Italia
Rita Dalla Chiesa accusa: «Mio padre ucciso per fare un favore a un politico». Poi il silenzio su Andreotti
La conduttrice e parlamentare di Forza Italia rilancia la pista politica dietro l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Ma, interrogata sul coinvolgimento di Giulio Andreotti, sceglie il silenzio.
Rita Dalla Chiesa torna a parlare della morte del padre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre 1982 in via Carini a Palermo. Ospite del programma Rai Tango, condotto da Luisella Costamagna, la parlamentare di Forza Italia ha ribadito la sua convinzione che l’omicidio sia stato «politico», legato alla volontà di fare «un favore a un politico». E, sebbene lei non abbia mai pronunciato apertamente il nome, è chiaro il riferimento a Giulio Andreotti.
«Attento a non mettersi contro la mia corrente»
Durante l’intervista, la conduttrice ha incalzato Rita Dalla Chiesa chiedendole di chiarire a chi si riferisse quando parla del «favore» a un politico. La risposta è stata una citazione inquietante: «Una persona che, quando mio padre è andato a Palermo, gli aveva detto ‘Stia attento a non mettersi contro la mia corrente perché chi lo ha fatto è sempre tornato in una bara’». Un’affermazione che, nel tempo, è stata spesso attribuita proprio ad Andreotti.
Quando Costamagna ha fatto il nome dell’ex presidente del Consiglio, Dalla Chiesa è rimasta in silenzio. Un silenzio che la conduttrice ha interpretato come una conferma, commentando: «Un silenzio che mi sembra assenso». Il riferimento, comunque, ha scatenato un immediato dibattito politico.
«Un’accusa grave e indimostrabile»
Le dichiarazioni di Rita Dalla Chiesa non sono passate inosservate. Gianfranco Rotondi, presidente della nuova Dc, ha definito «gravissime» le accuse nei confronti di Andreotti, dichiarando che verranno valutate azioni legali per difendere la memoria dell’ex leader democristiano. Anche Angelo Bonelli, deputato dell’Alleanza Verdi e Sinistra, ha chiesto che Dalla Chiesa venga ascoltata dalla Commissione Parlamentare Antimafia per approfondire le sue affermazioni.
Un omicidio politico mai chiarito
Rita Dalla Chiesa, già in passato, aveva sollevato dubbi sulla matrice esclusivamente mafiosa dell’omicidio del padre, parlando di «un omicidio politico». Ma oggi, con queste parole, rilancia la questione, senza mai fare nomi diretti: «Il suo nome non l’ho mai fatto e non lo faccio neppure ora, perché c’è una famiglia e io delle famiglie ho molto rispetto». Ma poi aggiunge un dettaglio che fa riflettere: «Mi aspettavo che i giornali che lo avevano sempre criticato si meravigliassero, e invece tutti a inchinarsi come fanno le statue alle processioni di paese, davanti al mafioso di turno».
La sedia vuota ai funerali e il sospetto di un favore
Andreotti, come noto, non partecipò ai funerali del generale Dalla Chiesa, giustificando la sua assenza con una frase che ha lasciato il segno: «Preferisco andare ai battesimi». Un’assenza che, per Rita Dalla Chiesa, non sarebbe una prova di colpevolezza diretta, ma la conferma che l’omicidio del padre fu un «favore» fatto per proteggere interessi politici.
Un mistero senza fine
La parlamentare chiude con un’amara riflessione: «Non sa quante volte in Parlamento mi chiedo dove sedevano quelle persone quando lo hanno deciso. I loro nomi? Penso che non usciranno mai». La storia dell’omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa sembra destinata a restare avvolta nel mistero, con una verità che, forse, non verrà mai pienamente alla luce.
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Italia
Vip e malaffare, la fusione tra rapper e ultrà del calcio nella nuova scena milanese
Il confine tra il mondo degli ultras e quello del jet set milanese è sempre più labile. Vip e capi ultras frequentano gli stessi locali, condividono gli stessi interessi e stringono amicizie che vanno ben oltre il piacere della compagnia.
Negli ultimi anni, la città di Milano ha visto una crescente commistione tra il mondo delle celebrità, in particolare i rapper, e l’ambiente del tifo organizzato, spesso associato a dinamiche di violenza e criminalità. Da Fedez a Emis Killa, le nuove icone della musica si muovono in un magma di rapporti ambigui con personaggi della curva milanista, dove il confine tra la cultura pop e il mondo di mezzo del malaffare sembra sempre più labile.
