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Cronaca

La Liberazione di Mattarella a Genova, nel nome di Francesco, Pertini e Ventotene

Da Ventotene a Papa Francesco, da Pertini a Guido Rossa: Mattarella intreccia memoria e attualità nella città che si liberò da sola dai nazifascisti. “Viva la Liguria partigiana, viva la libertà, viva la Repubblica”.

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    È un 25 aprile solenne, teso come una corda tra passato e presente. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sceglie Genova per l’ottantesimo anniversario della Liberazione. Non un caso: Genova è la città che si liberò da sola, senza bisogno degli alleati, e che ricevette per questo la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Ma oggi non si parla solo di memoria. Oggi si parla di resistenza al revisionismo, di Europa, di pace, di partecipazione. E lo si fa nel primo discorso pubblico del Presidente dopo l’intervento per il pacemaker. Il volto è stanco, la voce ferma. Le parole, nitide come un bisturi.

    “È sempre tempo di Resistenza”, scandisce dal palco del Teatro Nazionale, tra gli applausi scroscianti che lo accolgono al suo ingresso. La sala è gremita, si ascolta con rispetto, quasi in silenzio. Il Capo dello Stato parte da lontano: “Il contributo dei partigiani fu decisivo per il crollo della Linea Gotica”, dice, ricordando Luciano Bolis, antifascista torturato dalle Brigate Nere, che oggi riposa a Ventotene. Quel nome non è neutro: Ventotene, dove si immaginò un’Europa unita quando ancora cadevano le bombe. Mattarella rievoca Altiero Spinelli, coautore del Manifesto, e denuncia il revisionismo che oggi cerca di sfilacciare quel sogno.

    Poi il presidente si riallaccia a Papa Francesco, a poche ore dai suoi funerali: “Ogni generazione deve fare proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti e condurle a mete ancora più alte”, cita dall’enciclica Fratelli Tutti. È un filo sottile quello che lega la Resistenza alla cura del presente. E Mattarella lo tesse senza retorica, con la lucidità di chi vede la democrazia vacillare: “Ci preoccupa l’astensionismo, la fuga dalla cosa pubblica. Non possiamo accettare una democrazia a bassa intensità”.

    Poi arriva la lezione di storia, quella che a scuola si dovrebbe insegnare ogni giorno. Genova 1945. Tre nomi: il generale nazista Guenther Meinhold, il medico Carmine Alfredo Romanzi, il partigiano operaio Remo Scappini. Meinhold capisce che la guerra è persa, non vuole obbedire all’ordine di Hitler: far saltare il porto, come a Varsavia. Cerca una via di resa. Romanzi la offre. Scappini la tratta. E il 25 aprile, alle 19.30, a Villa Migone, sotto gli occhi del cardinale Boetto, si firma la resa. Due giorni dopo arrivano gli americani. Genova si era liberata da sola. “Great job”, dissero i militari statunitensi. E avevano ragione.

    Remo Scappini diventerà parlamentare del PCI. Meinhold tornerà in Germania dopo due anni di prigionia. Romanzi sarà rettore dell’università. E Paolo Emilio Taviani, “Pittaluga”, sarà la voce che annuncia via radio: “Genova è libera. Popolo genovese, esulta”. Taviani è un altro nome evocato nel discorso: fervente antifascista, ma anche tra gli ispiratori di Gladio. La storia, suggerisce Mattarella, non è mai monocroma.

    A Genova si ricorda anche il 1960, la rivolta contro il congresso del MSI, quando i cittadini scesero in piazza contro la deriva nostalgica. In prima linea c’era un giovane Sandro Pertini, genovese, socialista, futuro Presidente. Un altro legame. Un altro simbolo.

    Il discorso dura ventidue minuti. Settimane di preparazione. Sette cartelle piene di nomi, episodi, riferimenti. La gente in sala trattiene il respiro, applaude, si commuove. “Viva la Liguria partigiana, viva la libertà, viva la Repubblica”, chiude Mattarella. E lo dice con un’intensità che non ha bisogno di effetti speciali.

    All’uscita, un partigiano lo ferma: “Presidente, le auguro lunga vita”. E non è una frase fatta.

    Il tempo della Resistenza non è finito. Non finché c’è chi la racconta così.

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      Cronaca Nera

      Per Sgarbi nuovi guai giudiziari: la Camera dice sì al processo per gli insulti a Casalino in tv

      Via libera della Giunta della Camera alla richiesta della Corte d’Appello di Roma contro Vittorio Sgarbi per diffamazione. Al centro c’è l’insulto rivolto a Rocco Casalino in tv nel 2020. Nel 2023 l’ex sottosegretario era già stato condannato a una multa e al risarcimento in sede civile.

