Cronaca
SPECIALE CRONACA: Ennesimo assalto al pronto soccorso. Così la Sanità italiana è scesa in trincea…
Negli ultimi mesi, le aggressioni ai danni del personale sanitario sono aumentate in maniera allarmante in tutta Italia, trasformandosi in una vera e propria emergenza nazionale.
Ormai non passa giorno che un ospedale, un pronto soccorso o uno studio privato diventino campi di battaglia per atti di violenza contro medici, infermieri e impiegati sanitari. E’ una vera e propria escalation quella registrata nei mesi scorsi. L’ultima in ordine di tempo è accaduto nel reparto di psichiatria dell’Ospedale San Maurizio di Bolzano da parte di un 57enne, incensurato, in cura in passato nello stesso reparto, che si è scagliato con un coltello da cucina contro uno dei dottori in servizio e, dopo aver abbandonato il coltello per terra, è scappato. Per essere subito dopo rintracciato e denunciato in stato di libertà per lesioni volontarie aggravate.
Quella di ieri nel capoluogo altoatesino è stata solo l’ultima aggressione a medici e infermieri. Qualche giorno fa le cronache ci hanno raccontato l’episodio che ha interessato l’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia da mesi teatro di attacchi e violenze da parte di pazienti e loro famigliari ai danni degli operatori sanitari.
Vibo Valentia: l’esercito a guardia dell’ospedale
Di fronte all’escalation di aggressioni, il prefetto del capoluogo calabrese Paolo Giovanni Grieco ha deciso di intervenire in modo deciso disponendo la presenza di militari dell’Esercito all’interno della struttura nell’ambito dell’operazione “strade sicure” avviata da tempo in tutta Italia. Si tratta di una misura eccezionale adottata per garantire la sicurezza dei medici e degli infermieri e scoraggiare ulteriori atti di violenza. Sempre in Calabria, ma questa volta a Reggio, lo scorso venerdì un paziente che pretendeva di essere visitata immediatamente ha aggredito una dottoressa del Pronto Soccorso del Grande Ospedale Metropolitano. Una situazione insostenibile che sta ricalcando la strada di violenza percorsa lo scorso anno quando i casi registrati sono stati oltre 16mila.
Medici che lasciano il posto di lavoro
Secondo il rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza, lo scorso anno 123 operatori sanitari sono stati vittime di aggressioni. Medici e infermieri sono i più colpiti, soprattutto nei pronto soccorso, nei servizi psichiatrici e nelle aree di degenza. Aggressioni che, sempre secondo l’Osservatorio, mettono a rischio la sicurezza dei professionisti e compromettono la qualità dell’assistenza ai pazienti. Inoltre molti medici che si sentono minacciati rischiano di abbandonare e lasciare la loro attività per trasferirsi in altre strutture lontano dai territori dove si manifestano con più facilità atti violenza.
Dal Sud al Nord e viceversa una sequenza di attacchi e abbandoni
Aggressioni e abbandoni sono ormai all’ordine del giorno in tutte le regioni d’Italia. Esemplare l’ultimo caso che ha coinvolto la dottoressa Maria Laura Riggi alla quale sono bastati sei mesi trascorsi tra i pazienti dell’ambulatorio di Giavera del Montello, in provincia di Treviso, per decidere di cambiare sede e trasferirsi a Volpago, dicendo addio ai suoi assistiti. L’ex oncologa ha spiegato la sua scelta in maniera un po’ortodossa ma assai efficace dal punto di vista mediatico. Ha affisso un cartello scritto a mano in cui riporta tutta una serie di aneddoti che l’avrebbero spinta ad andarsene. Dall’inseguimento fino alla sua macchina con una catena d’acciaio lunga tre metri, alle minacce di essere colpita con l’acido, e infine alle minacce di morte con frasi discriminatorie legate alla sua origine meridionale.
