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Cronaca Nera

Garlasco, il misterioso sms delle gemelle Cappa: “Mi sa che abbiamo incastrato Stasi”

Nella nuova indagine su Andrea Sempio spunta un sms di Paola Cappa a un amico: “Mi sa che abbiamo incastrato Stasi”. È solo uno degli elementi sotto la lente degli inquirenti, insieme a post sui social, vecchie intercettazioni e oggetti repertati nella villetta del delitto.

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    “Mi sa che abbiamo incastrato Stasi”. È questo l’sms che, secondo quanto pubblicato dal settimanale Giallo, sarebbe stato inviato nel 2007 da Paola Cappa – una delle gemelle cugine di Chiara Poggi – a un amico di Milano, nelle ore successive al delitto di Garlasco. Il messaggio, custodito negli atti della nuova inchiesta della Procura di Pavia, è uno dei 280 sms finiti al vaglio degli investigatori che stanno cercando nuovi elementi sulla morte della ragazza, assassinata il 13 agosto 2007 nella sua villetta.

    Le gemelle Cappa

    Le sorelle Cappa, Stefania e Paola, cugine di Chiara, non sono mai state indagate. Eppure, negli ultimi mesi, diversi elementi sembrano riportare l’attenzione proprio sul loro contesto familiare. In particolare dopo la riapertura dell’inchiesta a carico di Andrea Sempio, amico stretto del fratello della vittima, indagato con l’ipotesi di omicidio in concorso.

    Due calze a un’impronta

    Nel servizio pubblicato da Giallo emergono anche riferimenti a una foto postata da Paola nel 2013: un’immagine in apparenza innocua – due piedi con calze a quadretti e in mezzo un’impronta a pallini – che richiama però la famigerata impronta repertata nella scena del crimine e rimasta senza identificazione. La foto era accompagnata dalla frase: “Buon compleanno sorellina”.

    Non è l’unico dettaglio spulciato dai social. Un’altra immagine, stavolta tratta dalle storie Instagram di Stefania, mostra un bambino vicino a delle biciclette e la parola “Fruttolo”, lo stesso nome del vasetto di yogurt rinvenuto nella villetta di via Pascoli, mai associato con certezza a nessuno degli indagati. Il contenuto del vasetto è stato messo sotto sequestro e ora sarà analizzato alla ricerca di eventuali tracce di dna.

    Nel fascicolo riaperto, figurano anche alcune intercettazioni ambientali risalenti all’epoca del delitto. In una telefonata con la nonna, Paola si sarebbe sfogata per la presenza dei genitori di Chiara, ospitati in casa loro dopo il sequestro della villetta dove era avvenuto l’omicidio.

    Intanto giovedì pomeriggio Andrea Sempio e la madre Daniela Ferrari si sono recati nella caserma Montebello dei carabinieri a Milano, dove si è proceduto alla restituzione di alcuni oggetti sequestrati il giorno prima, tra cui un cellulare. Accompagnato dalla legale Angela Taccia, Sempio ha preferito non rilasciare dichiarazioni. Resta indagato, e su di lui si stanno concentrando accertamenti anche di natura genetica.

    I pm di Pavia vogliono fare chiarezza su una delle pagine più oscure della cronaca nera italiana. L’ombra del dubbio, dopo 17 anni, è ancora lì. E adesso il nome di Alberto Stasi – condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio dell’allora fidanzata – torna a fare capolino in una nuova inquietante cornice.

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      Cronaca Nera

      La madre di Andrea Sempio rompe il silenzio: «Non ha ucciso Chiara Poggi, sta pagando un’accusa ingiusta»

      Dopo mesi di sospetti, microfoni e titoli urlati, la madre di Andrea Sempio racconta l’angoscia di una famiglia nell’occhio del ciclone. Dallo «scontrino del parcheggio» al peso dei giudizi mediatici, l’appello è uno solo: «Chiarite tutto, mio figlio non ha mai fatto del male a Chiara».

