, questo è un segnale d’allarme.
Formazione e consapevolezza
La prevenzione dell’abuso spirituale non si risolve con un semplice corso in seminario. È necessaria una formazione continua e una maggiore consapevolezza da parte di chi guida spiritualmente gli altri. L’abuso spirituale è più diffuso di quanto si pensi, ed è fondamentale mantenere alta l’attenzione.
Mistero
L’incredibile storia di Charles Joughin, il fornaio sopravvissuto al naufragio del Titanic. Sarà vera?
Nonostante alcune incongruenze, la vicenda di Joughin, il capo panettiere del Titanic, continua a suscitare fascino e curiosità.

Chiariamo subito che ci sono alcune incongruenze nella storia di Charles Joughin, capo panettiere a bordo del Titanic, noto non solo per essere sopravvissuto alla tragedia ma per il curioso dettaglio del suo racconto. Joughin dichiarò che per resistere nelle acque gelide dell’Atlantico si sarebbe aiutato con l’alcol. Una storia che, seppur romanzata o alterata dai ricordi del momento, rimane affascinante e ci consegna il ritratto di un uomo comunque resiliente.
Ma chi era Charles Joughin?
Nato il 3 agosto 1879 a Birkenhead, Liverpool, mister Joughin era già un uomo esperto nella gestione delle cucine navali quando si arruolò per lavorare sul Titanic. Aveva lavorato come capo panettiere sulla nave gemella del Titanic, l’Olympic, e nel 1911 risultava residente a Elmhurst con la moglie Louise e i due figli piccoli, Agnes e Roland. A bordo del Titanic, Joughin era responsabile di una squadra di 13 panettieri.
La notte del naufragio? Distribuiva pagnotte e lanciava in acqua le sedie sdraio
Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912, quando il Titanic colpì l’iceberg alle 23:40, Charles Joughin si trovava nella sua cabina fuori servizio. Resosi conto della gravità dell’incidente, inviò i suoi panettieri a rifornire i passeggeri con 50 pagnotte destinate alle scialuppe di salvataggio. Dopo essersi assicurato che il suo staff fosse al lavoro, Joughin decise di bere un bicchiere di whisky. Più tardi raggiunse il ponte e aiutò donne e bambini a salire sulla scialuppa a lui assegnata, la numero 10, senza però prenderne posto per dare l’esempio. Con le scialuppe già partite e nessuna possibilità di salvezza apparente, Joughin si dedicò a lanciare sedie a sdraio in mare, con la speranza che potessero servire da appiglio per chiunque fosse caduto in acqua. Quando la nave si spezzò in due alle 2:10, fu una delle ultime persone a lasciare il Titanic, restando attaccato al relitto fino all’ultimo istante. Questo lo dice lui.
Come fece a sopravvivere mister Joughin
Joughin dichiarò di essere caduto in acqua poco prima che la nave affondasse completamente, sostenendo di non essersi nemmeno bagnato i capelli. Disse di aver nuotato per circa due ore nell’Atlantico gelido, fino a raggiungere una zattera di salvataggio pieghevole, la zattera B. Poiché questa era già sovraccarica, rimase in acqua fino a quando un collega dell’equipaggio, il cuoco Isaac Maynard, lo aiutò a salire a bordo. Successivamente venne tratto in salvo dalla nave Carpathia. Arrivò a New York il 16 aprile 1912, in buone condizioni fisiche, riportando solo un gonfiore ai piedi.
Le incongruenze del suo mirabolante racconto
La testimonianza di Joughin, pur avvincente che sia, presenta alcune incongruenze. Vediamo quali. La prima è il tempo di sopravvivenza nelle acque gelide dell’Atlantco. A temperature vicine agli 0°C, il corpo umano può resistere solo per pochi minuti prima che l’ipotermia diventi letale. Le due ore menzionate da Joughin sembrano davvero molto improbabili. Andiamo avanti. La seconda incongruenza è l’effetto dell’alcol. Contrariamente alla convinzione popolare, l’alcol non protegge dal freddo. Essendo un vasodilatatore, accelera la perdita di calore corporeo, aumentando il rischio di ipotermia. È possibile, però, che l’alcol abbia attenuato lo shock psicologico e fisico, dandogli un senso temporaneo di calore e coraggio. Alcuni esperti ipotizzano che Joughin possa non essere stato in acqua per tutto il tempo indicato o che il suo racconto sia stato influenzato dal trauma e dall’impatto emotivo. E fin qui ci siamo.
