Storie vere
Le chitarre del partigiano liutaio che hanno fatto suonare il meglio del rock
Partigiano, poi imprenditore e infine liutaio nato a Cavriago in provincia di Reggio Emilia, Wandré ha sfornato modelli di chitarre uniche ispirate o dedicati a personaggi diversi, momenti della nostra Storia, dipinti e capi d’abbigliamento.

È davvero incredibile come le chitarre di Wandrè – al secolo Antonio Pioli. – siano diventate oggetti di culto per così tanti musicisti di fama internazionale senza che il grande pubblico lo conosca. O quasi. Il liutaio partigiano ha costruito praticamente chitarre per numerosi idoli del rock di tutto il mondo. La sua capacità di trasformare uno strumento musicale in una vera e propria opera d’arte è stata veramente unica. Del resto se non fosse stato così meticoloso e preciso non avrebbe mai potuto essere celebrato in una mostra a lui dedicato in svolgimento a Bologna. E il fatto che le sue chitarre siano state utilizzate da una così vasta gamma di artisti dimostra quanto il suo lavoro abbia influenzato il panorama musicale mondiale.

Ha costruito chitarre per tutti: da Johnny Depp a Guccini
La mostra al Museo della musica di Bologna vuole essere un’opportunità straordinaria per esplorare il suo mondo e scoprire l’arte e l’innovazione dietro alle sue creazioni. È un vero peccato che il grande pubblico italiano, quando era ancora in vita, non abbia conosciuto appieno il suo lavoro.
Johnny Depp ha una intera collezione delle chitarre di Wandré. Strumenti che conserva gelosamente tranne quando Joe Perry degli Aerosmith gliene chiede una in prestito. Perry una volta sentita l’acustica e soppesato peso e maneggevolezza ha definito la chitarra di Depp “la miglior chitarra al mondo per suonare blues“. Sean Lennon, figlio del leggendario John non è stato da meno. Ha voluto e preteso a tutti i costi quella modellata sul taglio di capelli di suo padre John. E poi c’è stato Francesco Guccini. La prima volta che ne imbracciò una elettrica, era una di quelle costruite da Wandré.

Partigiano, poi imprenditore e infine liutaio nato a Cavriago in provincia di Reggio Emilia, Wandré ha sfornato pezzi unici ispirati o dedicati a personaggi diversi, momenti della nostra Storia, dipinti e capi d’abbigliamento. Cinquanta di questi pezzi rari sono esposti fino all’8 settembre al Museo della musica di Bologna per la mostra “La chitarra del futuro”, così che tutti possano conoscere la storia e il lavoro di Wandrè.
Scomparso nel 2004 secondo Marco Ballestri, che ha curato la mostra assieme all’associazione I Partigiani di Wandrè, il partigiano liutaio ha rivoluzionato l’idea della chitarra, da strumento di lavoro a protesi dell’artista. “E’ stato capace di trasmettere emozione di per sé, a prescindere dal suono“, dice Ballestri. “ Ha utilizzato colori che prima non erano stati mai usati e materiali innovativi“.

Pezzi d’arte unici
Alla mostra saranno visibili i modelli Bikini usata da Ace Frehley dei Kiss, eccentrica come la celebre glam rock band, la Brigitte Bardot ispirata alle forme dell’attrice. La collezione dei modelli Oval, usata da Bob Dylan e anche quella costruita su misura per Guccini col quale il Wandré si esibì con i Gatti. Ma poi sarà possibile visionare tutte le versione personalizzata per Celentano e Little Tony e per i maestri Federico Poggipollini e Buddy Miller. Ma non basta. Ce n’è per tutti i gusti dalla band Dandy Warhols a Frank Zappa che aggiudicò a i modelli Scarabeo e Orval il primo e secondo posto in un concorso per lo strumento più eccentrico dell’anno.
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Storie vere
Varazze, la sposa arriva tardi e il parroco inizia senza di lei: «Il matrimonio non può bloccare la messa»
Polemiche a Varazze: la sposa, in abito bianco sul sagrato, ha visto il sacerdote dare avvio alla celebrazione senza aspettarla. La cerimonia è partita tra stupore e rabbia.