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        Ddavanti al cancello di casa, Daniela Ferrari ha deciso di parlare. «Basta con le bugie in tv e sui giornali», ha detto affrontando le telecamere. Lo ha fatto con la voce ferma di chi da 151 giorni vede la faccia del proprio figlio passare da un talk show all’altro come quella di un assassino annunciato. Eppure, giura, Andrea Sempio non ha ucciso Chiara Poggi.

        Il nuovo capitolo del giallo di Garlasco ha travolto ancora una volta la sua famiglia. Da quando la Procura ha riaperto l’inchiesta puntando i riflettori sul ragazzo, la vita nella villetta di provincia è diventata un inferno di chiamate, sguardi e sospetti. «Non ha ammazzato Chiara e lo ripeterò fino alla morte», ha detto la madre davanti ai microfoni, ripercorrendo punto per punto i tasselli di una vicenda che non sembra finire mai.

        Ferrari ha parlato dell’alibi di Andrea, legato a un dettaglio minuscolo ma diventato simbolico: uno scontrino del parcheggio di Vigevano. «Quel pezzo di carta l’ho conservato su consiglio delle detenute del carcere dove ho lavorato negli anni Ottanta», ha spiegato. «Mi dicevano: qualsiasi cosa succeda, tieni le prove. E così ho fatto». Secondo lei, quello scontrino dimostra che Andrea era altrove, lontano dalla casa dei Poggi.

        Poi ha ricordato l’interrogatorio che l’ha vista protagonista, quando ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. «Mi sentivo già male prima, avevo capogiri. Non sono mai svenuta, ma la pressione di quei momenti è stata devastante», ha raccontato. Intorno, il clima familiare è fatto di ansia costante e sospetti che corrono più veloci della giustizia.

        Daniela ripercorre con precisione la mattina del 13 agosto 2007. «Io ero in auto a Gambolò, mio marito a casa con Andrea. Quando sono tornata, lui è andato a Vigevano e poi dalla nonna. È rientrato con gli stessi vestiti, puliti, senza una macchia. Se fosse stato nella casa di Chiara, come dicono, come avrebbe fatto a non sporcarsi di sangue?»

        Il punto cruciale, per lei, resta uno: «Non esiste impronta che possa cambiare la verità. Mio figlio non è entrato in quella casa per uccidere Chiara». E aggiunge: «Credo che i Poggi sappiano che Andrea non c’entra nulla. Non aveva motivi, lei era solo la sorella di un suo amico».

        La madre non nasconde la paura di un processo che potrebbe trascinarsi per anni. «E se lo arrestassero? Sarebbe arrestato da innocente», sospira. «Noi stiamo vivendo nell’angoscia dalla mattina alla sera. La nostra salute si sta rovinando sul nulla».

        E c’è spazio anche per l’amarezza verso l’eco mediatica: «Gli imbecilli che pensano che sia colpevole ci saranno sempre. Si sta puntando a mio figlio per ripulire la faccia di qualcun altro», un riferimento chiaro, seppur mai nominato, ad Alberto Stasi, il primo imputato del caso.

        Il suo appello finale è un misto di speranza e stanchezza: «Spero che la Procura chiarisca tutto il prima possibile. Noi viviamo con la sensazione di essere già stati condannati senza processo».

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          Cronaca Nera

          Assalto in chiesa con pistola a salve: tentativo di rapina durante la funzione religiosa

          La pistola era finta, la paura no. A Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, questa mattina si è vissuto un incubo tra i banchi della cappella del complesso delle suore domenicane: un uomo mascherato ha fatto irruzione durante la messa delle prime ore del giorno, armato e deciso a rapinare i presenti.

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            È successo ieri mattina tra le 7 e le 8, quando il silenzio della preghiera è stato interrotto da urla e terrore. L’uomo – il volto nascosto da un passamontagna, la mano stretta attorno a una pistola – ha fatto irruzione all’interno della cappella dove si stava celebrando la funzione religiosa. Senza dire una parola ha puntato l’arma addosso ai fedeli, ordinando loro di consegnare denaro e oggetti di valore. Qualcuno ha provato a calmare gli animi, qualcun altro si è immobilizzato, paralizzato dalla paura. Poi lo sparo. Secco, improvviso. Il colpo, si scoprirà poco dopo, era a salve. Ma in quel momento nessuno poteva saperlo.

