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Italia

Papa Leone XIV riapre l’appartamento papale per un ritorno alla tradizione

Dopo la scelta di Papa Francesco di vivere a Santa Marta, il nuovo Pontefice rompe i sigilli dell’appartamento nel Palazzo Apostolico, pronto a personalizzarlo secondo le sue esigenze. Tra cappelle, biblioteche e persino un campo da tennis, ecco i servizi della residenza papale.

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    Con l’elezione di Papa Leone XIV, il tradizionale appartamento papale nel Palazzo Apostolico torna sotto i riflettori. Dopo essere rimasto sigillato alla morte di Papa Francesco, ora si prepara ad accogliere il nuovo Pontefice. Come da prassi, l’appartamento viene personalizzato per ogni nuovo inquilino, adattandolo alle sue esigenze e preferenze. Questo significa come per tutti i nuovi inquilini rinfrescare pareti, modificare arredi, aggiornare l’illuminazione e rimodernare impianti e servizi. Giovanni Paolo II amava meditare nel suo studio, decorato con immagini mariane e reliquie, mentre Pio X (1903-1914) fu il primo a scegliere di trasferirsi in un piano più alto rispetto ai suoi predecessori, che abitavano al primo livello del palazzo. L’obiettivo della rinfrescata è creare un ambiente che rifletta la personalità del nuovo Papa e faciliti la sua routine quotidiana.

    Un appartamento ricco di storia e funzionalità

    Situato nella Terza Loggia del Palazzo Apostolico, l’appartamento conta dieci ampie stanze, tra cui uno studio privato, luogo di meditazione e lavoro. Nella camera da letto c’è un grande scrittoio ottocentesco, perfetta per riflessioni e scrittura. L’appartamento dispone anche di una grande cappella, lo spazio più ampio dell’appartamento, dedicato alla preghiera. Nell’appartamento è anche disponbile una suite medica, dotata di attrezzature per interventi d’urgenza, introdotta negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II.

    Perché Leone XIV non ha seguito l’esempio di Papa Francesco?

    La decisione di Papa Francesco di vivere a Casa Santa Marta e non nel Palazzo Apostolico fu rivoluzionaria. Francesco scelse una residenza più semplice, condivisa con altri prelati e lontana dagli spazi più formali e isolati del Vaticano. Il suo obiettivo era quello di adottare uno stile di vita più vicino alla comunità e comunicare una Chiesa più accessibile. Leone XIV, invece, sembra intenzionato a trasferirsi nell’appartamento papale, ripristinando la tradizione. La scelta riflette una visione più istituzionale del papato, che abbraccia la storia e le funzioni simboliche dell’edificio. Nei pressi dell’appartamento è situati un giardino pensile e gli alloggi per le suore benedettine tedesche che gestiscono la Prefettura della Casa Pontificia. Inoltre si trova anche una biblioteca privata, con la celebre finestra da cui il Papa si affaccia ogni settimana per l’Angelus domenicale. Dopo la perdita del Quirinale con l’Unità d’Italia (1870), i Papi hanno vissuto in questo appartamento, che inizialmente occupava il primo piano, mentre ai piani superiori risiedeva la servitù. Fu Pio X a trasferirsi nella Terza Loggia nel 1903, dando inizio a una nuova tradizione.

    Il tempo libero del Papa sportivo

    Se Giovanni Paolo II fu il primo Papa a introdurre una piscina nella residenza estiva di Castel Gandolfo, Leone XIV potrebbe invece sfruttare il campo da tennis del Vaticano, situato vicino alle Mura Leonine e nascosto dal verde. Già da cardinale, Leone XIV frequentava il campo e potrebbe continuare a coltivare la sua passione per il tennis, un’attività insolita per un Pontefice ma perfettamente integrata nella vita moderna del Vaticano.

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      Italia

      Intelligenza artificiale, truffe reali: deepfake di Giorgia Meloni sui social, la premier clonata promette guadagni facili

      Voci, espressioni e sorrisi perfettamente ricostruiti: nei deepfake la premier assicura guadagni da 30 mila euro al mese con un investimento di 250 euro. Indagini in corso sul fenomeno, già intercettato da agenzie di cybersicurezza internazionali.

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        Giorgia Meloni in studio con Francesco Giorgino, intervistata sul futuro dell’Italia, mentre sponsorizza una piattaforma di trading “garantita dal governo”. Tutto perfetto, realistico, impeccabile. Peccato che sia tutto falso.

