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Cose dell'altro mondo

Tac al gatto in ospedale: la procura di Aosta apre un’indagine sul radiologo animalista

Dopo la rivelazione del radiologo Gianluca Fanelli sull’uso della Tac dell’ospedale Parini per curare il proprio animale domestico, la procura ha avviato un’indagine per accertare eventuali reati. La regione Valle d’Aosta chiede trasparenza, mentre il direttore dell’azienda sanitaria attiva la commissione di disciplina.

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    La procura di Aosta ha ufficialmente aperto un fascicolo sulla vicenda di Gianluca Fanelli, il radiologo che ha ammesso di aver portato la propria gatta in ospedale per sottoporla a Tac e a un drenaggio polmonare. L’episodio, avvenuto nell’ospedale Parini di Aosta, è stato segnalato dalla stessa azienda Usl della Valle d’Aosta, che ha avviato un’indagine interna.

    L’iniziativa del medico ha sollevato interrogativi sull’uso delle risorse pubbliche per fini personali, e il direttore dell’azienda sanitaria, Massimo Uberti, ha dichiarato che “potrebbero esserci ipotesi di reato perseguibili d’ufficio”. Uberti ha ricevuto la relazione del caso lunedì sera e ha immediatamente attivato la commissione disciplinare, incaricata di verificare i fatti e stabilire eventuali sanzioni.

    L’assessore Marzi: “Serve trasparenza, ma evitiamo strumentalizzazioni”

    Sulla questione è intervenuto anche l’assessore regionale alla Sanità, Carlo Marzi, che ha sottolineato l’importanza di fare piena luce sull’accaduto: “È doveroso accertare eventuali responsabilità per garantire il rispetto delle regole e l’uso corretto delle risorse pubbliche”. Tuttavia, ha messo in guardia contro il rischio di strumentalizzazioni, ribadendo che “la sanità valdostana è un bene primario da tutelare sempre” e che “è necessario riconoscere il lavoro quotidiano degli operatori, evitando che questo episodio metta in ombra il loro impegno”.

    Cosa succede ora

    Con l’attivazione della commissione disciplinare, Fanelli dovrà rispondere dell’accaduto e chiarire la propria posizione. L’indagine della procura valuterà se l’uso della Tac per un animale domestico possa configurare un illecito o un abuso di risorse pubbliche.

    L’episodio, che ha diviso l’opinione pubblica, solleva un dibattito più ampio sull’uso delle strutture sanitarie e sui confini tra etica e burocrazia, ponendo la domanda: salvare una vita, seppur animale, giustifica l’infrazione di una regola?

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      Il fantasma dell’umido: si traveste da spettro per buttare la spazzatura a Monreale

      Con un lenzuolo in testa e un sacchetto in mano, il “fantasma dell’umido” sperava di farla franca. Ma la polizia municipale ha seguito le sue tracce fino a casa, infliggendogli una multa e scatenando l’ilarità del sindaco e dei cittadini

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        A Monreale, in provincia di Palermo, la raccolta differenziata ha toccato l’80%, ma c’è sempre chi tenta di eludere le regole. L’ultimo a provarci è stato un uomo – o forse una donna – che ha deciso di travestirsi da fantasma per gettare l’immondizia in modo illegale. Con un lenzuolo bianco calato sulla testa e un sacco della spazzatura in mano, ha sfidato i turni e le regole, convinto che bastasse un costume per non farsi riconoscere.

        Il “fantasma dell’umido” ha pensato che una mascherata fosse la via più semplice per liberarsi dei rifiuti senza pagare dazio. Ma non ha fatto i conti con le telecamere di videosorveglianza, ormai puntate su ogni angolo della città. Gli agenti della polizia municipale lo hanno seguito in diretta, dalle prime manovre furtive davanti ai cassonetti fino al momento in cui, sfilato il lenzuolo, è tornato a casa convinto di averla fatta franca.

        “Ciò che ha ottenuto – ha commentato il sindaco di Monreale Alberto Arcidiacono – è che verrà preso in giro da tantissimi”. Un siparietto tragicomico, che ha fatto il giro dei social e ha scatenato l’ironia degli utenti. Ma dietro la risata resta la fermezza del Comune. “Abbiamo installato le telecamere non per sanzionare, ma per educare i pochi che si ostinano a non rispettare la differenziata”, ha precisato il primo cittadino.

        E l’assessore Giulio Mannino ha rincarato la dose: “A ogni ‘furbetto’ deve essere chiaro che il suo comportamento non resta impunito. Daremo la caccia a questi fantasmi e li porteremo alla luce”.

        Il travestimento fantasioso dell’uomo – che forse sperava di passare inosservato – è stato invece la sua condanna. Il Comune ha potuto risalire con esattezza al suo domicilio e notificargli la sanzione. E ora che la sua impresa è venuta a galla, la beffa è doppia: una multa salata e la berlina pubblica.

        Il caso del “fantasma dell’umido” è solo l’episodio più curioso di un fenomeno più ampio. Come spiega il sindaco, la zona di San Martino delle Scale è spesso teatro di abbandoni illeciti. “Chi viene a fare le scampagnate lascia di tutto, anziché portarlo via – dice Arcidiacono – comportamenti inqualificabili che stiamo cercando di fronteggiare”.

        Questa volta, però, il trasgressore ha superato la fantasia. Travestirsi da spettro per non farsi beccare. Peccato che a Monreale, anche i fantasmi hanno un volto. E, come ha detto il sindaco, ora c’è solo da ridere.

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          Si può riscrivere il passato con un bisturi? Michelle Comi l’ha fatto

          Michelle Comi ha deciso di tornare vergine grazie a un intervento chirurgico. Ma cosa c’è dietro questa scelta? Scopriamo cos’è la vaginoplastica e come la chirurgia estetica possa riscrivere il passato.