Ultrà e vip: una fusione consolidata
Una volta considerati figure marginali, costrette a nascondere la propria identità, i capi ultrà oggi si mescolano con celebrità, mostrando apertamente la loro influenza. Tra i frequentatori della Curva Sud del Milan spiccano nomi noti della scena musicale rapper e non solo come Lazza, Killa, Tony Effe, passando per Guè Pequeno, Cancun, e il già citato Fedez, che ha spesso mostrato rapporti di amicizia con personaggi legati agli ambienti del tifo estremo.
Le foto condivise sui social network, le serate nei locali più esclusivi di Milano come il Tocqueville e l’Old Fashion, sono solo la punta dell’iceberg di una connessione più profonda tra il mondo del tifo violento e la Milano dei Vip. Questi legami si consolidano in un contesto che sembra accettare, se non addirittura celebrare, la figura del capo ultrà come un “gangster” moderno.
Rapper e malaffare: connubio sempre più stretto
Con l’arrivo del Covid e la temporanea chiusura degli stadi, i capi ultrà, che hanno perso una delle principali fonti di reddito, hanno cominciato a mostrarsi sempre più in pubblico, capitalizzando i loro rapporti con il mondo dello spettacolo. L’ambiente musicale, affascinato da questa figura violenta e carismatica, ha accolto a braccia aperte questi personaggi, in una promiscuità che sfida i confini tra legalità e criminalità. Fino a ieri erano dei reietti poi sono diventati dei protetti. Ma le indagini stanno facendo piazza pulita spezzando legami e connivenze.
Nelle recenti inchieste giudiziarie, a cui sono seguiti numerosi arresti, sono emersi legami stretti tra diversi artisti e capi ultrà, che sembrano aver trovato nei rapporti con i rapper un terreno fertile per legittimarsi e ripulire la loro immagine. Le carte degli investigatori delineano un quadro di connivenze che mettono in luce la fusione commerciale e sociale tra due mondi apparentemente distanti.
Calcio in ostaggio e complice
Milan e Inter, simboli di una certa Milano, sono al tempo stesso ostaggi e complici silenziosi di questa situazione. Il calcio italiano, sebbene formalmente vincolato a una normativa che proibisce qualsiasi contatto con gli ultrà, ha spesso chiuso un occhio di fronte a questi fenomeni, alimentando indirettamente questa promiscuità. La violenza e l’intimidazione restano centrali nella gestione del tifo organizzato, mentre i capi ultrà utilizzano la loro “aura” per consolidare rapporti con l’élite cittadina.
Italia
Pizza da 1.500 euro a Milano: lusso sfrenato al The Plein Hotel
“La pizza al Don Perignon” è una trovata per lanciare su media e social il nuovo hotel di Philipp Plein situato nel seicentesco Palazzo Melzi d’Eril nel cuore della Milano bene. Un lusso da 1.500 euro.
Il mondo della ristorazione milanese si arricchisce di una nuova, ennesima, proposta, tanto esclusiva quanto controversa. Servire una pizza dal costo di 1.500 euro. Sì, sì avete letto bene. E pensare che solo lo scorso anno a Milano si erano inscenati tumulti e barricate contro la pizza a 22 euro servita da Cracco in Galleria Vittorio Emanuele. Figuratevi cosa potrà accadere ora. Nulla, non accadrà proprio un bel niente…Scommettiamo? Questa prelibatezza fa parte del menù del nuovo The Plein Hotel, l’ultima creazione del celebre stilista Philipp Plein, situato nel prestigioso seicentesco Palazzo Melzi d’Eril, che fino allo scorso anno accoglieva il quartiere generale della stilista Krizia.
Una pizza senza precedenti
All’interno di questo palazzo storico, immerso nel cuore di Milano, il Plein Hotel si presenta come un’oasi di lusso e raffinatezza. E che lusso. Non solo a tavola. Tra le varie proposte, spicca la pizza al Dom Perignon, un piatto che ha già scatenato numerose discussioni. Il costo di 1.500 euro è giustificato dall’utilizzo di ingredienti pregiati e da un’elaborata preparazione.
Polemiche e curiosità
La notizia di una pizza così costosa ha rapidamente fatto il giro del web, suscitando reazioni contrastanti. C’è chi considera questa proposta un’esagerazione, un tentativo di ostentare ricchezza, mentre altri la vedono come un’esperienza unica, riservata a pochi eletti.
