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Cose dell'altro mondo

Cheratopigmentazione: il caso Chiofalo e la pericolosa moda che rischia di compromettere la vista

Francesco Chiofalo, noto influencer, ha raccontato a Le Iene il lungo percorso di interventi estetici che ha intrapreso per apparire attraente agli occhi delle donne.

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    La cheratopigmentazione, è un intervento chirurgico che promette di cambiare il colore degli occhi, sta diventando sempre più popolare tra i giovani, spinta soprattutto dalla diffusione sui social media di video e testimonianze di chi ha deciso di sottoporsi a questa procedura. Ma dietro l’attrazione per un nuovo colore degli occhi si nascondono rischi molto seri per la salute visiva, spesso sottovalutati. E Francesco Chiofalo ne ha fatto spese…

    La ricerca della perfezione

    Francesco Chiofalo, noto influencer, ha raccontato il lungo percorso di interventi estetici che ha intrapreso, tra cui la cheratopigmentazione per cambiare il colore degli occhi, ispirandosi agli occhi ghiaccio degli Husky. Tra le altre operazioni l’influencer ha rifatto naso, labbra, denti, riduzione delle orecchie e persino tatuaggio delle sopracciglia spendendo più o meno 100mila euro. Chiofalo ha spiegato che questa ricerca di perfezione nasce dal desiderio di apparire attraente agli occhi delle donne, tanto da definirsi ironicamente un “mignottone al maschile“.

    Egregio Chiofalo ma il prossimo obiettivo quale sarà?

    L’influencer pensa per davvero a un’operazione di allungamento delle gambe, sebbene sia dolorosa e richieda una lunga riabilitazione. Chiofalo ha ammesso comunque le difficoltà emotive legate alla sua immagine, confermando che da tre anni è seguito da vari psicologi, ma che continua a sentirsi insoddisfatto e tormentato.

    Quali sono i rischi della cheratopigmentazione?

    La diffusione sui social media di video e testimonianze positive sulla cheratopigmentazione rischia di minimizzare i rischi connessi a questa procedura. Molti giovani, infatti, sono attratti dall’idea di cambiare radicalmente il proprio aspetto e potrebbero decidere di sottoporsi all’intervento senza essere pienamente consapevoli dei potenziali danni alla loro salute visiva. I rischi di questa pratica interessano principalmente la cornea struttura delicata e fondamentale per la visione. L’introduzione di pigmenti può causare, inoltre, opacità, deformazioni e cicatrici, compromettendo la qualità visiva in modo permanente. Inoltre come in ogni intervento chirurgico, esiste il rischio di infezioni che potrebbero portare a gravi complicanze oculari. Il pigmento iniettato potrebbe spostarsi all’interno dell’occhio, causando irritazioni e danni a strutture delicate come l’iride. Nei casi più gravi, la cheratopigmentazione può portare alla perdita totale o parziale della vista. Ma ne vale davvero la pena…?

    È fondamentale denunciare questa pratica

    La cheratopigmentazione è un intervento estetico altamente invasivo, con rischi significativi per la salute. Sarebbe necessario sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli di questa pratica e promuovere una maggiore consapevolezza dei rischi connessi alla chirurgia estetica in generale.

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      La procura di Roma indaga sui “nudi” generate dall’IA: immagini porno false di giornaliste e vip, inchiesta sul nuovo reato 612-quater

      A piazzale Clodio è partita un’indagine dopo la pubblicazione online di immagini deepfake che ritraggono donne del mondo dell’informazione e dello spettacolo. Si procede sulla base della fattispecie introdotta lo scorso ottobre nel codice penale: la diffusione illecita di contenuti generati o alterati con IA, punita con reclusione da uno a cinque anni.

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        La corsa della tecnologia sta producendo nuovi danni che la legge prova a intercettare. La procura di Roma ha aperto un fascicolo in seguito alla pubblicazione su un sito per adulti di immagini ritraenti giornaliste e donne dello spettacolo in pose o condizioni di nudo, immagini che — secondo le denunce raccolte — sarebbero state realizzate o manipolate attraverso sistemi di intelligenza artificiale. Tra le persone che hanno segnalato la vicenda c’è la giornalista Francesca Barra, che ha formalizzato la denuncia e ha portato la questione all’attenzione dei magistrati.

        Il quadro giudiziario
        Il procedimento è inquadrato nella nuova fattispecie penale inserita nel codice lo scorso ottobre: l’articolo 612-quater, che punisce la diffusione illecita di contenuti generati o alterati mediante sistemi di intelligenza artificiale. La norma risponde proprio all’emergere dei cosiddetti deepfake e prevede una pena detentiva che va da uno a cinque anni. Nel fascicolo romano i pm stanno valutando responsabilità e modalità di diffusione: se e come le immagini sono state create, chi le ha caricate e quali canali di distribuzione sono stati impiegati.

