Cronaca Nera
Emanuela Orlandi, un cold case contorto sempre aperto: la tratta delle bianche, la BMW e… Claudio Baglioni!
Dopo oltre 40 anni la sparizione di Emanuela Orlandi rimane un mistero molto intricato, nel quale i vari personaggi coinvolti alimentano a loro volta ipotesi diverse.
«Vaticano, ci sta qualcosa lì, non riesco ad avere altre idee e ormai un po’ tutti, qualsiasi italiano, pensa questo». In questo modo risponde Marino Vulpiani, alla consueta domanda sulla sua idea circa le scomparse di Mirella Gregori e di Emanuela Orlandi.
Chi è Marino Vulpiani e perché è stato convocato nella commissione d’inchiesta
Era il giungo 1983, la scomparsa di Emanuela Orlandi sconvolge l’opinione pubblica italiana, dando origine a un caso intricato che, a distanza di oltre quarant’anni, continua a suscitare svariati interrogativi. Le indagini hanno coinvolto diversi ambienti ecclesiastici, servizi segreti e criminalità organizzata. Tra le figure chiave di quei giorni compare Giulio Gangi, un giovane carabiniere e, successivamente, agente del Sisde, il servizio segreto italiano per la sicurezza interna). Tra gli attuali convocati del 6 febbraio 2025, figura un nome meno noto al pubblico: Marino Vulpiani. ù
L’importanza della sua testimonianza
Ma perché i suoi ricordi sono ritenuti importanti? E’ presto detto. Nel 1982, Marino Vulpiani era un giovane studente di medicina originario del Reatino e amico di Giulio Gangi, all’epoca ventitreenne. L’anno precedente alla scomparsa di Emanuela Orlandi, Gangi trascorse alcuni giorni nella casa di campagna dei nonni di Vulpiani a Torano di Borgorose, dove conobbe Monica Meneguzzi, figlia di Mario Meneguzzi (zio di Emanuela e successivamente indagato nella cosiddetta “pista familiare”). Monica era cugina di Pietro ed Emanuela Orlandi, e questa connessione potrebbe aver influenzato gli eventi successivi.
La tratta delle bianche, ipotesi mai scartata e tornata di attualità
Subito dopo la scomparsa delle due ragazze, Gangi si attivò nelle indagini, convinto che fosse necessario seguire la pista della “tratta delle bianche”. Questa ipotesi è oggi tornata di attualità, con il vicepresidente della commissione bicamerale, Roberto Morassut, che ha dichiarato di ritenere fondata questa teoria. Tuttavia, quando Gangi chiese di mettere sotto controllo la linea telefonica della famiglia Orlandi, la sua richiesta fu respinta dai superiori.
Quella misteriosa automobile
Nei giorni successivi, Gangi raccolse testimonianze insieme a Pietro Orlandi e Pietro Meneguzzi. Il poliziotto Bruno Bosco e l’agente Alfredo Sambuco riferirono di aver visto una ragazza, che corrispondeva alla descrizione di Emanuela, salire su una BMW. Il dettaglio curioso è che i due testimoni ricordano il veicolo con colori differenti, un’incongruenza che non ha mai trovato spiegazione. Inoltre, la ragazza sarebbe stata vista parlare con un uomo, il cui identikit, secondo alcuni, “ricorderebbe nelle fattezze proprio lo zio di Emanuela, Mario Meneguzzi”.
La Bmw Touring
«Gangi mi raccontò che c’era questa Bmw modello Touring – ha dichiarato Vulpiani -, dicendo che era stato sgridato dai superiori ed è la stessa cosa che poi ho riletto su un articolo, lui aveva individuato quest’auto, io ho pensato che lui nel suo essere esaltato magari ci aveva preso. Parlò con un vigile e questo vigile disse di aver visto una Bmw, Gangi indagò sull’auto ma come ritornò in sede, un macello, non si doveva permettere di parlare con queste persone che loro conoscevano bene, lo sgridarono e lui era arrabbiato per questo»
Adesso Marino Vulpiani viene ascoltato dalla commissione bicamerale per chiarire il suo ruolo nella vicenda. Purtroppo, Gangi non potrà mai confermare né smentire nulla: è morto nel 2022 a 63 anni, portando con sé molte delle risposte che ancora oggi mancano per risolvere il mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi.