            L’eco dello sparo ha scatenato il panico. Alcuni si sono buttati a terra, altri hanno urlato, le suore si sono strette in preghiera. Il rapinatore ha atteso qualche istante, forse per valutare la reazione, forse per convincersi che non ne valeva la pena. Poi, senza portare via nulla, ha fatto dietrofront ed è fuggito a piedi, scomparendo per le strade del paese prima che qualcuno potesse bloccarlo.

            Sull’episodio indagano ora i carabinieri, che hanno acquisito le immagini delle telecamere presenti nella zona. Al momento non risultano feriti, ma lo shock tra i presenti è profondo. “Sembrava una scena da film – ha raccontato una delle sorelle – ma era tutto vero. Non avevamo mai vissuto una cosa simile. Qui si viene per pregare, non per morire”.

            In attesa che l’uomo venga identificato e arrestato, resta una domanda amara: se persino la sacralità di una chiesa al mattino non basta più a fermare un’arma – vera o finta che sia – allora, davvero, non c’è più religione.

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              Garlasco, la nuova perizia della difesa Stasi: “Sull’impronta 33 c’è sangue, è di Sempio”

              Secondo la relazione firmata da Ghizzoni, Linarello e Ricci, la famosa impronta 33 sarebbe compatibile con il palmo di Andrea Sempio e conterrebbe tracce di sudore misto a sangue. Una ricostruzione che riaccende lo scontro con i periti della famiglia Poggi e con quelli dello stesso Sempio, e che potrebbe cambiare gli equilibri dell’indagine.

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                Torna al centro del caso Garlasco l’impronta numero 33, la stessa che secondo i consulenti della Procura sarebbe compatibile con il palmo di Andrea Sempio. Ma la novità, ora, è un’ulteriore perizia depositata dalla difesa di Alberto Stasi che rilancia: quella traccia sarebbe intrisa di sangue misto a sudore.

                È quanto sostengono Oscar Ghizzoni, Pasquale Linarello e Ugo Ricci, i consulenti nominati dagli avvocati Giada Bocellari e Antonio De Rensis, legali di Stasi. Nella loro relazione, la 33 viene definita un’impronta “frutto di un contatto palmare intenso”, ovvero esercitato con forza sul muro durante un movimento anomalo, “non compatibile con una semplice discesa delle scale”. A rafforzare la tesi, ci sarebbero “accumuli più scuri” e un alone compatibile con materiale biologico.

                Non potendo più analizzare l’intonaco originale (asportato e trattato nel 2007 dal Ris), i tre esperti hanno ricreato in laboratorio le condizioni dell’epoca. Hanno spalmato sangue e sudore su muri simili, trattandoli con gli stessi reagenti: ninidrina, Combur e Obti test. Secondo i consulenti, la ninidrina avrebbe “inibito ogni reazione positiva”, mascherando la presenza del sangue. Ma i risultati fotografici sarebbero compatibili con quanto visto sul muro della villetta Poggi.

                Conclusione: quell’impronta, per la difesa Stasi, sarebbe di Andrea Sempio, e sarebbe stata lasciata con una mano non pulita. Un risultato opposto a quello raggiunto dai consulenti della famiglia Poggi, che parlavano di “appoggio veloce” e nessuna traccia ematica, e da quelli dello stesso Sempio, che riducono la validità dell’impronta a sole cinque minuzie.

                L’avvocata Angela Taccia, che difende Sempio insieme a Massimo Lovati, replica serena: “È solo una consulenza di parte. Nulla è stato accertato. Restiamo fiduciosi”.

                Ma la battaglia sulla 33 è tutt’altro che finita. Anche se il gip ha escluso la traccia dall’incidente probatorio, gli inquirenti hanno ora sul tavolo un nuovo elemento. E quella macchia sul muro potrebbe ancora dire molto.

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