Cronaca Nera
Omicidio di Chiara Poggi, dopo 18 anni c’è un nuovo indagato: è Andrea Sempio. Alberto Stasi è innocente?
L’informazione di garanzia contesta l’accusa di omicidio in concorso con ignoti o con Alberto Stasi. Disposti nuovi prelievi coattivi per verifiche genetiche. Il legale di Sempio: “Il mio assistito è sconvolto”.
A diciotto anni dall’omicidio di Chiara Poggi, torna sotto i riflettori Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. Un avviso di garanzia gli è stato notificato la scorsa settimana, riaprendo un caso che sembrava chiuso. Il suo nome non è nuovo nelle indagini: già tra il 2016 e il 2017, la sua posizione era stata valutata e poi archiviata per mancanza di elementi concreti. Ora, però, il suo DNA torna al centro dell’inchiesta grazie a nuove tecniche di analisi.
“Il mio assistito è allibito e sconvolto”, ha dichiarato il suo avvocato, Massimo Lovati, confermando lo stato d’animo del giovane.
Le prime accuse cadute nel vuoto
Sempio, all’epoca del delitto diciannovenne, era finito sotto indagine a seguito di un esposto presentato dalla madre di Alberto Stasi, Elisabetta Ligabò, che suggeriva la presenza del suo DNA sotto le unghie della vittima. La Procura di Milano, però, non ritenne attendibile la consulenza genetica della difesa di Stasi e il GIP di Pavia archiviò il caso nel marzo del 2017.
Nel decreto di archiviazione, il giudice Fabio Lambertucci fu netto: “Sempio non ha nulla a che vedere con il truce omicidio”, scrisse, ritenendo priva di fondamento l’ipotesi difensiva.
Il ritorno del DNA: disposti nuovi accertamenti
A distanza di anni, il nome di Sempio torna nell’inchiesta. Grazie a tecniche avanzate di analisi genetica, il DNA raccolto sulla scena del delitto è stato riesaminato, portando gli inquirenti a riaprire il caso.
Nel nuovo avviso di garanzia si ipotizza l’omicidio in concorso con ignoti o con lo stesso Alberto Stasi. Domani, Sempio dovrà presentarsi nella sede della scientifica dei carabinieri di Milano per sottoporsi a prelievi coattivi di saliva e DNA, dopo aver rifiutato volontariamente il test la scorsa settimana.
Il delitto di Garlasco
Chiara Poggi, 26 anni, fu trovata morta nella sua casa di Garlasco, il 13 agosto 2007. Il suo corpo giaceva in un lago di sangue ai piedi delle scale. La giovane era sola in casa quando fu colpita più volte alla testa con un oggetto contundente.
Per il suo omicidio, dopo anni di processi e ribaltamenti giudiziari, è stato condannato Alberto Stasi, il fidanzato di Chiara all’epoca dei fatti. Sta scontando una pena a 16 anni, ma usufruisce di permessi diurni per lavorare fuori dal carcere.
L’ingresso di Andrea Sempio nell’inchiesta solleva nuovi interrogativi: un colpo di scena o un falso allarme? Gli esami genetici potrebbero fare luce su uno dei delitti più discussi della cronaca italiana.
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Cronaca Nera
Garlasco, tensione in diretta tra Sciarelli e l’avvocato di Stasi: «Se l’è presa…» E Savu dal carcere accusa: «Andava con tutte»
Durante la puntata è tornato anche l’ex avvocato di Sempio, Massimo Lovati, che ha commentato le indagini sulla presunta corruzione dell’ex pm Venditti: «Un’accusa che fa ridere»
A Chi l’ha visto?, la puntata di mercoledì 5 novembre si è trasformata in un confronto acceso sul caso Garlasco, a 17 anni dall’omicidio di Chiara Poggi.