Un fenomeno allarmante e difficile da arginare
Poco prima dei fatti di Vibo Valentia durante questi ultime settimane estive abbiamo assistito inermi all’assalto del reparto di oncologia del Policlinico di Foggia. Un gruppo di persone, tra cui i familiari di un paziente deceduto, ha assaltato e distrutto letteralmente gran parte del reparto costringendo il personale a barricarsi in una stanza in attesa che la Polizia svolgesse il suo compito: ristabilire l’ordine e soprattutto fermare i colpevoli. Alcune ore prima campo di battaglia era stata Nocera, in provincia di Salerno, dove una dottoressa del Pronto Soccorso dell’ospedale Umberto I è stata aggredita fisicamente da una paziente e da un suo familiare. Pochi giorni prima a Caserta un uomo aveva aggredito l’autista di un’ambulanza e danneggiato il mezzo, minacciando anche il personale della guardia medica.
Risalendo verso Nord anche l’ospedale di Pescara è stato al centro di un episodio sconcertante. Un gruppo di persone ha invaso il reparto di oncologia, devastando la struttura e minacciando il personale. Anche Genova è stata testimone di due distinti episodi. Questa volta a essere coinvolti sono stati gli infermieri dell’ospedale Galliera e di Villa Scassi, aggrediti rispettivamente da un senza fissa dimora e da un paziente.
Le ragioni di questa violenza sono diverse
Oltre ai decessi repentini e non prevedibile di un proprio congiunto, tra i principali motivi all’origine di episodi di violenza sono il sovraffollamento e le lunghe attese. Infatti la crescente pressione sulle strutture sanitarie, dovuta al sovraffollamento dei pronto soccorso e alle lunghe liste d’attesa, genera frustrazione e aggressività tra pazienti e familiari. A queste cause si aggiunge la carenza di personale sanitario che fa aumentare il carico di lavoro degli operatori, rendendo gli stessi più vulnerabili allo stress e all’esaurimento. Da non sottovalutare, inoltre, un cambiamento culturale che si sta lentamente manifestando in tutta la società. Da una parte la perdita di rispetto per le figure professionali dall’altra la diffusione di comportamenti antisociali. Insieme questi due fenomeni contribuiscono a creare un clima di tensione e violenza.
A testimonianza di come questa escalation di violenza negli ospedali è una grave minaccia per il nostro sistema sanitario, stiamo assistendo a un ulteriore deterioramento della qualità dell’assistenza e a una carenza sempre più grave di personale.
Le prime conseguenze delle aggressioni
Le continue aggressioni stanno portando molti sanitari a lasciare il lavoro a causa del clima di insicurezza. Inoltre si assiste a un continuo peggioramento della qualità dell’assistenza garantita. E’ un gatto che si morde la coda. Le aggressioni creano un clima di tensione che a sua volta incide negativamente sulla qualità dell’assistenza fornita ai pazienti. Le strutture sanitarie, inoltre, sono costrette a sostenere costi aggiuntivi per la gestione delle emergenze con la sostituzione del personale e il miglioramento delle misure di sicurezza.
Come si potrebbe intervenire
Da più parti si chiede di aumentare le pene per chi si macchia di atti violenti contro strutture ospedaliere e personale sanitario. A questo proposito si è tenuto l’incontro tra il ministro della Salute Orazio Schillaci e gli Ordini professionali sanitari per annunciare nuove misure in tema di aggressioni al personale. Secondo il ministro “Lo strumento più utile per cercare di combattere questo fenomeno inaccettabile è introdurre sempre l’arresto in flagranza di reato anche differito”. Nei prossimi giorni su questi argomenti si terrà anche un incontro con i sindacati di categoria. Inoltre il ministro Schillaci ha incontrato il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, per chiedere ulteriori aumenti dei posti di polizia negli ospedali. “Si devono trovare rapidamente strumenti per contrastare questo fenomeno inaccettabile“ “, ha ribadito Schillaci “e poi ci vuole un cambio di marcia culturale“.