Il ricordo di Vulpiani
«Gangi – racconta il Vulpiani – era una persona molto intelligente, con molte conoscenze per via del padre, ma anche esuberante, esaltato, girava con una pistola, e per questo noi poi non ci siamo più frequentati». «Anche con questo fatto di Claudio Baglioni – ha aggiunto – si faceva grande, soprattutto con le ragazze». Infatti Gangi, per un certo periodo, è stato il personal manager di Claudio Baglioni. Per via delle sue conoscenze lo aiutò a realizzare il concerto allo stadio Olimpico, entrando in quel modo nelle sue grazie.
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Cronaca Nera
Omicidio Meredith, parla Mignini: «Una nuova pista, un nome mai emerso». E riapre il caso di Amanda Knox e Raffaele Sollecito
Giuliano Mignini rivela di aver trasmesso alla Procura un nome inedito. L’ex magistrato non assolve Knox e Sollecito: «Erano gli unici presenti. Circostanze fortunate per loro». Mentre la nuova pista prende forma, tornano dubbi, ferite e domande su uno dei casi più mediatici della cronaca italiana.
Diciotto anni dopo, il caso Meredith Kercher torna a farsi sentire come un eco che non si spegne mai. A riaccendere la miccia è Giuliano Mignini, il magistrato che coordinò le indagini sull’omicidio della studentessa inglese uccisa a Perugia nel 2007. Una dichiarazione, una suggestione, e il fascicolo rientra nell’immaginario di un Paese che quel delitto non l’ha mai davvero archiviato.
Mignini parla di una nuova informazione arrivata di recente: «Una fonte che ritengo affidabile mi ha fatto il nome di un individuo, mai preso in considerazione prima d’ora. Una persona che potrebbe essere implicata nell’omicidio e che scappò all’estero pochi giorni dopo il delitto». Una frase che pesa, perché arriva da chi quella storia l’ha vissuta dall’interno. E perché, per la prima volta, si cita un potenziale nuovo protagonista.
La Procura di Perugia, per ora, non conferma l’apertura di un nuovo fascicolo. Ma Mignini specifica: «Ci sono elementi che potrebbero far pensare che questa persona abbia un qualche coinvolgimento nella vicenda. Ho segnalato la cosa alla Procura di Perugia». Poi un retroscena: «Se avessi conosciuto certi particolari all’epoca, avrei sicuramente approfondito. Purtroppo, per anni, chi sapeva non ha parlato per paura».
Nel frattempo, la storia resta segnata dalla condanna di Rudy Guede — oggi libero — e dall’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito dopo un percorso giudiziario infinito. Una conclusione che Mignini non ha mai considerato soddisfacente. «Le circostanze sono state fortunate per loro», osserva. E aggiunge: «Sicuramente Knox e Sollecito pensano di aver “stravinto” ma la realtà è ben diversa. Bastava che l’avvocato Biscotti non chiedesse il rito abbreviato per Guede e la condanna sarebbe stata certa anche per loro».
Non un’accusa esplicita, ma un’ombra che torna. «Sono stati assolti con formula dubitativa», ricorda l’ex pm. «Gli unici presenti sul luogo del delitto erano con certezza conclamata Amanda Knox e quasi certamente Raffaele Sollecito. Il dubbio è su quello che hanno fatto. Hanno partecipato o sono stati solo spettatori?». Una domanda che sembra avere perso i confini del processo per diventare terreno di memoria, convinzioni personali, ferite istituzionali.
Diciotto anni dopo, Meredith Kercher resta al centro di una storia giudiziaria che continua a interrogare più che a rassicurare. E nell’Italia che osserva questi ritorni, c’è una sensazione sospesa: come se il tempo avesse provato a chiudere una porta che qualcuno, ancora oggi, non riesce a sigillare.
Cronaca Nera
“Corona aveva rapporti con i clan”: le rivelazioni del pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”
William Alfonso Cerbo, 43 anni, ex collettore economico del clan Mazzei di Catania, ha raccontato ai pm della Dda di Milano che Fabrizio Corona “si rivolgeva a Gaetano Cantarella quando aveva problemi su Milano”. Tra i ricordi, una richiesta di “recupero di 70mila euro a Palermo” e una cena con Lele Mora legata all’Ortomercato.
Il pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”, ha chiamato in causa Fabrizio Corona nel corso del maxi processo “Hydra” sulla presunta alleanza tra Cosa Nostra, ’ndrangheta e camorra in Lombardia. Davanti ai pm della Dda di Milano Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, Cerbo ha raccontato di essere stato “collettore economico a Milano del clan Mazzei di Catania” e di aver avuto contatti diretti con il mondo dello spettacolo.