La sua testimonianza in un libro sulla tragedia
Dopo il naufragio, Joughin tornò in Inghilterra e partecipò come testimone all’inchiesta britannica sulla tragedia, che si tenne tra maggio e luglio 1912. Continuò a lavorare come panettiere su navi da crociera e, dopo la Prima Guerra Mondiale, si arruolò nella marina mercantile. Alla fine, si trasferì in New Jersey, negli Stati Uniti, dove visse fino alla sua morte, avvenuta il 9 dicembre 1956 a causa di una polmonite. Joughin lasciò un’impronta indelebile nella storia del Titanic, raccontando un’esperienza di sopravvivenza davvero unica che mescola tenacia, fortuna e tanta leggenda. Cos’ leggendario che la sua testimonianza venne inclusa nel libro A Night to Remember di Walter Lord, che ancora oggi resta una delle opere più autorevoli sulla tragedia.
Italia
Il network LaC entra al 50° posto nella Top 100 dei siti di informazione italiani: un traguardo che premia qualità e innovazione
Il network di Diemmecom conquista il 50° posto nella classifica Comscore di giugno. Merito di un’informazione autorevole, radicata sul territorio e capace di dialogare con lettori e community social.

Il mese di giugno segna un passaggio importante nella storia del network LaC: l’ingresso ufficiale nella Top 100 dei siti di informazione italiani secondo la classifica Comscore, con un posizionamento al 50° posto. Un risultato che conferma la crescita costante del gruppo editoriale Diemmecom e l’impatto delle sue testate nel panorama nazionale.
Il riconoscimento, diffuso da Prima Comunicazione, fotografa un gruppo capace di competere con i grandi player dell’informazione, puntando su autorevolezza, tempestività e una radicata presenza sul territorio.
Il network LaC non è solo il portale di informazione generale, ma una vera famiglia editoriale che si è allargata negli anni: accanto al sito principale, c’è il nostro LaCityMag.it, il “magazine monello” che racconta lifestyle, tendenze e gossip con uno sguardo curioso e mai banale; e LaCapitale, la voce autorevole che da Via Condotti 21 segue da vicino politica, attualità ed economia. E poi le redazioni che lavorano sul territorio calabrese con Il Vibonese, Il Reggino, Cosenza Channel e Catanzaro Channel. Insieme, queste testate compongono un’offerta editoriale ampia, moderna e trasversale, capace di intercettare pubblici diversi e fidelizzarli.
Più di una classifica: una comunità
Il 50° posto non è solo un dato: è la prova che una scelta editoriale basata sulla qualità dell’informazione e sul rapporto diretto con i lettori paga nel tempo. Il pubblico del network è ampio, trasversale e fedele. Non si limita a leggere, ma partecipa: segnala fatti, commenta, interagisce, diventando parte di un processo informativo condiviso.
Questo legame con la community è il vero motore della crescita. La redazione lavora ogni giorno con l’obiettivo di produrre notizie verificate, raccontate con un linguaggio chiaro ma mai superficiale, e di portare in primo piano storie e protagonisti che spesso non trovano spazio nei media nazionali.
Il ruolo dei social
A fare la differenza è anche la strategia social del gruppo: un sistema di canali che non si limita a diffondere le notizie, ma costruisce un dialogo continuo con il pubblico. L’elevato engagement, unito alla capacità di intercettare lettori anche al di fuori dei confini regionali, ha contribuito a rafforzare il brand e ad aumentare la visibilità complessiva.
Per l’editore Domenico Maduli, questo traguardo è una tappa, non un punto d’arrivo:
«Essere tra i primi 100 siti di informazione italiani significa che il lavoro quotidiano delle nostre redazioni e il legame con la community sono riconosciuti e premiati. Continueremo a investire in innovazione, professionalità e rapporto con i lettori, per offrire un’informazione sempre più autorevole e vicina alle persone».
Dal giornalismo di inchiesta alle curiosità di lifestyle, dalle analisi politiche agli approfondimenti economici, passando per i racconti di comunità: il network LaC continua a crescere, portando con sé l’orgoglio delle proprie radici e la voglia di parlare a tutta Italia.
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