E c’è chi propone anche la Daspo per i pazienti violenti
Ovvero sospendere la gratuità dell’assistenza sanitaria per tre anni a chi aggredisce il personale medico e paramedico. Una proposta avanzata dal medico Salvatore La Gatta e supportato anche da una petizione su change.org. Una risposta forte, come avviene per i tifosi più facinorosi che frequentano gli stadi di calcio. Sembrerebbe una buona soluzione per contrastare i molteplici episodi di violenza senza fine che punta a proteggere chi lavora in condizioni difficili e spesso senza adeguata tutela.
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Italia
Addio ai quiz a fortuna: la riforma della patente cambia il modo di diventare automobilisti
Matteo Salvini annuncia una revisione profonda dell’esame di guida: meno casualità, più competenze reali e attenzione alla sicurezza.
La riforma dell’esame per la patente di guida promette di rivoluzionare il modo in cui gli italiani si preparano a mettersi al volante. L’annuncio è arrivato dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, nel corso del forum di Conftrasporto-Confcommercio, dove ha anticipato una svolta destinata a superare un sistema considerato da molti obsoleto e troppo legato al caso.
“Entro la fine del mio mandato conto di arrivare a un esame aggiornato che non sia la ruota della fortuna”, ha dichiarato il ministro, sintetizzando così la filosofia della riforma: meno casualità nei quiz teorici, più attenzione alle competenze effettive e alle abilità pratiche di guida.
Tre pilastri per un nuovo modello
Il progetto di revisione si muove su tre direttrici principali. La prima riguarda l’aggiornamento dei contenuti dell’esame, che dovranno riflettere la mobilità di oggi: auto ibride ed elettriche, sistemi di assistenza alla guida, nuove norme di sicurezza e convivenza tra diversi mezzi su strada.
La seconda punta a garantire uniformità nelle procedure tra le motorizzazioni di tutto il Paese, eliminando quelle disuguaglianze territoriali che spesso rendono l’ottenimento della patente più complesso in alcune regioni rispetto ad altre.
Infine, un punto chiave sarà la riduzione della componente casuale nei quiz, per restituire al test teorico il suo vero ruolo: quello di valutare la preparazione del candidato, non la fortuna.
Il “bonus patente” per i futuri professionisti
Accanto alla riforma dell’esame, il governo ha confermato la prosecuzione e il potenziamento del “bonus patente”, un incentivo economico già introdotto per favorire l’accesso alle patenti professionali (C, D, CE e CQC). La misura, rivolta soprattutto ai giovani tra i 18 e i 35 anni, consente di coprire fino all’80% dei costi di formazione e di ottenere le qualifiche necessarie per lavorare nel settore dei trasporti, oggi gravemente colpito dalla mancanza di autisti qualificati.
Le associazioni di categoria hanno accolto positivamente l’annuncio, definendo la riforma un passo indispensabile verso la modernizzazione del sistema. Tuttavia, chiedono chiarezza sui tempi e sulle risorse disponibili, sottolineando che la transizione richiederà investimenti per aggiornare le autoscuole e formare nuovi istruttori.
Guardando all’Europa
Il governo italiano, spiegano fonti del Mit, sta studiando i modelli già adottati in altri Paesi europei. In Germania, ad esempio, il percorso formativo include test di percezione del rischio e prove su strada più articolate, mentre nel Regno Unito la valutazione delle competenze si concentra anche sul comportamento del conducente in situazioni di traffico reale.
Resta da capire quale approccio sarà scelto per l’Italia: un sistema ispirato ai modelli esteri o un format originale, calibrato sulle peculiarità della mobilità nazionale, dove l’elevato numero di motocicli, microcar e mezzi elettrici leggeri impone nuove regole di convivenza.
Una sfida di equilibrio
La vera sfida, sottolineano gli esperti del settore, sarà trovare un equilibrio tra rigore e accessibilità. L’obiettivo è migliorare la sicurezza stradale senza rendere più difficile o costoso ottenere la patente, specialmente per i giovani e per chi cerca nuove opportunità di lavoro.
