Cronaca Nera
Garlasco e il giallo della nicotina sui capelli di Chiara: il nodo che (forse) non cambierà nulla
Dalla nicotina nei capelli di Chiara Poggi all’alibi di ferro di Sempio, passando per scarpe troppo grandi e impronte insanguinate: il caso Garlasco torna sotto la lente dopo 18 anni. Ma il nuovo indagato sembra sempre più lontano dalla scena del crimine. Intanto l’avvocato della famiglia Poggi avverte: “Servirà smontare l’intera sentenza contro Stasi”.
C’è un dettaglio che emerge dal passato e che, come in ogni giallo che si rispetti, rischia di alimentare dubbi, ma anche di risolversi in un nulla di fatto. Sui capelli di Chiara Poggi, la ragazza uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007, venne rilevata nicotina. Ma Chiara non fumava e nemmeno il fidanzato Alberto Stasi, oggi in carcere con una condanna definitiva per omicidio. Allora di chi è quella traccia?
Per l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia Poggi, la risposta è già scritta nero su bianco da anni. “Basta leggere pagina 121 e 122 della sentenza d’appello che condannò Stasi”, spiega. “È noto che il padre di Chiara fosse un fumatore accanito e che quindi la ragazza fosse una fumatrice passiva”.
Una spiegazione semplice, che rimanda all’ambiente familiare e sembra svuotare di mistero quella che qualcuno ha già battezzato come “pista nicotina”. Ma questa è solo una delle tessere di un puzzle ben più ampio.
Il fascicolo d’indagine oggi si riapre su Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, già archiviato anni fa e ora di nuovo indagato per omicidio. La Procura di Pavia ha rimesso mano al caso, ma secondo molti osservatori – e soprattutto secondo l’avvocato Tizzoni – per accusare Sempio servirebbe non solo inchiodarlo sulla scena del crimine, ma riscrivere da capo l’intera storia giudiziaria di Garlasco.
Ecco perché. Primo: Chiara è morta tra le 9.12 e le 9.36 di quella mattina. Sempio, come testimonia uno scontrino del parcheggio a Vigevano, alle 10.18 era già lontano dalla casa del delitto. Secondo: l’impronta di scarpa rinvenuta sul tappetino del bagno – una taglia 42 – coincide con la misura calzata da Stasi. Sempio porta un 44. Terzo: le impronte sul dispenser del bagno appartengono ad Alberto Stasi, unico identificato in quella scena del crimine.
E ancora: Sempio aveva una bicicletta rossa, mentre i testimoni indicarono una bici nera come quella vista allontanarsi dalla villetta. Anche il Dna sotto le unghie di Chiara non sembra in grado di ribaltare le sentenze passate: la traccia genetica rilevata, infatti, non è databile e Sempio frequentava abitualmente casa Poggi. Potrebbe aver lasciato quel segno anche settimane prima dell’omicidio.
Infine, l’avvocato Tizzoni segnala un dettaglio non secondario: la nomina per potersi costituire parte offesa nel procedimento contro Sempio non gli è ancora stata notificata. “Al contrario – osserva – la Procura sembra aver già interloquito con la difesa di Stasi”.
A complicare ulteriormente il quadro c’è l’ombra di una potenziale revisione per Stasi, mai formalmente avviata. Ma anche questa ipotesi resta sullo sfondo.
Il caso di Garlasco, insomma, sembra riproporsi sotto nuove vesti, ma con vecchie certezze difficili da scardinare. Da qui l’impressione che tutto ruoti attorno a una sola domanda: davvero, a distanza di 18 anni e con una condanna definitiva, esiste un elemento capace di riscrivere la verità giudiziaria sul delitto di Chiara Poggi?
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Cronaca Nera
Omicidio Meredith, parla Mignini: «Una nuova pista, un nome mai emerso». E riapre il caso di Amanda Knox e Raffaele Sollecito
Giuliano Mignini rivela di aver trasmesso alla Procura un nome inedito. L’ex magistrato non assolve Knox e Sollecito: «Erano gli unici presenti. Circostanze fortunate per loro». Mentre la nuova pista prende forma, tornano dubbi, ferite e domande su uno dei casi più mediatici della cronaca italiana.