Philipp Plein: un’ambizione senza limiti
Lo stilista tedesco, noto per il suo stile eccentrico e provocatorio, ha voluto creare un luogo dove il lusso è portato all’estremo. Il Plein Hotel è destinato a diventare un punto di riferimento per coloro che cercano esperienze esclusive e indimenticabili. Provare per credere.
Cronaca
SPECIALE CRONACA: Ennesimo assalto al pronto soccorso. Così la Sanità italiana è scesa in trincea…
Negli ultimi mesi, le aggressioni ai danni del personale sanitario sono aumentate in maniera allarmante in tutta Italia, trasformandosi in una vera e propria emergenza nazionale.
Ormai non passa giorno che un ospedale, un pronto soccorso o uno studio privato diventino campi di battaglia per atti di violenza contro medici, infermieri e impiegati sanitari. E’ una vera e propria escalation quella registrata nei mesi scorsi. L’ultima in ordine di tempo è accaduto nel reparto di psichiatria dell’Ospedale San Maurizio di Bolzano da parte di un 57enne, incensurato, in cura in passato nello stesso reparto, che si è scagliato con un coltello da cucina contro uno dei dottori in servizio e, dopo aver abbandonato il coltello per terra, è scappato. Per essere subito dopo rintracciato e denunciato in stato di libertà per lesioni volontarie aggravate.
Quella di ieri nel capoluogo altoatesino è stata solo l’ultima aggressione a medici e infermieri. Qualche giorno fa le cronache ci hanno raccontato l’episodio che ha interessato l’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia da mesi teatro di attacchi e violenze da parte di pazienti e loro famigliari ai danni degli operatori sanitari.
Vibo Valentia: l’esercito a guardia dell’ospedale
Di fronte all’escalation di aggressioni, il prefetto del capoluogo calabrese Paolo Giovanni Grieco ha deciso di intervenire in modo deciso disponendo la presenza di militari dell’Esercito all’interno della struttura nell’ambito dell’operazione “strade sicure” avviata da tempo in tutta Italia. Si tratta di una misura eccezionale adottata per garantire la sicurezza dei medici e degli infermieri e scoraggiare ulteriori atti di violenza. Sempre in Calabria, ma questa volta a Reggio, lo scorso venerdì un paziente che pretendeva di essere visitata immediatamente ha aggredito una dottoressa del Pronto Soccorso del Grande Ospedale Metropolitano. Una situazione insostenibile che sta ricalcando la strada di violenza percorsa lo scorso anno quando i casi registrati sono stati oltre 16mila.
Medici che lasciano il posto di lavoro
Secondo il rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza, lo scorso anno 123 operatori sanitari sono stati vittime di aggressioni. Medici e infermieri sono i più colpiti, soprattutto nei pronto soccorso, nei servizi psichiatrici e nelle aree di degenza. Aggressioni che, sempre secondo l’Osservatorio, mettono a rischio la sicurezza dei professionisti e compromettono la qualità dell’assistenza ai pazienti. Inoltre molti medici che si sentono minacciati rischiano di abbandonare e lasciare la loro attività per trasferirsi in altre strutture lontano dai territori dove si manifestano con più facilità atti violenza.
Dal Sud al Nord e viceversa una sequenza di attacchi e abbandoni
Aggressioni e abbandoni sono ormai all’ordine del giorno in tutte le regioni d’Italia. Esemplare l’ultimo caso che ha coinvolto la dottoressa Maria Laura Riggi alla quale sono bastati sei mesi trascorsi tra i pazienti dell’ambulatorio di Giavera del Montello, in provincia di Treviso, per decidere di cambiare sede e trasferirsi a Volpago, dicendo addio ai suoi assistiti. L’ex oncologa ha spiegato la sua scelta in maniera un po’ortodossa ma assai efficace dal punto di vista mediatico. Ha affisso un cartello scritto a mano in cui riporta tutta una serie di aneddoti che l’avrebbero spinta ad andarsene. Dall’inseguimento fino alla sua macchina con una catena d’acciaio lunga tre metri, alle minacce di essere colpita con l’acido, e infine alle minacce di morte con frasi discriminatorie legate alla sua origine meridionale.
