Connect with us

Italia

Leva obbligatoria. Non dovevamo vederci più?

La proposta di reintrodurre la leva obbligatoria in Italia è un tentativo di coinvolgere i giovani in attività di valore civico e di difesa nazionale, ma ha suscitato dibattiti e critiche sul ruolo delle forze armate e la responsabilità dell’educazione civica dei giovani.

Avatar photo

Pubblicato

il

    La proposta di legge, presentata una decina di giorni fa dalla Lega e sostenuta da Matteo Salvini, vorrebbe reintrodurre la leva obbligatoria in Italia. Una leva – sospesa da circa 20 anni – sia militare che civile, per un periodo di sei mesi rivolto a tutti i cittadini italiani tra i 18 e i 26 anni. Maschi e femmine.

    Cosa dice la proposta di legge

    La legge vorrebbe reintrodurre l’obbligo di sei mesi rivolto a tutti i giovani, ragazzi e ragazze, chiamati a svolgere un servizio che potrà essere sia di tipo militare o che civile. I giovani che opteranno la formazione militare riceveranno l’addestramento necessario per essere impiegati sul territorio nazionale. I giovani che sceglieranno, invece, il servizio civile saranno preparati per funzioni di tutela del patrimonio culturale, naturalistico e paesaggistico. E inoltre avranno l’opportunità di inserirsi nella Protezione Civile o nei Vigili del Fuoco. Il servizio sarà svolto nella propria regione di residenza o domicilio, con priorità alla propria provincia. Tuttavia la proposta di legge specifica che sarà possibile richiedere di essere impiegati in altre aree territoriali nazionali, previa disponibilità e autorizzazione.

    Ma quali sono gli obiettivi della proposta

    Presentandola Salvini ha sottolineato che questa misura rappresenta una grande forma di educazione civica. Con focus su attività come il salvataggio, la protezione civile e la protezione dei boschi, svolte vicino a casa, contrariamente alla leva del passato che spesso richiedeva trasferimenti lontani. Ma on tutti all’interno dello stesso governo sono d’accordo.
    Lo stesso Ministro della Difesa Guido Crosetto ha espresso freddezza verso la proposta. Crosetto sostiene che le forze armate non dovrebbero essere utilizzate come strumento di educazione dei giovani, ruolo che spetta alla famiglia e alla scuola. Questa proposta arriva peraltro in un contesto di crescente spesa militare globale. Paesi come Stati Uniti, Cina e Russia lo scorso anno hanno aumentato in modo significativo i loro budget militari che sono destinati a levitare ancora.

    Ma c’è chi dice no!

    A opporsi a questa proposta in prima fila troviamo la Conferenza Nazionale Enti per il Servizio Civile che esprime preoccupazioni e perplessità e pone una serie di domande che mettono in discussione la ratio di tale iniziativa. Secondo la CNESC le risorse economiche pubbliche dovrebbero essere meglio impiegate nel sostenere il Servizio Civile Universale. Il Servizio è visto come una forma di difesa civile non armata e nonviolenta della Patria e di educazione civica, che promuove il servizio alla comunità, l’attenzione al prossimo e il rispetto per sé stessi e per gli altri.

    Spesa inutile che distoglie risorse sul sociale

    CNESC sottolinea che investire nel Servizio Civile Universale sia una soluzione più sostenibile sia dal punto di vista organizzativo che economico rispetto al ritorno della leva obbligatoria. Questo approccio è considerato più in linea con i tempi moderni e con i percorsi giovanili attuali sempre più interessati al servizio civile. L’ultimo bando per il SCU ha visto la partecipazione di oltre 120.000 giovani, ma i fondi disponibili garantiranno la partenza a soli 20.000. CNESC si domanda se non sia il caso di incentivare la ricerca di nuovi fondi per garantire l’esperienza a tutti i giovani che ne hanno fatto richiesta. Invece di creare nuovi capitoli di spesa per la leva obbligatoria.