Secondo quanto emerge dai verbali, l’ex re dei paparazzi “si rivolgeva a Gaetano Cantarella, storico affiliato al clan Mazzei, quando aveva problemi su Milano o per un recupero credito di 70mila euro a Palermo legato a una truffa subita da un suo amico”. Cerbo ha anche ricordato che “Corona e Cecilia Rodriguez vennero nella mia discoteca a Catania”, sottolineando come Cantarella avesse rapporti con “diversi personaggi dello spettacolo”.
Nel corso dei sei interrogatori, tra settembre e ottobre, Cerbo – oggi 43enne – ha ammesso la propria “partecipazione al reato associativo” e depositato una memoria di 27 pagine in cui elenca i punti della sua collaborazione con la giustizia. Tra questi, la scomparsa di Cantarella, ucciso nel 2020 in un episodio di lupara bianca su cui indagano i magistrati milanesi.
In un altro capitolo della memoria, Cerbo parla anche di Lele Mora. “Una domenica sera andammo a cena a casa di Lele Mora a discutere di affari all’Ortomercato”, ha raccontato. “Voleva sapere che tipo di frutta avrei potuto fornire, le quantità e i prezzi. Mi disse di avere rapporti stretti con il presidente della Sogemi e che sarei potuto essere utile grazie ai miei prezzi”.
Cerbo sostiene di aver inviato all’ex agente dei vip “il package della frutta in arrivo”, che Mora avrebbe poi girato a contatti all’interno del mercato ortofrutticolo milanese.
L’inchiesta “Hydra” coordinata dalla Dda di Milano mira a ricostruire le connessioni economiche e criminali tra le principali organizzazioni mafiose in Lombardia. E le parole di “Scarface” – tra imprenditori, personaggi televisivi e affari illeciti – aggiungono un tassello inquietante alla trama di rapporti tra mondi apparentemente lontani.
Cronaca Nera
Il mistero del guanto scomparso nel delitto Mattarella: arrestato un ex funzionario per depistaggio
Era una delle prove più importanti dell’inchiesta sull’omicidio dell’ex presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella. Ma quel guanto, repertato nel 1980 e mai più ritrovato, è ora al centro di un presunto depistaggio. Arrestato l’ex funzionario di polizia Filippo Piritore, presente al sopralluogo.
Un guanto di pelle marrone, da mano destra, ritrovato davanti al sedile passeggero della Fiat 127 usata dai killer di Piersanti Mattarella. È questo il dettaglio che, a 45 anni di distanza, riaccende i riflettori su uno dei delitti più oscuri della storia repubblicana. Secondo la procura di Palermo, quel guanto sarebbe stato fatto sparire da un ex funzionario della Squadra Mobile, Filippo Piritore, arrestato con l’accusa di depistaggio.

La presenza di Piritore sulla scena è attestata da una fotografia della Scientifica scattata durante il sopralluogo, subito dopo il ritrovamento dell’auto utilizzata per la fuga. Secondo la prassi, l’indumento avrebbe dovuto essere repertato e sottoposto ad analisi, ma ciò non avvenne.
E qui inizia la zona d’ombra. Il giorno successivo, il 7 gennaio 1980, Piritore — già in possesso degli oggetti trovati sulla vettura — attribuì al guanto una “destinazione diversa” rispetto al resto del materiale, che venne invece riconsegnato al proprietario della macchina.

Dalla documentazione rinvenuta oggi dalla Squadra Mobile emerge che l’ex funzionario avrebbe inviato il guanto all’allora sostituto procuratore Pietro Grasso, titolare delle indagini, tramite un agente della Scientifica. Una procedura anomala, secondo i magistrati, perché un reperto di quel tipo avrebbe dovuto restare agli esperti della polizia tecnica per le analisi balistiche e biologiche.
“La prassi adottata presenta diverse preoccupanti stranezze”, sottolineano i pm palermitani. Non solo il guanto è sparito, ma non esiste traccia di alcun verbale di consegna o ricevuta firmata dal magistrato o dal suo ufficio.




Per gli inquirenti, quella mancata registrazione rappresenta un passaggio cruciale in un possibile depistaggio volto a cancellare elementi utili per risalire agli autori materiali e ai mandanti del delitto. E quel piccolo oggetto di pelle scura, svanito nel nulla, torna oggi a pesare come un simbolo della verità mancata.
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