La conduttrice Federica Sciarelli ha ospitato in studio Antonio De Rensis, avvocato di Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l’omicidio della fidanzata. Ma il clima si è surriscaldato dopo le parole di Flavius Savu, il cittadino romeno rientrato in Italia dopo un mandato di arresto internazionale per estorsione aggravata ai danni dell’ex rettore don Gregorio Vitali.
Le accuse di Savu
Dalla cella, in un audio mandato in onda in esclusiva, Savu ha puntato il dito contro Stasi: «Perché l’ha uccisa? Lui andava con tutte. Chiara Poggi l’ha scoperto e gli aveva detto che avrebbe parlato».
Parole pesanti, che hanno provocato la reazione immediata del legale.
La replica dell’avvocato De Rensis
«La vita di Alberto Stasi è stata vivisezionata durante le indagini – ha detto De Rensis – mentre altre cose sono state guardate velocemente. Alberto era tutto il giorno all’università, impegnato con la tesi. Se avesse avuto un’altra relazione, nel clima colpevolista del 2007 lo avremmo saputo dopo due secondi».
Quando Sciarelli, notando la sua irritazione, gli ha detto «Avvocato, lei se l’è presa», il legale ha ribattuto con fermezza: «No, sono tranquillissimo. Non vedo l’ora che questo signore vada in procura. Credo che non sarà importante ciò che potrà dire, ma ciò che potrà dare. Se ha davvero delle informazioni, le comunichi. Magari se all’epoca fossero state scandagliate tutte le vite come quella di Alberto, oggi non saremmo qui».
Il ritorno di Lovati
La serata ha visto anche il ritorno in video di Massimo Lovati, ex legale di Andrea Sempio, finito di recente al centro di un’indagine per presunta corruzione dell’ex pm Vincenzo Venditti, che nel 2017 aveva archiviato la posizione del suo assistito.
«Non riesco a capire come possa profilarsi un’accusa del genere verso quell’uomo – ha dichiarato Lovati –. Questa indagine è solo un apripista, un grimaldello per arrivare ad altro. Per me, fa ridere».
L’avvocato ha poi ammesso di aver ricevuto compensi per circa 15-16 mila euro dal team difensivo di Sempio: «Andavo a ritirare la mia parte, che veniva consegnata allo studio Soldani. Dividevamo per tre, la matematica non è un’opinione».
Una versione smentita dagli avvocati Soldani e Grassi, che hanno ribadito di non aver mai ricevuto soldi dal loro assistito, ma solo “visibilità”.
A 17 anni dal delitto, il caso di Garlasco continua a sollevare domande, sospetti e nuove tensioni, anche in diretta tv.
Cronaca Nera
“Corona aveva rapporti con i clan”: le rivelazioni del pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”
William Alfonso Cerbo, 43 anni, ex collettore economico del clan Mazzei di Catania, ha raccontato ai pm della Dda di Milano che Fabrizio Corona “si rivolgeva a Gaetano Cantarella quando aveva problemi su Milano”. Tra i ricordi, una richiesta di “recupero di 70mila euro a Palermo” e una cena con Lele Mora legata all’Ortomercato.
Il pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”, ha chiamato in causa Fabrizio Corona nel corso del maxi processo “Hydra” sulla presunta alleanza tra Cosa Nostra, ’ndrangheta e camorra in Lombardia. Davanti ai pm della Dda di Milano Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, Cerbo ha raccontato di essere stato “collettore economico a Milano del clan Mazzei di Catania” e di aver avuto contatti diretti con il mondo dello spettacolo.
Secondo quanto emerge dai verbali, l’ex re dei paparazzi “si rivolgeva a Gaetano Cantarella, storico affiliato al clan Mazzei, quando aveva problemi su Milano o per un recupero credito di 70mila euro a Palermo legato a una truffa subita da un suo amico”. Cerbo ha anche ricordato che “Corona e Cecilia Rodriguez vennero nella mia discoteca a Catania”, sottolineando come Cantarella avesse rapporti con “diversi personaggi dello spettacolo”.