    Chi sostiene la Conferenza Nazionale Enti per il Servizio Civile

    La CNESC raggruppa alcuni dei principali enti accreditati con il Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile. È presente in 3.557 Comuni, 108 province e 101 Stati esteri. Rappresenta 7.171 organizzazioni senza scopo di lucro e 247 enti pubblici, con 17.859 sedi di attuazione. Comprende un’ampia varietà di enti e organizzazioni, tra cui Acli, Aism, Anpas, ASC Aps, Assifero, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Avis Nazionale, Caritas Italiana. Inoltre CESC Project, CIPSI, Cnca, Confederazione Nazionale Misericordie d’Italia, Ist. Don Calabria, Diaconia Valdese, Federazione SCS/CNOS – Salesiani per il sociale. E ancora Federsolidarietà / CCI, Focsiv, INAC, Legacoop, MCL, MOVI, Shalom, Unicef, UNITALSI, UNPLI, UILDM, Vides – Italia. . Infine gli osservatori: Ancos, Anpeas, Cesc, Enapa, FVGS, Movimento Nonviolento, Opera Don Orione.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Italia

      L’Inps avverte gli utenti: attenzione alle truffe online phishing e smishing

      L’ente previdenziale lancia una campagna via email per proteggere i cittadini dai raggiri digitali sempre più sofisticati. Ecco come riconoscere e difendersi dagli attacchi.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

        Le truffe online continuano a evolversi, e i cybercriminali si fanno sempre più abili nel ingannare gli utenti, sfruttando tecniche sempre più sofisticate come il phishing e lo smishing. L’Inps, uno degli enti più colpiti da questi raggiri, ha deciso di prendere provvedimenti, avviando una campagna di email massiva per mettere in guardia i cittadini e aiutarli a riconoscere i tentativi di frode.

        Come funzionano il phishing (e lo smishing)?

        Il phishing è una pratica fraudolenta che consiste nell’invio di email fasulle, spesso molto simili a quelle di enti ufficiali. L’obiettivo è quello di convincere gli utenti a cliccare su link pericolosi o a fornire informazioni sensibili come codici bancari, credenziali di accesso e dati personali. Lo smishing, invece, è una variante del phishing che utilizza gli SMS per lo stesso scopo. Un messaggio sul cellulare può avvertire l’utente di un presunto rimborso, un problema con il proprio conto o una prestazione da verificare, spingendolo a cliccare su un link e inserire i propri dati. La forza di queste truffe sta nella loro capacità di simulare comunicazioni ufficiali, facendo credere alle vittime di interagire con istituzioni affidabili. Non a caso, molti dei messaggi fraudolenti imitano l’Inps, inducendo i cittadini a compiere azioni che mettono a rischio i loro risparmi e le loro identità digitali.

        L’iniziativa dell’Inps per contrastare le truffe

        Per fronteggiare questi attacchi, l’Inps ha deciso di mandare email informative ai suoi utenti, spiegando quali sono i segnali che permettono di riconoscere e bloccare le truffe prima che sia troppo tardi. Le email mettono in guardia i cittadini dai tentativi di phishing e smishing, evidenziando le strategie più comuni usate dai truffatori. Solitamente, questi messaggi contengono link sospetti che chiedono di verificare o confermare dati, per presunte prestazioni Inps, rimborsi o richieste amministrative urgenti. Se l’utente cade nel tranello, i truffatori possono aprire conti correnti fraudolenti a suo nome, attivare credenziali SPID o dirottare pagamenti in modo illecito.

        Come difendersi dalle truffe digitali

        L’Inps raccomanda di seguire poche, ma fondamentali regole, per evitare di cadere vittima di questi raggiri. Nessun ente ufficiale chiederà mai dati sensibili via SMS, email o telefonate. Inoltre, è buona norma controllare sempre l’indirizzo del sito su cui si sta navigando: il dominio ufficiale dell’Inps è www.inps.it, e qualsiasi variazione sospetta può essere un indizio di truffa. Un altro segnale da tenere d’occhio sono gli errori ortografici nei messaggi, oltre alla classica pressione sulla “urgenza” per spingere l’utente a agire immediatamente senza pensarci troppo. Chi sospetta di aver ricevuto un messaggio fraudolento può consultare il vademecum anti-truffe sul sito dell’Inps e segnalare il caso direttamente alla Polizia Postale, compilando il modulo online dedicato.