        Le indagini e le tracce digitali
        Gli accertamenti si concentrano su più fronti: raccolta delle segnalazioni, acquisizione dei file pubblicati, identificazione dei gestori del sito e dei profili responsabili della diffusione. I magistrati potranno richiedere consulenze tecniche per stabilire se le immagini siano effettivamente artefatte o il risultato di manipolazioni, e per ricostruire i collegamenti informatici. Non è escluso il coinvolgimento della Polizia Postale e di esperti di informatica forense, chiamati a mappare server, account e flussi di condivisione.

        Il problema sociale e le vittime
        Dietro l’apparato tecnologico ci sono persone reali: la diffusione di immagini intime fabbricate con l’IA può avere effetti profondi sulla reputazione, sulla sfera privata e sulla salute psicologica delle vittime. La nuova norma intende tutela­re la dignità e il diritto all’immagine in un contesto dove la circolazione virale del materiale digitale può amplificare il danno in poche ore. Nel contempo, le procure devono però dimostrare l’illiceità della condotta e il collegamento tra gli autori materiali e la rete di diffusione.

        Verso responsabilità e prevenzione
        L’episodio romano riporta al centro il nodo della responsabilità online: piattaforme, gestori di siti e intermediari tecnici sono spesso snodi chiave per risalire ai responsabili. L’indagine avviata a Roma potrebbe portare a misure cautelari, sequestri e richieste di identificazione degli autori. Ma solleva anche la questione preventiva: come regolamentare l’uso di tecnologie in grado di riprodurre fedelmente volti e voci e come tutelare le potenziali vittime prima che il danno si consumi.

        Il fascicolo di piazzale Clodio è solo il primo passo di una partita che unisce diritto penale, tecnologie digitali e tutela delle persone: nelle prossime settimane saranno gli atti investigativi a chiarire responsabilità, dinamiche di diffusione e, si spera, a prevenire nuovi abusi.

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          Quando il “morto” torna in vita: l’incredibile sorpresa al funerale

          La polizia locale aveva attribuito un’identità basandosi su indizi fragili, il corpo è stato consegnato ai familiari — finché il giovane creduto morto non ha fatto irruzione nella veglia funebre, costringendo a rivedere l’intera vicenda.

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          Quando il “morto” torna in vita: l’incredibile sorpresa al funerale

            La mattina seguente al disastro stradale, nei pressi di un ponte di Villa Carmela, le autorità scoprono un corpo irreconoscibile: profondamente mutilato dall’impatto con un camion, senza documenti addosso, senza tracce certe che possano identificare la vittima. Secondo le prime ricostruzioni, l’incidente è stato interpretato come un gesto volontario, ma i pubblici ministeri impongono un’indagine per determinarne l’identità.

            In assenza di un riconoscimento formale, la notizia che un corpo giaceva non reclamato all’obitorio si diffonde rapidamente in zona. Il giorno dopo, una donna — accompagnata da una sorella — si presenta davanti agli agenti, sostenendo che l’individuo investito potrebbe essere suo figlio, scomparso da giorni. Pur con il volto irriconoscibile, ella riconosce l’abbigliamento e alcune caratteristiche del corpo come familiari e chiede che venga consegnato loro. Le autorità, pur con riserve, cedono alla pressione: la salma viene affidata alla famiglia per i funerali.

            Mentre il feretro è esposto e i parenti vegliano, accade l’impensabile: un giovane irrompe nella veglia e annuncia di essere proprio il “de cuius”. Con voce incredula, afferma che è vivo — e che nella bara giace un estraneo. L’emozione è violenta: crolli, urla, svenimenti tra i presenti. Una vicina ricorda: “Molti erano terrorizzati, qualcuno urlava, altri piangevano… eravamo tutti senza parole.” Fanpage

            Il ragazzo racconta di essersi recato in un paese vicino, dove avrebbe perso i sensi dopo aver fatto uso di droga, restando isolato per alcuni giorni senza poter comunicare con la famiglia. Affermando di non sapere che i suoi parenti lo avevano riconosciuto come vittima dell’incidente, chiede spiegazioni: “Non sapevo che stessi ricevendo un funerale”. Fanpage

            La famiglia, sconvolta, avverte la polizia. Le autorità disporranno che il corpo nella bara venga riportato all’obitorio per ulteriori accertamenti. Nel frattempo, il clamore della vicenda attira l’attenzione anche in una città vicina, dove una famiglia segnala la smarrimento di un uomo, Maximiliano Enrique Acosta, 28 anni, scomparso da alcuni giorni. I media locali indicano che quella stessa salma — già oggetto del primo funerale — potrebbe appartenere a lui. Dopo un secondo riconoscimento, la salma viene definitivamente restituita ai familiari di Acosta per il seppellimento.

            Dietro questa storia dall’apparenza incredibile, tuttavia, si celano questioni ben più gravi: l’assenza di criteri affidabili per l’identificazione, l’urgenza delle autorità di dare un nome al cadavere, e la tendenza umana a ricorrere alla somiglianza quando mancano prove certe. In questo caso, il riconoscimento basato su abbigliamento e dettagli superficiali ha assunto il valore di verità, senza ulteriori verifiche forensi.