Il ministero ha promesso tempi brevi per la definizione dei dettagli tecnici della riforma e una sperimentazione graduale già nel 2026, ma resta da chiarire la portata delle modifiche e i finanziamenti necessari per accompagnare la transizione.
Se le promesse saranno mantenute, la nuova patente “senza fortuna” segnerà l’inizio di una stagione di maggiore responsabilità e preparazione alla guida. Un cambiamento che, nelle intenzioni del governo, mira non solo a formare automobilisti più consapevoli, ma anche a costruire un sistema più giusto, trasparente e vicino alle esigenze della mobilità moderna.
Cronaca
Porno con l’intelligenza artificiale: SocialMediaGirls, il sito che “spoglia” le vip italiane.
Sul sito “SocialMediaGirls.com” circolano immagini deepfake iperrealistiche generate con l’Ai. La giornalista Francesca Barra denuncia alla Polizia Postale: «Non sono io, ma qualcuno ha costruito quella menzogna. È un abuso che marchia la dignità».
Un’altra pagina nera del web. Dopo il caso “Phica.net”, un nuovo sito pornografico non consensuale è finito nel mirino delle autorità. Si chiama SocialMediaGirls.com, e dietro la facciata di un forum per adulti ospita centinaia di immagini false, create con l’intelligenza artificiale, che ritraggono donne famose completamente nude. Scatti mai esistiti, ma talmente realistici da sembrare veri.
Il meccanismo è perverso e tecnologicamente raffinato: l’Ai viene utilizzata per “spogliare” qualunque fotografia pubblica, manipolandola fino a renderla un ritratto pornografico credibile. A finire nel tritacarne digitale non sono solo influencer e modelle, ma anche conduttrici, giornaliste e politiche italiane: Anna Tatangelo, Chiara Ferragni, Maria De Filippi, Selvaggia Lucarelli, Maria Elena Boschi, Cristina D’Avena, Annalisa, Andrea Delogu, Benedetta Parodi e Angelina Mango.
La prima a denunciare pubblicamente l’abuso è stata Francesca Barra, giornalista e scrittrice, che ha scoperto sul sito false immagini di sé. «Non sono io, ma qualcuno ha deciso di costruire quella menzogna per ottenere attenzione e insinuare il dubbio che potessi essermi mostrata in quel modo negli ambienti in cui lavoro» ha scritto sui social.
«Ho pensato ai miei figli, all’imbarazzo e alla paura. Non è arte, è una violenza. Un abuso che marchia la dignità e la fiducia».
La Barra ha sporto denuncia alla Polizia Postale, dando il via a un’indagine che si preannuncia complessa. Perché, come già accaduto con “Phica.net”, il sito si muove in una zona d’ombra del web, nascosto tra forum accessibili solo agli iscritti e server collocati all’estero. Nella sezione italiana del portale, chiamata “Italian Nude Vip”, compaiono decine di pagine dedicate a celebrità nostrane.
E non si tratta soltanto di deepfake: in alcuni casi circolano anche foto rubate da telefoni o telecamere di sorveglianza, oppure scatti presi da Instagram e manipolati.
La parte più inquietante è che il sito offre una app — con prova gratuita — che promette a chiunque di “denudare” una persona in pochi click. Il software, ribattezzato “Ai Undress Porn”, consente di caricare una foto qualsiasi e ottenere un risultato iperrealistico in pochi secondi. Un giocattolo tecnologico che trasforma l’intelligenza artificiale in uno strumento di violenza di genere.
«Le tecnologie dovrebbero servire al progresso, non alla sopraffazione» ha commentato ancora la Barra. «E invece troppo spesso diventano armi di vergogna e di distruzione dell’identità. Chi crea o diffonde questo materiale commette un reato, ma la legge arriva sempre dopo».