Nel corso dei sei interrogatori, tra settembre e ottobre, Cerbo – oggi 43enne – ha ammesso la propria “partecipazione al reato associativo” e depositato una memoria di 27 pagine in cui elenca i punti della sua collaborazione con la giustizia. Tra questi, la scomparsa di Cantarella, ucciso nel 2020 in un episodio di lupara bianca su cui indagano i magistrati milanesi.
In un altro capitolo della memoria, Cerbo parla anche di Lele Mora. “Una domenica sera andammo a cena a casa di Lele Mora a discutere di affari all’Ortomercato”, ha raccontato. “Voleva sapere che tipo di frutta avrei potuto fornire, le quantità e i prezzi. Mi disse di avere rapporti stretti con il presidente della Sogemi e che sarei potuto essere utile grazie ai miei prezzi”.
Cerbo sostiene di aver inviato all’ex agente dei vip “il package della frutta in arrivo”, che Mora avrebbe poi girato a contatti all’interno del mercato ortofrutticolo milanese.
L’inchiesta “Hydra” coordinata dalla Dda di Milano mira a ricostruire le connessioni economiche e criminali tra le principali organizzazioni mafiose in Lombardia. E le parole di “Scarface” – tra imprenditori, personaggi televisivi e affari illeciti – aggiungono un tassello inquietante alla trama di rapporti tra mondi apparentemente lontani.
Cronaca Nera
Il mistero del guanto scomparso nel delitto Mattarella: arrestato un ex funzionario per depistaggio
Era una delle prove più importanti dell’inchiesta sull’omicidio dell’ex presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella. Ma quel guanto, repertato nel 1980 e mai più ritrovato, è ora al centro di un presunto depistaggio. Arrestato l’ex funzionario di polizia Filippo Piritore, presente al sopralluogo.
Un guanto di pelle marrone, da mano destra, ritrovato davanti al sedile passeggero della Fiat 127 usata dai killer di Piersanti Mattarella. È questo il dettaglio che, a 45 anni di distanza, riaccende i riflettori su uno dei delitti più oscuri della storia repubblicana. Secondo la procura di Palermo, quel guanto sarebbe stato fatto sparire da un ex funzionario della Squadra Mobile, Filippo Piritore, arrestato con l’accusa di depistaggio.

La presenza di Piritore sulla scena è attestata da una fotografia della Scientifica scattata durante il sopralluogo, subito dopo il ritrovamento dell’auto utilizzata per la fuga. Secondo la prassi, l’indumento avrebbe dovuto essere repertato e sottoposto ad analisi, ma ciò non avvenne.
E qui inizia la zona d’ombra. Il giorno successivo, il 7 gennaio 1980, Piritore — già in possesso degli oggetti trovati sulla vettura — attribuì al guanto una “destinazione diversa” rispetto al resto del materiale, che venne invece riconsegnato al proprietario della macchina.

Dalla documentazione rinvenuta oggi dalla Squadra Mobile emerge che l’ex funzionario avrebbe inviato il guanto all’allora sostituto procuratore Pietro Grasso, titolare delle indagini, tramite un agente della Scientifica. Una procedura anomala, secondo i magistrati, perché un reperto di quel tipo avrebbe dovuto restare agli esperti della polizia tecnica per le analisi balistiche e biologiche.
“La prassi adottata presenta diverse preoccupanti stranezze”, sottolineano i pm palermitani. Non solo il guanto è sparito, ma non esiste traccia di alcun verbale di consegna o ricevuta firmata dal magistrato o dal suo ufficio.




Per gli inquirenti, quella mancata registrazione rappresenta un passaggio cruciale in un possibile depistaggio volto a cancellare elementi utili per risalire agli autori materiali e ai mandanti del delitto. E quel piccolo oggetto di pelle scura, svanito nel nulla, torna oggi a pesare come un simbolo della verità mancata.
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