Un fenomeno allarmante e difficile da arginare
Poco prima dei fatti di Vibo Valentia durante questi ultime settimane estive abbiamo assistito inermi all’assalto del reparto di oncologia del Policlinico di Foggia. Un gruppo di persone, tra cui i familiari di un paziente deceduto, ha assaltato e distrutto letteralmente gran parte del reparto costringendo il personale a barricarsi in una stanza in attesa che la Polizia svolgesse il suo compito: ristabilire l’ordine e soprattutto fermare i colpevoli. Alcune ore prima campo di battaglia era stata Nocera, in provincia di Salerno, dove una dottoressa del Pronto Soccorso dell’ospedale Umberto I è stata aggredita fisicamente da una paziente e da un suo familiare. Pochi giorni prima a Caserta un uomo aveva aggredito l’autista di un’ambulanza e danneggiato il mezzo, minacciando anche il personale della guardia medica.
Risalendo verso Nord anche l’ospedale di Pescara è stato al centro di un episodio sconcertante. Un gruppo di persone ha invaso il reparto di oncologia, devastando la struttura e minacciando il personale. Anche Genova è stata testimone di due distinti episodi. Questa volta a essere coinvolti sono stati gli infermieri dell’ospedale Galliera e di Villa Scassi, aggrediti rispettivamente da un senza fissa dimora e da un paziente.
Le ragioni di questa violenza sono diverse
Oltre ai decessi repentini e non prevedibile di un proprio congiunto, tra i principali motivi all’origine di episodi di violenza sono il sovraffollamento e le lunghe attese. Infatti la crescente pressione sulle strutture sanitarie, dovuta al sovraffollamento dei pronto soccorso e alle lunghe liste d’attesa, genera frustrazione e aggressività tra pazienti e familiari. A queste cause si aggiunge la carenza di personale sanitario che fa aumentare il carico di lavoro degli operatori, rendendo gli stessi più vulnerabili allo stress e all’esaurimento. Da non sottovalutare, inoltre, un cambiamento culturale che si sta lentamente manifestando in tutta la società. Da una parte la perdita di rispetto per le figure professionali dall’altra la diffusione di comportamenti antisociali. Insieme questi due fenomeni contribuiscono a creare un clima di tensione e violenza.
A testimonianza di come questa escalation di violenza negli ospedali è una grave minaccia per il nostro sistema sanitario, stiamo assistendo a un ulteriore deterioramento della qualità dell’assistenza e a una carenza sempre più grave di personale.
Le prime conseguenze delle aggressioni
Le continue aggressioni stanno portando molti sanitari a lasciare il lavoro a causa del clima di insicurezza. Inoltre si assiste a un continuo peggioramento della qualità dell’assistenza garantita. E’ un gatto che si morde la coda. Le aggressioni creano un clima di tensione che a sua volta incide negativamente sulla qualità dell’assistenza fornita ai pazienti. Le strutture sanitarie, inoltre, sono costrette a sostenere costi aggiuntivi per la gestione delle emergenze con la sostituzione del personale e il miglioramento delle misure di sicurezza.
Come si potrebbe intervenire
Da più parti si chiede di aumentare le pene per chi si macchia di atti violenti contro strutture ospedaliere e personale sanitario. A questo proposito si è tenuto l’incontro tra il ministro della Salute Orazio Schillaci e gli Ordini professionali sanitari per annunciare nuove misure in tema di aggressioni al personale. Secondo il ministro “Lo strumento più utile per cercare di combattere questo fenomeno inaccettabile è introdurre sempre l’arresto in flagranza di reato anche differito”. Nei prossimi giorni su questi argomenti si terrà anche un incontro con i sindacati di categoria. Inoltre il ministro Schillaci ha incontrato il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, per chiedere ulteriori aumenti dei posti di polizia negli ospedali. “Si devono trovare rapidamente strumenti per contrastare questo fenomeno inaccettabile“ “, ha ribadito Schillaci “e poi ci vuole un cambio di marcia culturale“.
E c’è chi propone anche la Daspo per i pazienti violenti
Ovvero sospendere la gratuità dell’assistenza sanitaria per tre anni a chi aggredisce il personale medico e paramedico. Una proposta avanzata dal medico Salvatore La Gatta e supportato anche da una petizione su change.org. Una risposta forte, come avviene per i tifosi più facinorosi che frequentano gli stadi di calcio. Sembrerebbe una buona soluzione per contrastare i molteplici episodi di violenza senza fine che punta a proteggere chi lavora in condizioni difficili e spesso senza adeguata tutela.
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