          Continua a leggere

          Italia

          Allarmanti echi del passato: un cartello antisemita a Milano riporta alla mente le discriminazioni del nazismo

          Un cartello con la scritta “Israeliani e sionisti non sono benvoluti qua”, apparso su una vetrina nel centro di Milano, ha suscitato polemiche e preoccupazioni. Questo episodio richiama alla memoria le discriminazioni contro gli ebrei nella Germania nazista, sottolineando l’importanza di ricordare la storia per evitare di ripeterla.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            Due giorni fa, un cartello con la scritta in ebraico “Israeliani e sionisti non sono benvoluti qua” è stato affisso sulla vetrina di un negozio in zona Moscova, nel pieno centro di Milano. Sebbene il cartello sia stato successivamente rimosso, l’immagine ha fatto il giro dei social media, scatenando polemiche e indignazione. Roberto Della Rocca, membro della Camera di commercio israelo-italianache ha condiviso la foto su Facebook, ha commentato: “Di nuovo la solita insalata dovuta o a mala fede, spesso di matrice antisemita, o ad acefalite, di matrice genitoriale” .

            Le ragioni del negoziante

            “Noi non siamo antisemiti e nemmeno razzisti. Non vogliamo essere manipolati” spiega invece il titolare della merceria di via Statuto, dove è comparso il cartello. Ora è stato tolto e rimane solo quello per la pace e ‘Stop the War’. L’uomo è restio a parlare sulla soglia del negozio, ma poi si sfoga, dopo le critiche scatenate e l’attenzione mediatica generata dal suo gesto. “Noi siamo contro il massacro, basta. Il cartello in ebraico per nostra sicurezza lo abbiamo tolto – spiega -, perché è stato interpretato male e mi dispiace e mi fa arrabbiare molto. Noi siamo contro questa strage, per la pace”.

            Paralleli con la Germania nazista

            Un episodio che non può che evocare ricordi inquietanti delle discriminazioni contro gli ebrei nella Germania nazista. Nel 1933, i nazisti iniziarono un boicottaggio dei negozi ebraici, affiggendo cartelli con scritte come “Non acquistare dagli ebrei!” e “Gli ebrei sono la nostra disgrazia!” . Queste azioni furono i primi passi verso l’esclusione sistematica degli ebrei dalla vita pubblica e l’inizio di persecuzioni sempre più gravi.

            L’Importanza della Memoria Storica

            Il fatto di Milano sottolinea l’importanza di ricordare la storia per evitare pericolosi rigurgiti. Come affermava il filosofo George Santayana, “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”. La comparsa di simboli e slogan antisemiti, anche se isolati, deve essere presa sul serio e contrastata con decisione.

            Reazioni e condanne

            La comunità ebraica e le autorità locali hanno espresso preoccupazione per l’accaduto. Episodi simili si sono verificati in passato a Milano, come le scritte antisemite comparse nel 2023 nei bagni di un centro diagnostico e di una panetteria nel quartiere ebraico . Questi atti dimostrano la necessità di vigilare costantemente contro l’antisemitismo e ogni forma di discriminazione, facendo da campanello d’allarme sulla fragilità della convivenza civile e sull’importanza di combattere ogni forma di odio e intolleranza. Solo attraverso la memoria e l’educazione possiamo costruire una società più giusta e inclusiva, dove simili episodi non abbiano più spazio. Ma si sa… la mamma degli stupidi è sempre incinta.

              Continua a leggere

              Italia

              Vecchi, poveri, soli, ignoranti: l’Italia fotografata dall’Istat è un Paese allo stremo

              Il Rapporto Istat 2025 restituisce un’immagine impietosa del Paese: sempre più anziani, sempre più soli, con famiglie frammentate e prospettive occupazionali concentrate nei settori meno innovativi. E le nuove generazioni crescono senza tutele e senza futuro.

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                C’è un’Italia che non fa rumore. Non riempie le piazze, non lancia hashtag, non si sfoga nei talk show. Ma esiste, resiste e, lentamente, si consuma. È l’Italia che emerge dal Rapporto annuale Istat 2025: un Paese che invecchia senza ricambio, che si isola, che si impoverisce anche lavorando, che rinuncia alle cure per non finire in rosso. Una fotografia a tinte fosche, scattata con la precisione fredda dei numeri, che racconta di una nazione sempre più fragile.