            L’episodio solleva interrogativi sul sistema giudiziario e la prassi investigativa: come garantire che un’identificazione sia valida quando le condizioni del corpo sono compromesse? Qual è il grado di responsabilità dei parenti che affermano riconoscimenti affrettati? E, soprattutto, quali guai possono scaturire quando le emozioni prevalgono sulla prudenza nelle procedure?

            In fondo, non si tratta soltanto di un caso singolare o di un colpo di scena mediatico: è un monito sul rispetto della dignità del corpo e sul diritto all’identità certa, che anche un funerale non può ribaltare senza verità documentate.

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              Dal sito del Comune al portale hard: a Santa Maria a Monte la politica finisce “a luci rosse” per un dominio scaduto

              Doveva essere la vetrina politica della maggioranza che guida il Comune, ma si è trasformato in un portale hard. È bastato il mancato rinnovo del dominio web della lista civica “Santa Maria a Monte Sempre” perché un sito a luci rosse ne prendesse il posto, mostrando foto di donne nude e messaggi inequivocabili.

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                Un click. E al posto del programma elettorale della lista civica di centrodestra, compare un sito erotico con immagini esplicite e offerte di incontri “nel raggio di trenta chilometri”. Succede a Santa Maria a Monte, Comune di circa tredicimila abitanti in provincia di Pisa, dove la coalizione “Santa Maria a Monte Sempre”, che dal 2023 sostiene la sindaca Manuela Del Grande, si è ritrovata suo malgrado protagonista di un incidente digitale che ha fatto il giro dei social.

                L’anomalia è stata scoperta da due consigliere di opposizione, Elisa Eugeni e Patrizia Faraoni, del gruppo “Sinistra Plurale”, che hanno segnalato l’accaduto con una pec indirizzata direttamente alla prima cittadina. «Nel cercare in rete il suo programma elettorale – scrivono – abbiamo constatato che il sito ufficiale della lista civica risulta compromesso. Non abbiamo voluto renderlo pubblico subito per senso di responsabilità, ma la invitiamo a intervenire per tutelare l’immagine delle istituzioni e del Consiglio comunale».

                Il tono è civile ma fermo. Eppure, la risposta della sindaca arriva tagliente come una lama. «Abbiamo letto la vostra comunicazione con una certa perplessità – replica Manuela Del Grande – un po’ per il tono, un po’ per la gravità che cercate di attribuire a un fatto in sé del tutto neutro, ma soprattutto per il livello di confusione tecnica che permea ogni riga della vostra missiva».

                Poi la spiegazione: il dominio in questione, acquistato il 22 marzo 2023, è scaduto due anni dopo, il 22 marzo 2025. Non essendo stato rinnovato, è tornato sul mercato digitale libero. Da quel momento, qualsiasi nuovo proprietario ha potuto registrarlo e farne ciò che voleva. «Dal 22 marzo 2025 – scrive la sindaca – la responsabilità e il controllo dei contenuti non sono più in alcun modo riconducibili alla nostra lista. Avreste evitato una figuraccia se vi foste informate meglio».

                Ma la vicenda, invece di spegnersi, è esplosa. Le opposizioni hanno deciso di rendere pubbliche le mail, denunciando “arroganza istituzionale” e “poca attenzione all’immagine pubblica del Comune”. Nei commenti social, ironia e sarcasmo si sono sprecati: “Santa Maria a Monte Sempre… più caliente che mai”, scrive qualcuno. “Un click di troppo e ti trovi su un sito vietato ai minori”, scherza un altro.

                In realtà, il fenomeno non è nuovo. Accade spesso che domini web non rinnovati finiscano acquistati da società che li rivendono o li riutilizzano per contenuti completamente diversi, compresi quelli pornografici. Ma che a cadere nel tranello sia una lista civica al governo di un Comune, con tanto di nome e logo ancora visibili nei motori di ricerca, è tutt’altra storia.

                La sindaca Del Grande, 47 anni, alla guida di una coalizione di centrodestra composta da esponenti di Fratelli d’Italia, Forza Italia e civici, difende la propria amministrazione: «L’impatto istituzionale non è quello che pensano loro. Parlano di “reputazione delle istituzioni” e di “contenuti lesivi” senza comprendere che si tratta di una questione tecnica, non politica. È un attacco infondato, portato avanti con leggerezza e superficialità».

                Nel frattempo, il link incriminato continua a essere attivo, anche se il Comune sta valutando un intervento per segnalare ai motori di ricerca la presenza di contenuti inadatti. Non mancano però i commenti sarcastici dei cittadini: «Almeno così qualcuno visita il sito», dice un commerciante.

                Dietro la gaffe digitale, si intravede anche il segno dei tempi: nella provincia toscana più tranquilla, la politica locale si scontra ora con gli effetti di un web sempre più spietato. Un dominio dimenticato diventa una trappola perfetta per l’imbarazzo. E il confine tra cronaca e farsa si assottiglia.

                Per l’opposizione, la vicenda «dimostra una mancanza di cura e di professionalità». Per la sindaca, invece, «un banale errore tecnico, gonfiato ad arte per creare clamore». In ogni caso, la lezione resta: in tempi di politica digitale, anche un click può trasformarsi in un caso politico.

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