        Tre video deepfake — prodotti con tecniche di intelligenza artificiale e già in circolazione sui social — mostrano la presidente del Consiglio in ambientazioni credibili, con voce e volto ricostruiti in maniera quasi indistinguibile dall’originale. Nelle clip la premier si presta a uno spot fraudolento: «Tutti hanno diritto a ricevere un aiuto fino a 3 mila euro al mese, basta registrarsi e versare 250 euro», afferma sorridendo.

        In un altro filmato, ambientato in una finta intervista al Tg5 con Simona Branchetti, la presidente ribadisce: «Io stessa sono coinvolta in questo progetto e questo mese ho guadagnato 40 mila euro. Basta un piccolo investimento e la registrazione sarà attiva».

        Il dettaglio che inquieta è la precisione: la voce della Meloni è sincronizzata alla perfezione, lo sguardo e i sorrisi sono quelli veri. È l’avanguardia del deepfake, un salto di qualità che rende sempre più difficile distinguere realtà e artificio.

        Dietro, il solito meccanismo: i truffatori inseriscono link che promettono facili guadagni, portando invece a piattaforme che raccolgono dati personali e, passo dopo passo, arrivano fino ai conti correnti degli utenti.

        La Protective Intelligence Network di Singapore, guidata dall’ex poliziotto italiano Angelo Bani, ha intercettato i video e li ha segnalati al Global Anti-Scam Summit di Londra. «In Italia c’è un bombardamento di deepfake contro figure pubbliche, specialmente del governo», ha spiegato. Anche Sensity.ai, società italiana specializzata in cybersicurezza, ha registrato un’impennata di casi.

        Non è la prima volta che i deepfake colpiscono personaggi noti, ma questa è la prima volta che un presidente del Consiglio italiano viene clonato con questa precisione, in un’operazione studiata per sembrare più vera del vero. E il messaggio subliminale è fin troppo chiaro: non si può più credere nemmeno ai propri occhi.

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          Italia

          Salvini scopre i parrucchieri (e ci va alla guerra): la Lega vuole “contingentare” barbieri e saloni stranieri

          Alla Camera la Lega presenta un testo che prevede il “contingentamento progressivo delle autorizzazioni” per acconciatori e parrucchieri. Zinzi e Molinari chiedono al ministero del Made in Italy un piano per ridurre i saloni dove la quota supera la soglia fissata. Obiettivo dichiarato: difendere il settore. Obiettivo percepito: colpire la concorrenza straniera.

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            “Prima i parrucchieri italiani”. Non è ancora uno slogan, ma poco ci manca. La Lega ha depositato alla Camera una proposta di legge che punta a introdurre il “contingentamento progressivo delle autorizzazioni per l’attività di acconciatore, barbiere e parrucchiere”. Tradotto: fissare un tetto massimo alle licenze e, laddove venga superato, ridurre il numero di saloni. Soprattutto quelli gestiti da titolari stranieri, percepiti come troppi e “troppo competitivi” rispetto ai negozi italiani tradizionali.

            La firma è quella del deputato leghista Gianpiero Zinzi, sostenuto dal capogruppo Riccardo Molinari. Un’iniziativa che rievoca vecchi slogan di partito e si inserisce in una battaglia simbolica: proteggere le attività storiche, difendere il “made in Italy” anche quando si parla di tagli di capelli e pieghe. Il testo chiede al ministero del Made in Italy di elaborare un “piano di riduzione” nei territori dove i saloni superano la soglia ritenuta sostenibile.

            La ratio del provvedimento
            Secondo i promotori, l’esplosione di negozi — in particolare nelle grandi città e nelle periferie — avrebbe generato concorrenza sleale, abbassamento dei prezzi e difficoltà per gli esercizi storici a sopravvivere. L’obiettivo dichiarato è preservare qualità, professionalità, tradizione, tutelando chi opera da anni e paga affitti e contributi elevati.

            Ma il sottotesto è evidente: la crescita dei saloni gestiti da imprenditori stranieri, spesso con costi più contenuti e orari molto flessibili, ha cambiato il mercato. E la Lega prova a riportarlo indietro, o almeno a ingabbiarlo.

            Un’idea che divide
            Il mondo dell’impresa osserva. Le associazioni di categoria sottolineano la necessità di combattere l’abusivismo e garantire concorrenza leale, ma molti storcono il naso davanti all’idea di contingentare licenze in un settore commerciale. Alcuni amministratori locali ricordano che norme simili furono abolite anni fa proprio per evitare distorsioni.