                Quasi un quarto degli italiani a rischio povertà

                Nel 2024 il 23,1% della popolazione italiana è risultato a rischio povertà o esclusione sociale. Una percentuale che diventa un grido d’allarme se si osserva il Sud, dove il dato raggiunge il 39,8%. Parliamo di persone che vivono con meno del 60% del reddito mediano, che non possono permettersi una settimana di ferie, che rinunciano a spese mediche e persino a cambiare un mobile rotto.

                Il rischio aumenta tra i giovani: in quelle famiglie dove il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni, il dato schizza al 30,5%. In netto aumento anche per i genitori soli (+2,9 punti rispetto al 2023) e per gli anziani che vivono da soli (+2,3 punti). Le famiglie numerose? Più figli, più povertà: il 30,5% per le coppie con almeno tre bambini.

                Sempre più vecchi, sempre più soli

                Nel 2025, un italiano su quattro ha più di 65 anni. Gli over 80 – 4,6 milioni – hanno superato i bambini sotto i 10 anni (4,3 milioni). Un sorpasso storico che racconta di un Paese che non fa più figli (370mila nascite nel 2024, 281mila in meno rispetto ai decessi) e che vede crescere solo la popolazione centenaria, arrivata a oltre 23.500 unità.

                Le famiglie sono sempre più piccole e frammentate: il 36,2% è composto da persone sole. Le unioni libere hanno superato 1,7 milioni, le famiglie ricostituite sono 840mila. La natalità? Crollata: se nel 1999 solo il 10% dei nati aveva genitori non coniugati, nel 2023 siamo al 42,4%.

                Sanità al collasso: uno su dieci rinuncia a curarsi

                Il dato più drammatico, però, arriva dalla sanità. Nel 2024, il 9,9% degli italiani ha rinunciato a visite o esami specialistici. Non perché non ne avesse bisogno, ma perché non può permetterseli o perché le liste d’attesa sono infinite. Nel 2023 la percentuale era al 7,5%. Prima della pandemia era al 6,3%. Una crescita costante e spaventosa. Eppure la spesa sanitaria pubblica è salita a 130,1 miliardi. Ma non basta: il sistema è al limite.

                Scuola e istruzione: restiamo i più ignoranti d’Europa

                L’istruzione, nel nostro Paese, resta una nota dolente. Solo il 65,5% degli italiani tra i 25 e i 64 anni ha almeno un diploma, contro l’83% di Germania e Francia. Oltre un terzo si ferma alla terza media. Il numero di laureati tra i 25-34enni è salito al 31,6%, ma siamo ancora ben lontani dall’obiettivo Ue del 45% al 2030.

                E l’abbandono scolastico resta alto: il 9,8% dei giovani tra i 18 e i 24 anni lascia la scuola senza diploma o qualifica. Tra i ragazzi di cittadinanza straniera il dato è tre volte quello degli italiani: 24,3% contro l’8,5%. Un abisso che si allarga di generazione in generazione.

                Lavoro: cresce l’occupazione, ma resta povera

                Nel 2024 l’occupazione è cresciuta dell’1,6%, ma soprattutto in settori a bassa produttività, come le costruzioni, la ristorazione, i servizi alla persona. Mentre il PIL per occupato è crollato del 5,8% dal 2000 a oggi (in Francia e Germania è cresciuto di oltre il 10%). Anche la produttività per ora lavorata è cresciuta di appena lo 0,7% in 24 anni. Troppo poco, troppo lentamente.

                Le cause? Imprese piccole, poco innovative, specializzate in settori che producono poco valore. Risultato: stipendi bassi, scarse tutele, zero mobilità sociale. E l’ascensore sociale continua a rimanere bloccato al piano terra.

                Il futuro è adesso (e non promette bene)

                Le previsioni per il 2025 non migliorano il quadro. La crescita rallenta (+0,4% secondo il FMI, +0,6% per Bankitalia), e le incertezze geopolitiche rendono tutto più fragile. Anche se l’indebitamento netto è sceso al 3,4% e il debito pubblico al 135,3% del PIL, il sistema resta vulnerabile. A cominciare dalla vita quotidiana delle persone.

                L’Istat ha fatto il suo dovere: ha messo nero su bianco una realtà che molti preferiscono ignorare. L’Italia è più vecchia, più povera, più ignorante, più sola. E il vero rischio è che smetta anche di indignarsi.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù