Italia
Chi ha paura di Max Felicitas? Un pornoattore troppo hot per la scuola
Gli studenti dell’istituto tecnico Ponti di Gallarate protestano contro l’annullamento dell’incontro con Max Felicitas, censurato dall’Ufficio Scolastico Regionale dopo le pressioni del movimento ProVita. Ma il pornoattore non si arrende e organizza un sit-in davanti alla scuola. Cosa è successo davvero?

Era tutto pronto all’Istituto Tecnico Ponti di Gallarate: lunedì 3 marzo gli studenti avrebbero partecipato a un incontro educativo con Max Felicitas, nome d’arte di Edoardo Barbares, per affrontare temi di educazione sessuale e sentimentale. Niente scene spinte, niente performance osè: solo un confronto aperto su tematiche importanti, spesso ignorate nelle scuole. Ma all’improvviso, arriva lo stop dall’Ufficio Scolastico Regionale. Motivo? Le pressioni del movimento ProVita, che ha sollevato un polverone mediatico.
La censura fa più scandalo del porno
Gli studenti non l’hanno presa bene. “Siamo stati censurati”, si legge nella loro nota ufficiale, in cui denunciano la decisione come un atto che limita il confronto e la libertà di espressione. “La censura appartiene al fascismo. La storia ci insegna che limitare il libero confronto di idee è il primo passo verso il controllo del pensiero”, affermano, senza mezzi termini. A indignarli è il fatto che l’incontro fosse a scopo formativo e non avesse nulla a che fare con la carriera da attore di Max Felicitas. Il timore, secondo loro, è che l’educazione sessuale sia ancora un tabù in Italia, un argomento da trattare solo con imbarazzo o da evitare del tutto.
Max Felicitas non si arrende: “Ci vediamo fuori!”
Anche il diretto interessato non ha gradito la decisione. Per protesta, Max Felicitas ha deciso di non starsene con le mani in mano e ha annunciato un sit-in proprio davanti alla scuola. Un incontro alternativo, aperto a chiunque voglia ascoltare, per ribadire che parlare di sessualità in modo serio e consapevole non dovrebbe essere un problema. “Non si trattava di uno spettacolo, ma di un confronto educativo”, ha spiegato Felicitas. “L’educazione sessuale è fondamentale per abbattere pregiudizi e promuovere la consapevolezza. La censura su questi temi è un danno per i giovani.”
ProVita vs. libertà di educazione: chi ha ragione?
La polemica ha naturalmente acceso un dibattito più ampio: chi deve decidere cosa è opportuno insegnare a scuola? Da un lato, ProVita e altre realtà conservatrici sostengono che un attore del settore adult non sia la figura più adatta per parlare di educazione sessuale. Dall’altro, c’è chi ritiene che il suo lavoro non dovrebbe inficiare la sua capacità di affrontare certi temi con competenza. Il problema, per molti, è che la sessualità viene ancora trattata come un argomento scottante, mentre dovrebbe essere parte di un’educazione completa. “Senza informazione, si rischia di lasciare i ragazzi in balia di pregiudizi e fake news”, affermano i sostenitori dell’incontro.
Da evento scolastico a caso mediatico
Questa vicenda ha dimostrato che, nel 2025, parlare di sesso è ancora più controverso che farlo. La censura dell’incontro ha trasformato un semplice evento scolastico in un caso mediatico. La domanda sorge spontanea: si ha davvero paura dell’educazione sessuale o solo di chi la insegna? Mentre il dibattito infuria, Max Felicitas continua la sua missione educativa… questa volta, direttamente in strada.
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Italia
Plasmon torna italiana dopo 50 anni: il biscotto dell’infanzia rientra a casa
Il gruppo emiliano NewPrinces rileva lo storico marchio dai colossi americani di Kraft Heinz. Un ritorno al made in Italy che sa di rivincita industriale (e sentimentale)

Dopo cinquant’anni trascorsi all’estero, Plasmon torna italiana. Lo storico marchio di biscotti per l’infanzia – icona dolce di generazioni di bambini e segreto inconfessabile per molti adulti – è stato acquistato dal gruppo emiliano NewPrinces (ex Newlat Food), che ha rilevato le attività italiane di Heinz per una cifra vicina ai 120 milioni di euro.
A vendere è stato il colosso statunitense Kraft Heinz, che dal 1967 controllava Plasmon e che ora cede non solo il marchio madre, ma anche altri brand come Nipiol, BiAglut, Aproten e Dieterba, tutti specializzati nell’alimentazione infantile e dietetica. Il cuore produttivo dell’operazione è lo stabilimento di Latina, dove ogni anno vengono sfornati 1,8 miliardi di biscotti, omogeneizzati e pappe.
Fondata nel 1902 a Milano dal medico Cesare Scotti, Plasmon è stata per decenni un punto fermo della tavola italiana, soprattutto durante il boom demografico del dopoguerra. Complice la pubblicità in Carosello e le scatole di latta diventate oggi oggetto vintage, il marchio ha conquistato una fiducia senza tempo.
La vendita alla Heinz americana, avvenuta negli anni Sessanta, aveva segnato l’inizio di una lunga fase di internazionalizzazione, ma anche di distacco emotivo dal territorio. Ora, grazie a NewPrinces, il brand fa ritorno in mani italiane. Una mossa non solo industriale ma anche simbolica, che parla di filiere locali, know-how nazionale e voglia di riportare valore a casa.
Lo stabilimento di Latina, considerato tra i più avanzati d’Europa nel settore, continuerà a produrre anche per il mercato britannico, almeno per un periodo transitorio. Ma il controllo, questa volta, torna sotto bandiera tricolore.
NewPrinces – già attiva con brand storici come Polenghi e Delverde – punta così a rafforzare la propria posizione nel comparto baby food. In un mercato da 200 milioni di euro di fatturato e un margine operativo lordo di circa 17 milioni.
Una buona notizia, per una volta. Che sa di latte caldo, biscotti e orgoglio nazionale.
Italia
Dallo stupro di gruppo al profilo su OnlyFans: la nuova vita (e le nuove domande) di Asia Vitale
La ragazza simbolo del caso Palermo si mostra oggi senza filtri su OnlyFans. Rivendica il controllo sul proprio corpo. Ma tra emancipazione e contraddizione, resta l’amaro dubbio: stiamo assistendo a una rinascita o a una nuova forma di esposizione?

Due anni fa il suo nome è diventato simbolo. Asia Vitale, la ragazza di Palermo violentata da sette ragazzi in un cantiere abbandonato, oggi riappare sotto una luce diversa: quella di una webcam. Dopo la chiusura del suo profilo Instagram e il calo dei follower, ha aperto un nuovo canale su OnlyFans. Si chiama AsiaVitale3.0 e propone contenuti sessuali a pagamento. Tutto legale, tutto consenziente, tutto rivendicato.
“Il corpo è mio”, dice. “Chi ha problemi con questo mestiere dovrebbe cambiare mentalità”. Eppure, la sua storia personale rende difficile ignorare la frattura tra passato e presente. Dopo aver subito un’aggressione brutale e aver vissuto anni in comunità per allontanarsi da una famiglia che lei stessa definisce “tossica”, oggi Asia monetizza la propria immagine, il proprio corpo, la propria sessualità.
Non c’è giudizio, ma c’è stupore. Non si tratta di negare la libertà di scelta, ma di registrare una contraddizione che interroga chi osserva. Come si arriva, da una violenza così feroce, a scegliere di mettersi di nuovo sotto gli occhi di tutti, stavolta per guadagnare?
“Ho rimosso le loro facce”, dice parlando dei suoi aggressori. “Cerco solo di andare avanti”. Racconta di un rapporto con il sesso profondamente cambiato, più consapevole, più adulto. Ma confessa anche un trauma più recente: un sequestro subito a Ballarò, da parte della madre di uno degli accusati, che voleva costringerla a ritirare la denuncia.
Oggi lavora in un hotel a Courmayeur e prova a costruirsi una nuova vita. OnlyFans la aiuta a far quadrare i conti, ma non garantisce stabilità. I video vengono pagati, ma possono anche essere rivenduti illegalmente. Un’altra forma di sfruttamento, di cui Asia è perfettamente consapevole.
Il suo è un racconto di sopravvivenza. Ma anche una domanda aperta: dopo tutto questo dolore, davvero la libertà passa ancora per l’esposizione del corpo?
Italia
Bibbiano, processo demolito: il mostro non esisteva, ma intanto lo avevano già impiccato in piazza
Doveva essere l’inchiesta del secolo, il complotto delle élite rosse che rubavano i bambini. Invece si è rivelato un gigantesco castello di carte: assoluzioni a pioggia, accuse smontate, reati prescritti. Ma niente paura: qualcuno, da qualche parte, urla ancora “Bibbiano!”.

Il processo più discusso degli ultimi anni si è chiuso con un verdetto che ribalta tutto. Il caso Bibbiano, diventato simbolo di presunti affidi illeciti orchestrati da una rete tra servizi sociali e terapeuti, esce demolito dalla sentenza di primo grado. Dei 14 imputati, solo tre sono stati condannati. Tutti gli altri assolti, molti con formula piena. La “macchina degli orrori” raccontata per anni, tra allontanamenti forzati e abusi mai avvenuti, semplicemente non c’è.
È quanto ha stabilito il tribunale collegiale di Reggio Emilia. Federica Anghinolfi, l’ex responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, su cui pendeva una richiesta di 15 anni di carcere, è stata condannata a 2 anni per falso ideologico, pena sospesa. Stessa sorte per il suo collaboratore Francesco Monopoli (un anno e otto mesi) e per la neuropsichiatra Flaviana Murru (cinque mesi). Niente più. Le accuse più gravi – come l’associazione per delinquere e la manipolazione dei minori – si sono sgretolate.
Un colpo durissimo per l’accusa, che aveva ipotizzato un sistema radicato e cinico: terapeuti che costruivano falsi ricordi di abusi, relazioni manipolate per sottrarre bambini alle famiglie, affidi gestiti con logiche distorte. Le indagini erano state lunghe, oltre cento i capi di imputazione. Ma in aula quella narrazione non ha retto. I giudici hanno smontato punto per punto l’impianto accusatorio, parlando, in molte assoluzioni, di fatti “che non sussistono”.
Il pm Valentina Salvi aveva costruito il caso insieme ai carabinieri, sostenendo che gli operatori dei servizi sociali della Val d’Enza falsificassero le relazioni sui minori per farli allontanare dalle famiglie. Ma il processo ha mostrato falle, forzature, testimonianze non sempre coerenti. E ha restituito una verità ben diversa da quella immaginata.
Sul piano politico, il caso Bibbiano era diventato un campo di battaglia. Ma oggi, davanti a una sentenza che svuota il teorema accusatorio, resta una domanda scomoda: quanto ha pesato la spettacolarizzazione mediatica su una vicenda che, forse, non avrebbe mai dovuto essere un processo simbolico?
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