            E tra gli addetti ai lavori emerge un interrogativo semplice: davvero chiudere negozi — o impedirne di nuovi — è la risposta al problema della qualità? In un mercato che vive di fidelizzazione e servizio, la legge del cliente resta spesso più forte di quella dello Stato.

            Per ora la battaglia è sul tavolo parlamentare. E mentre in Parlamento si discute di tetti e quote, nei quartieri italiani i parrucchieri continuano a fare quello che sanno fare meglio: tagliare, pettinare, ascoltare. Con phon e forbici, più che con i decreti.

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              Italia

              Addio ai quiz a fortuna: la riforma della patente cambia il modo di diventare automobilisti

              Matteo Salvini annuncia una revisione profonda dell’esame di guida: meno casualità, più competenze reali e attenzione alla sicurezza.

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                La riforma dell’esame per la patente di guida promette di rivoluzionare il modo in cui gli italiani si preparano a mettersi al volante. L’annuncio è arrivato dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, nel corso del forum di Conftrasporto-Confcommercio, dove ha anticipato una svolta destinata a superare un sistema considerato da molti obsoleto e troppo legato al caso.

                “Entro la fine del mio mandato conto di arrivare a un esame aggiornato che non sia la ruota della fortuna”, ha dichiarato il ministro, sintetizzando così la filosofia della riforma: meno casualità nei quiz teorici, più attenzione alle competenze effettive e alle abilità pratiche di guida.

                Tre pilastri per un nuovo modello

                Il progetto di revisione si muove su tre direttrici principali. La prima riguarda l’aggiornamento dei contenuti dell’esame, che dovranno riflettere la mobilità di oggi: auto ibride ed elettriche, sistemi di assistenza alla guida, nuove norme di sicurezza e convivenza tra diversi mezzi su strada.

                La seconda punta a garantire uniformità nelle procedure tra le motorizzazioni di tutto il Paese, eliminando quelle disuguaglianze territoriali che spesso rendono l’ottenimento della patente più complesso in alcune regioni rispetto ad altre.

                Infine, un punto chiave sarà la riduzione della componente casuale nei quiz, per restituire al test teorico il suo vero ruolo: quello di valutare la preparazione del candidato, non la fortuna.

                Il “bonus patente” per i futuri professionisti

                Accanto alla riforma dell’esame, il governo ha confermato la prosecuzione e il potenziamento del “bonus patente”, un incentivo economico già introdotto per favorire l’accesso alle patenti professionali (C, D, CE e CQC). La misura, rivolta soprattutto ai giovani tra i 18 e i 35 anni, consente di coprire fino all’80% dei costi di formazione e di ottenere le qualifiche necessarie per lavorare nel settore dei trasporti, oggi gravemente colpito dalla mancanza di autisti qualificati.

                Le associazioni di categoria hanno accolto positivamente l’annuncio, definendo la riforma un passo indispensabile verso la modernizzazione del sistema. Tuttavia, chiedono chiarezza sui tempi e sulle risorse disponibili, sottolineando che la transizione richiederà investimenti per aggiornare le autoscuole e formare nuovi istruttori.

                Guardando all’Europa

                Il governo italiano, spiegano fonti del Mit, sta studiando i modelli già adottati in altri Paesi europei. In Germania, ad esempio, il percorso formativo include test di percezione del rischio e prove su strada più articolate, mentre nel Regno Unito la valutazione delle competenze si concentra anche sul comportamento del conducente in situazioni di traffico reale.

                Resta da capire quale approccio sarà scelto per l’Italia: un sistema ispirato ai modelli esteri o un format originale, calibrato sulle peculiarità della mobilità nazionale, dove l’elevato numero di motocicli, microcar e mezzi elettrici leggeri impone nuove regole di convivenza.

                Una sfida di equilibrio

                La vera sfida, sottolineano gli esperti del settore, sarà trovare un equilibrio tra rigore e accessibilità. L’obiettivo è migliorare la sicurezza stradale senza rendere più difficile o costoso ottenere la patente, specialmente per i giovani e per chi cerca nuove opportunità di lavoro.

                Il ministero ha promesso tempi brevi per la definizione dei dettagli tecnici della riforma e una sperimentazione graduale già nel 2026, ma resta da chiarire la portata delle modifiche e i finanziamenti necessari per accompagnare la transizione.

                Se le promesse saranno mantenute, la nuova patente “senza fortuna” segnerà l’inizio di una stagione di maggiore responsabilità e preparazione alla guida. Un cambiamento che, nelle intenzioni del governo, mira non solo a formare automobilisti più consapevoli, ma anche a costruire un sistema più giusto, trasparente e vicino alle esigenze della mobilità moderna.

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