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        Per Vittorio Sgarbi i guai giudiziari continuano a riaccendersi a distanza di anni. La Giunta per le Autorizzazioni a procedere della Camera ha votato all’unanimità a favore della richiesta arrivata dalla Corte d’Appello di Roma per il procedimento che lo vede accusato di diffamazione ai danni di Rocco Casalino. Una vicenda che nasce in televisione, passa per le aule giudiziarie e ora torna al centro dell’attenzione politica.

        La frase del 30 gennaio 2020 in diretta tv

        Il caso risale al 30 gennaio 2020, durante una puntata di Stasera Italia su Rete4. Nel corso di un acceso intervento contro alcune figure del governo Conte dell’epoca, Sgarbi attacca anche l’allora portavoce del premier. L’espressione usata fa scattare immediatamente l’accusa di diffamazione. Da quel momento la vicenda giudiziaria prende avvio, trasformando uno scontro televisivo in un procedimento penale vero e proprio.

        La condanna del 2023 tra multa e risarcimento

        Tre anni dopo, nel 2023, arriva una prima sentenza. Sgarbi viene condannato al pagamento di una multa da mille euro, più altri 3mila euro per le spese processuali, oltre al risarcimento in sede civile nei confronti di Casalino. Una cifra che, all’epoca, veniva stimata intorno ai 50mila euro. La vicenda, però, non si chiude lì.

        Il voto della Giunta e l’immunità che cade

        Solo ora la Giunta della Camera è intervenuta formalmente, dando il via libera alla richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dalla Corte d’Appello di Roma. All’epoca dei fatti Sgarbi ricopriva il ruolo di sottosegretario ed era anche da poco stato eletto sindaco di Arpino. Proprio per questo passaggio procedurale era necessario il pronunciamento della Giunta, che è arrivato senza divisioni politiche, con un voto unanime.

        La linea difensiva e il processo

        Nel corso delle udienze, Sgarbi ha provato a difendersi sostenendo che l’espressione utilizzata fosse da intendere come sinonimo di “omosessuale”, respingendone l’accezione offensiva. Una tesi che, giudiziariamente, non ha convinto e che ha portato comunque alla condanna già arrivata nel 2023. Ora il nuovo via libera della Camera riporta la vicenda sul binario del procedimento penale, aggiungendo un altro capitolo a una storia che sembrava archiviata.

        Tra un precedente giudiziario, una Giunta che si esprime all’unanimità e un caso che torna ciclicamente a far parlare, la partita tra Sgarbi e Casalino resta ancora aperta sul fronte giudiziario. E ancora una volta è una frase detta in tv a continuare a produrre strascichi a distanza di anni.

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          Cronaca

          Dai riflettori alla cronaca giudiziaria: Gabriele Bonci a processo per maltrattamenti, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale

          Gabriele Bonci, volto noto della cucina televisiva, è sotto processo con accuse pesanti: secondo la procura avrebbe messo in atto comportamenti di controllo, minacce e aggressioni fisiche contro la ex compagna, culminati in un episodio in cui le avrebbe infilato un dito in bocca provocando una ferita. Contestata anche la resistenza agli agenti intervenuti.

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            Dai set televisivi alle aule di giustizia: per Gabriele Bonci, 48 anni, il passaggio non è di quelli che si dimenticano. Il pizzaiolo romano diventato fenomeno dei social, protagonista di programmi tv e punto di riferimento per gli appassionati di lievitazioni, si trova ora imputato davanti ai giudici della V sezione collegiale di Roma. Le accuse sono pesanti: maltrattamenti, lesioni nei confronti della ex compagna e resistenza a pubblico ufficiale. Una vicenda complessa che sta ridisegnando l’immagine pubblica di uno dei personaggi più riconoscibili del panorama gastronomico italiano.

            Un anno e mezzo di presunti episodi
            Secondo la ricostruzione della procura, i fatti contestati si sarebbero verificati tra gennaio 2022 e giugno 2023. Gli inquirenti parlano di «comportamenti controllanti dovuti a ossessiva gelosia»: minacce, pressioni psicologiche e aggressioni fisiche. La donna avrebbe riferito di essere stata afferrata per i polsi, strattonata, tirata per i capelli, fino a riportare diversi ematomi sul corpo. Un quadro che, nelle carte del processo, viene delineato come un crescendo di tensioni e gesti sempre più violenti.

            Le accuse sulla presenza sotto casa e gli oggetti scagliati a terra
            Uno degli episodi contestati riguarda una visita di Bonci sotto l’abitazione della madre della ex compagna. Seduto all’ingresso del condominio, avrebbe atteso a lungo un confronto, situazione conclusa solo con l’arrivo delle forze dell’ordine. Ma non è l’unico episodio segnalato. In un’altra occasione, la donna si sarebbe recata in un bar per chiedere le chiavi di casa: secondo gli atti, lui avrebbe reagito insultandola, per poi tornare insieme nell’abitazione. Lì, la tensione sarebbe esplosa: pentole e bottiglie scagliate a terra, vetri rotti e un clima definito dagli inquirenti “altamente conflittuale”.

            L’episodio ritenuto più grave dai magistrati
            Il momento considerato più serio dalla procura risale ai primi giorni di giugno 2023. Dopo una discussione, la donna sarebbe tornata nell’appartamento, rassicurata dal pizzaiolo. Ma la situazione, secondo gli atti, sarebbe degenerata ulteriormente: oggetti rotti, parole pesanti e un gesto che ha aggravato il quadro accusatorio. Lui le avrebbe infilato un dito in bocca con forza, provocando un sanguinamento sotto la lingua. Un dettaglio che pesa molto all’interno del fascicolo, perché delineerebbe una condotta particolarmente aggressiva.

            L’arrivo della polizia e la contestazione di resistenza
            La scena avrebbe attirato l’attenzione dei vicini, che hanno chiamato le forze dell’ordine. All’arrivo degli agenti, Bonci – sempre secondo l’accusa – li avrebbe insultati e minacciati, rifiutando di calmarsi e ostacolando l’intervento. Da qui l’ulteriore imputazione per resistenza a pubblico ufficiale.

            Il processo è in corso e la posizione dell’imputato sarà valutata nelle prossime udienze. Una vicenda che, comunque vada, ha già inciso profondamente sulla narrazione pubblica di un personaggio che era diventato simbolo di creatività e leggerezza televisiva. Ora il palcoscenico è un’aula giudiziaria, e la storia da raccontare è molto diversa.

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              Politica

              Matteo Salvini avvisato: Pio e Amedeo tornano su Canale 5 mentre il vicepremier celebra “Oi vita mia” come fosse una rivelazione comica nazionale

              Dopo l’entusiasmo social di Matteo Salvini per “Oi vita mia” – «era da tempo che non ridevo, sorridevo, mi emozionavo e piangevo per un film» – Pio e Amedeo si preparano a tornare su Canale 5 con un nuovo programma. Per Mediaset è l’ennesima scommessa su un duo che divide, intrattiene e infiamma discussioni a ogni apparizione.

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                Avvisate Matteo Salvini, perché per lui sarà come Natale anticipato. Il vicepremier ha infatti celebrato sui social “Oi vita mia”, l’ultimo film di Pio e Amedeo, con un entusiasmo che farebbe arrossire perfino i fan più irriducibili del duo pugliese. «Era da tempo che non ridevo, sorridevo, mi emozionavo e piangevo per un film», ha scritto il ministro dei Trasporti, trasformando la pellicola in un piccolo evento nazionale. E ora che Mediaset ha ufficializzato il ritorno dei due in primavera con un nuovo show su Canale 5, il tempismo sembra perfetto.

                Il post di Salvini che accende i social
                Il commento del ministro non è passato inosservato. Anzi, è stato accolto come la certificazione definitiva che Pio e Amedeo non sono soltanto un fenomeno popolare, ma un caso politico-culturale capace di entrare nelle timeline istituzionali. Che il vicepremier abbia un debole per il loro umorismo non sofisticatissimo non è una sorpresa, ma questa volta il suo entusiasmo ha acceso una curiosità in più: cosa penserà del nuovo programma in arrivo?

                Il ritorno su Canale 5
                Dopo il successo al botteghino, i due comici tornano dunque nel prime time Mediaset con un progetto pensato per riprendere lo stile che li ha resi celebri: spontaneità, battute al limite del caos e quel loro modo di trasformare qualsiasi siparietto in una serata di paese reinventata per la tv. La rete punta forte su di loro, consapevole che ogni nuova apparizione scatena discussioni, meme e reazioni contrastanti.

                Un duo che divide ma funziona
                Pio e Amedeo, del resto, vivono da sempre in un equilibrio curioso: da un lato il pubblico fedele che li segue ovunque, dall’altro chi sussurra che la loro comicità non esattamente profonda abbia comunque trovato un posto stabile nella televisione generalista. E mentre la primavera si avvicina, cresce l’attesa per capire che tipo di show porteranno su Canale 5 e fino a che punto riusciranno a spingere il loro universo comico.

                Intanto Salvini li applaude
                Per ora, una certezza c’è: Matteo Salvini è già pronto in prima fila, telecomando alla mano. E a questo punto è facile immaginare che il nuovo show diventi per lui un imperdibile appuntamento del palinsesto. Perché quando il ministro ride, ride sul serio… soprattutto con Pio e Amedeo.

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