Diciotto anni dopo, il caso Meredith Kercher torna a farsi sentire come un eco che non si spegne mai. A riaccendere la miccia è Giuliano Mignini, il magistrato che coordinò le indagini sull’omicidio della studentessa inglese uccisa a Perugia nel 2007. Una dichiarazione, una suggestione, e il fascicolo rientra nell’immaginario di un Paese che quel delitto non l’ha mai davvero archiviato.
Mignini parla di una nuova informazione arrivata di recente: «Una fonte che ritengo affidabile mi ha fatto il nome di un individuo, mai preso in considerazione prima d’ora. Una persona che potrebbe essere implicata nell’omicidio e che scappò all’estero pochi giorni dopo il delitto». Una frase che pesa, perché arriva da chi quella storia l’ha vissuta dall’interno. E perché, per la prima volta, si cita un potenziale nuovo protagonista.
La Procura di Perugia, per ora, non conferma l’apertura di un nuovo fascicolo. Ma Mignini specifica: «Ci sono elementi che potrebbero far pensare che questa persona abbia un qualche coinvolgimento nella vicenda. Ho segnalato la cosa alla Procura di Perugia». Poi un retroscena: «Se avessi conosciuto certi particolari all’epoca, avrei sicuramente approfondito. Purtroppo, per anni, chi sapeva non ha parlato per paura».
Nel frattempo, la storia resta segnata dalla condanna di Rudy Guede — oggi libero — e dall’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito dopo un percorso giudiziario infinito. Una conclusione che Mignini non ha mai considerato soddisfacente. «Le circostanze sono state fortunate per loro», osserva. E aggiunge: «Sicuramente Knox e Sollecito pensano di aver “stravinto” ma la realtà è ben diversa. Bastava che l’avvocato Biscotti non chiedesse il rito abbreviato per Guede e la condanna sarebbe stata certa anche per loro».
Non un’accusa esplicita, ma un’ombra che torna. «Sono stati assolti con formula dubitativa», ricorda l’ex pm. «Gli unici presenti sul luogo del delitto erano con certezza conclamata Amanda Knox e quasi certamente Raffaele Sollecito. Il dubbio è su quello che hanno fatto. Hanno partecipato o sono stati solo spettatori?». Una domanda che sembra avere perso i confini del processo per diventare terreno di memoria, convinzioni personali, ferite istituzionali.
Diciotto anni dopo, Meredith Kercher resta al centro di una storia giudiziaria che continua a interrogare più che a rassicurare. E nell’Italia che osserva questi ritorni, c’è una sensazione sospesa: come se il tempo avesse provato a chiudere una porta che qualcuno, ancora oggi, non riesce a sigillare.
Cronaca Nera
“Corona aveva rapporti con i clan”: le rivelazioni del pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”
William Alfonso Cerbo, 43 anni, ex collettore economico del clan Mazzei di Catania, ha raccontato ai pm della Dda di Milano che Fabrizio Corona “si rivolgeva a Gaetano Cantarella quando aveva problemi su Milano”. Tra i ricordi, una richiesta di “recupero di 70mila euro a Palermo” e una cena con Lele Mora legata all’Ortomercato.
Il pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”, ha chiamato in causa Fabrizio Corona nel corso del maxi processo “Hydra” sulla presunta alleanza tra Cosa Nostra, ’ndrangheta e camorra in Lombardia. Davanti ai pm della Dda di Milano Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, Cerbo ha raccontato di essere stato “collettore economico a Milano del clan Mazzei di Catania” e di aver avuto contatti diretti con il mondo dello spettacolo.
Secondo quanto emerge dai verbali, l’ex re dei paparazzi “si rivolgeva a Gaetano Cantarella, storico affiliato al clan Mazzei, quando aveva problemi su Milano o per un recupero credito di 70mila euro a Palermo legato a una truffa subita da un suo amico”. Cerbo ha anche ricordato che “Corona e Cecilia Rodriguez vennero nella mia discoteca a Catania”, sottolineando come Cantarella avesse rapporti con “diversi personaggi dello spettacolo”.
Nel corso dei sei interrogatori, tra settembre e ottobre, Cerbo – oggi 43enne – ha ammesso la propria “partecipazione al reato associativo” e depositato una memoria di 27 pagine in cui elenca i punti della sua collaborazione con la giustizia. Tra questi, la scomparsa di Cantarella, ucciso nel 2020 in un episodio di lupara bianca su cui indagano i magistrati milanesi.
In un altro capitolo della memoria, Cerbo parla anche di Lele Mora. “Una domenica sera andammo a cena a casa di Lele Mora a discutere di affari all’Ortomercato”, ha raccontato. “Voleva sapere che tipo di frutta avrei potuto fornire, le quantità e i prezzi. Mi disse di avere rapporti stretti con il presidente della Sogemi e che sarei potuto essere utile grazie ai miei prezzi”.
Cerbo sostiene di aver inviato all’ex agente dei vip “il package della frutta in arrivo”, che Mora avrebbe poi girato a contatti all’interno del mercato ortofrutticolo milanese.
L’inchiesta “Hydra” coordinata dalla Dda di Milano mira a ricostruire le connessioni economiche e criminali tra le principali organizzazioni mafiose in Lombardia. E le parole di “Scarface” – tra imprenditori, personaggi televisivi e affari illeciti – aggiungono un tassello inquietante alla trama di rapporti tra mondi apparentemente lontani.
Cronaca Nera
Il mistero del guanto scomparso nel delitto Mattarella: arrestato un ex funzionario per depistaggio
Era una delle prove più importanti dell’inchiesta sull’omicidio dell’ex presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella. Ma quel guanto, repertato nel 1980 e mai più ritrovato, è ora al centro di un presunto depistaggio. Arrestato l’ex funzionario di polizia Filippo Piritore, presente al sopralluogo.
Un guanto di pelle marrone, da mano destra, ritrovato davanti al sedile passeggero della Fiat 127 usata dai killer di Piersanti Mattarella. È questo il dettaglio che, a 45 anni di distanza, riaccende i riflettori su uno dei delitti più oscuri della storia repubblicana. Secondo la procura di Palermo, quel guanto sarebbe stato fatto sparire da un ex funzionario della Squadra Mobile, Filippo Piritore, arrestato con l’accusa di depistaggio.

La presenza di Piritore sulla scena è attestata da una fotografia della Scientifica scattata durante il sopralluogo, subito dopo il ritrovamento dell’auto utilizzata per la fuga. Secondo la prassi, l’indumento avrebbe dovuto essere repertato e sottoposto ad analisi, ma ciò non avvenne.
E qui inizia la zona d’ombra. Il giorno successivo, il 7 gennaio 1980, Piritore — già in possesso degli oggetti trovati sulla vettura — attribuì al guanto una “destinazione diversa” rispetto al resto del materiale, che venne invece riconsegnato al proprietario della macchina.

Dalla documentazione rinvenuta oggi dalla Squadra Mobile emerge che l’ex funzionario avrebbe inviato il guanto all’allora sostituto procuratore Pietro Grasso, titolare delle indagini, tramite un agente della Scientifica. Una procedura anomala, secondo i magistrati, perché un reperto di quel tipo avrebbe dovuto restare agli esperti della polizia tecnica per le analisi balistiche e biologiche.
“La prassi adottata presenta diverse preoccupanti stranezze”, sottolineano i pm palermitani. Non solo il guanto è sparito, ma non esiste traccia di alcun verbale di consegna o ricevuta firmata dal magistrato o dal suo ufficio.




Per gli inquirenti, quella mancata registrazione rappresenta un passaggio cruciale in un possibile depistaggio volto a cancellare elementi utili per risalire agli autori materiali e ai mandanti del delitto. E quel piccolo oggetto di pelle scura, svanito nel nulla, torna oggi a pesare come un simbolo della verità mancata.
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