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            La creator e influencere Michelle Comi ha deciso di tornare vergine grazie a un intervento chirurgico, raccontando naturalmente la cosa sui social. Ma cosa c’è dietro questa scelta? Scopriamo cos’è la vaginoplastica e come la chirurgia estetica possa sfidare il tempo.

            Riparando ad una “prima volta” deludente

            La Comi ha sconvolto il web con un annuncio sorprendente: è tornata vergine! No, nessuna magia, solo un intervento di vaginoplastica. La giovane influencer ha spiegato che la sua prima volta è stata vissuta con troppa superficialità, lasciandole un profondo rimpianto. Così ha deciso di riavvolgere il nastro della sua vita intima affidandosi alla chirurgia. Ma cosa comporta davvero questa operazione?

            Vaginoplastica: un ritorno al passato

            La vaginoplastica è un intervento che, tra le varie applicazioni, permette di ricostruire l’imene e di ristabilire un certo grado di tonicità vaginale. Questo tipo di operazione, spesso associata a motivazioni culturali o personali, è oggetto di dibattiti accesi tra chi la considera un diritto individuale e chi la vede come un’inutile pressione sociale.

            Un modo per riattribuire un valore perduto

            Michelle, consapevole delle critiche, ha spiegato: «La chirurgia, che spesso demonizzate, in questo caso mi aiuta a superare un dolore profondo». Per lei, l’intervento non è solo una questione estetica, ma un modo per riprendersi il controllo della propria esperienza intima e darle il valore che avrebbe voluto fin dall’inizio.

            Tra curiosità e polemiche: il web si divide

            Come sempre accade con le scelte personali esposte sui social, il pubblico si è diviso. Da un lato c’è chi la sostiene e applaude il suo coraggio nel raccontarsi senza filtri, dall’altro chi ritiene che un’esperienza passata non possa essere cancellata con un’operazione chirurgica.

            La discussione impazza

            Quel che è certo è che Michelle ha acceso i riflettori su un tema poco discusso e pieno di sfaccettature. Al di là delle opinioni, la sua storia dimostra ancora una volta che, nella vita e nella chirurgia, ognuno deve sentirsi libero di scegliere ciò che lo fa stare meglio. E voi, cosa ne pensate? Si può davvero riscrivere il passato con un bisturi? La verginità è più un fatto anatomico o uno stato mentale? Meditate gente, meditate… che il tema non è affatto superficiale come potrebbe apparire.

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              Maxi rogo di marijuana in Turchia intossica 25 mila persone

              L’idea di bruciare tonnellate di marijuana senza adeguate misure di contenimento ha creato un’emergenza sanitaria evitabile, con migliaia di persone costrette a convivere con le conseguenze di una scelta discutibile.

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                Un’operazione della gendarmeria turca nella provincia di Lice, nel sud-est della Turchia, ha avuto conseguenze inaspettate e gravi per la popolazione locale. La scorsa settimana, le autorità hanno effettuato un sequestro di 20 tonnellate di marijuana, coltivata e prodotta nell’area, un quantitativo enorme destinato alla distruzione. Ma la modalità scelta dai militari per smaltire la droga ha dell’incredibile e ha scatenato una crisi sanitaria senza precedenti. Le forze dell’ordine hanno deciso di bruciare la marijuana all’aperto, provocando un’intossicazione di massa che ha colpito ben 25 mila persone.

                La protesta dei residenti è esplosa immediatamente, con numerose denunce rivolte alle autorità turche, accusate di aver gestito la situazione in modo approssimativo e pericoloso. Il fumo sprigionato dalla combustione ha investito diversi villaggi dell’area, causando malori diffusi, difficoltà respiratorie e una serie di effetti collaterali che hanno compromesso la quotidianità degli abitanti per giorni. Tra i più colpiti i bambini, molti dei quali sono tornati da scuola debilitati e con sintomi di intossicazione. Le famiglie hanno riferito di aver vissuto giorni terribili, impossibilitate perfino ad aprire le finestre, per paura di respirare il fumo tossico che si era diffuso nell’aria.

                Un insolito smaltimento: la marijuana bruciata doveva formare la scritta “Lice”

                Le modalità con cui la gendarmeria ha scelto di distruggere la droga hanno suscitato sconcerto e indignazione. Le balle di marijuana sequestrata sono state sistemate in modo da formare la scritta “Lice”, il nome della provincia, e poi incendiate. Il gesto, che sembrava quasi un’operazione scenografica, è stato documentato con riprese effettuate da droni, mostrando il fumo che si propagava nell’aria. Tuttavia, non si è tenuto conto delle conseguenze che una combustione di tale portata avrebbe avuto sulla popolazione locale.

                La rabbiosa reazione della comunità

                Gli abitanti di “Lice” e dei villaggi circostanti hanno espresso profondo sdegno per quanto accaduto, chiedendo che in futuro la distruzione di sostanze stupefacenti venga effettuata in modo più sicuro, lontano dai centri abitati e con metodi meno dannosi per la salute pubblica. “Sono giorni che non possiamo neanche aprire le finestre. Migliaia di persone e tantissimi bambini sono stati male. La droga deve essere bruciata in maniera più professionale e lontano dai centri abitati”, hanno dichiarato i residenti. Il caso ha sollevato importanti interrogativi sulla gestione del sequestro e sulla mancanza di protocolli adeguati per la distruzione delle sostanze illecite. Mentre le autorità difendono la loro operazione, la popolazione locale si sente abbandonata e esposta a gravi rischi sanitari.

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