Il nuovo caso riaccende il dibattito sulla pornografia non consensuale e sui limiti dell’Ai, tema ancora privo di una normativa specifica. Gli strumenti di generazione automatica delle immagini, nati per scopi artistici o commerciali, vengono usati per creare contenuti pornografici falsi che si diffondono senza controllo. Un fenomeno che colpisce le donne in modo sproporzionato, rendendo la rete un luogo potenzialmente ostile.
La Polizia Postale ha già avviato accertamenti per identificare gli amministratori del forum e bloccarne l’accesso dall’Italia. Ma il rischio è che, come accaduto in passato, il sito ricompaia altrove, con un altro nome e nuovi domini.
Nel frattempo, la vicenda ha scatenato indignazione tra le protagoniste involontarie di questi falsi scatti, molte delle quali stanno valutando azioni legali.
Francesca Barra, che ha da poco discusso una tesi in criminologia sul cyberbullismo, riassume il senso della battaglia in poche parole: «Nessuna donna dovrebbe trovarsi davanti a un corpo inventato e sentirsi ferita due volte: nell’immagine e nell’impunità».
E mentre la tecnologia continua a correre, la dignità digitale sembra arrancare. Perché l’intelligenza artificiale, se lasciata senza regole, rischia di diventare — ancora una volta — l’arma più moderna di un’antica forma di violenza.
Cronaca Nera
“Corona aveva rapporti con i clan”: le rivelazioni del pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”
William Alfonso Cerbo, 43 anni, ex collettore economico del clan Mazzei di Catania, ha raccontato ai pm della Dda di Milano che Fabrizio Corona “si rivolgeva a Gaetano Cantarella quando aveva problemi su Milano”. Tra i ricordi, una richiesta di “recupero di 70mila euro a Palermo” e una cena con Lele Mora legata all’Ortomercato.
Il pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”, ha chiamato in causa Fabrizio Corona nel corso del maxi processo “Hydra” sulla presunta alleanza tra Cosa Nostra, ’ndrangheta e camorra in Lombardia. Davanti ai pm della Dda di Milano Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, Cerbo ha raccontato di essere stato “collettore economico a Milano del clan Mazzei di Catania” e di aver avuto contatti diretti con il mondo dello spettacolo.
Secondo quanto emerge dai verbali, l’ex re dei paparazzi “si rivolgeva a Gaetano Cantarella, storico affiliato al clan Mazzei, quando aveva problemi su Milano o per un recupero credito di 70mila euro a Palermo legato a una truffa subita da un suo amico”. Cerbo ha anche ricordato che “Corona e Cecilia Rodriguez vennero nella mia discoteca a Catania”, sottolineando come Cantarella avesse rapporti con “diversi personaggi dello spettacolo”.
Nel corso dei sei interrogatori, tra settembre e ottobre, Cerbo – oggi 43enne – ha ammesso la propria “partecipazione al reato associativo” e depositato una memoria di 27 pagine in cui elenca i punti della sua collaborazione con la giustizia. Tra questi, la scomparsa di Cantarella, ucciso nel 2020 in un episodio di lupara bianca su cui indagano i magistrati milanesi.
In un altro capitolo della memoria, Cerbo parla anche di Lele Mora. “Una domenica sera andammo a cena a casa di Lele Mora a discutere di affari all’Ortomercato”, ha raccontato. “Voleva sapere che tipo di frutta avrei potuto fornire, le quantità e i prezzi. Mi disse di avere rapporti stretti con il presidente della Sogemi e che sarei potuto essere utile grazie ai miei prezzi”.
Cerbo sostiene di aver inviato all’ex agente dei vip “il package della frutta in arrivo”, che Mora avrebbe poi girato a contatti all’interno del mercato ortofrutticolo milanese.
L’inchiesta “Hydra” coordinata dalla Dda di Milano mira a ricostruire le connessioni economiche e criminali tra le principali organizzazioni mafiose in Lombardia. E le parole di “Scarface” – tra imprenditori, personaggi televisivi e affari illeciti – aggiungono un tassello inquietante alla trama di rapporti tra mondi apparentemente lontani.
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