Il giorno più atteso, quello che doveva restare impresso nella memoria come il coronamento di una favola d’amore, si è trasformato in un piccolo caso di cronaca parrocchiale. È accaduto a Varazze, nella chiesa di Sant’Ambrogio, dove don Claudio Doglio ha deciso di rispettare il calendario liturgico più che la tradizione delle spose in ritardo. Alle 11 in punto, quando la campana annunciava l’inizio della messa domenicale, il sacerdote ha concesso alla futura moglie appena cinque minuti di tolleranza. Poi, senza ulteriori esitazioni, ha dato il via alla funzione.
Una decisione che ha lasciato a bocca aperta molti presenti. La sposa, raccontano, era già arrivata davanti al sagrato, pronta a fare il suo ingresso. Forse un problema con l’abito, forse il classico temporeggiamento prima della navata: sta di fatto che il via libera non è arrivato e la donna è rimasta bloccata fuori dalla porta della chiesa. Intanto, dentro, il prete aveva già iniziato a officiare la messa, tra lo stupore degli invitati che non credevano ai loro occhi.
«Avevo avvisato gli sposi – ha spiegato don Doglio –. Alle 11 c’è la messa festiva, i fedeli vengono per questo e non possono essere costretti ad attendere. Avevo suggerito un altro orario, ma loro hanno insistito per sposarsi a quell’ora. Mi ero raccomandato: siate puntuali». Una puntualità che, nella prassi dei matrimoni, è più una speranza che una regola. Ma questa volta la rigidità del sacerdote ha cambiato il copione.
La sposa è riuscita infine a entrare, tra sguardi sorpresi e qualche mormorio. L’abito bianco ha attraversato la navata quando la celebrazione era già iniziata, in un’atmosfera più tesa che festosa. Polemiche inevitabili: parenti e amici si sono divisi tra chi ha difeso il gesto di rigore del parroco e chi lo ha giudicato un eccesso di intransigenza, soprattutto in un giorno che avrebbe dovuto essere dedicato soltanto alla gioia.
Alla fine il matrimonio si è celebrato, ma il ricordo resterà segnato da quell’avvio anomalo. Non il classico “ritardo della sposa”, ma un “anticipo del prete” che difficilmente gli invitati dimenticheranno.
Storie vere
Jessica Cox: la pilota senza braccia che ha deciso di conquistate i cieli
Questa storia è un promemoria potente per tutti noi su come le avversità possano trasformarsi in trampolini di lancio per nuove imprese.

Ci sono persone che nascono per infrangere limiti e riscrivere le regole. Jessica Cox, nata senza braccia, è una di queste. La sua storia è quella di una donna che ha scelto di volare più in alto di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare. Oggi è la prima donna al mondo a pilotare un aereo usando soltanto i piedi, un’impresa straordinaria che continua ad affascinare e ispirare persone in tutto il mondo.
Un’infanzia di determinazione e resilienza
Cresciuta in Arizona, Jessica Cox ha rifiutato fin da bambina di essere definita dalla sua disabilità. Grazie al supporto della sua famiglia, ha appreso una lezione fondamentale: “Non è ciò che hai o che ti manca che conta, ma ciò che fai con quello che hai.” Con una forza di carattere fuori dal comune, Jessica ha imparato a fare tutto con i piedi: mangiare, scrivere, lavarsi i denti, guidare un’auto e persino pettinarsi. La sua determinazione l’ha portata a rompere ogni stereotipo, affrontando con un sorriso e un’immensa sicurezza i pregiudizi che spesso accompagnano le disabilità. Jessica rappresenta una lezione di vita. Un esempio di come l’intraprendenza possa trasformare le sfide in opportunità.
Per Jessica Cox un sogno è diventato realtà
Il desiderio di volare non è stato casuale. A 22 anni, durante un’esperienza di volo su un piccolo aereo, Jessica ha scoperto la passione per l’aviazione. Quello che per molti è un hobby inaccessibile, per lei è diventato una missione. Pilotare un aereo senza braccia è stato un grattacapo tecnico e normativo, ma Jessica non si è fermata. Dopo tre anni di intenso addestramento, nel 2008 ha ottenuto la licenza di pilota sportivo. Jessica vola su un Ercoupe, un aereo dotato di comandi accoppiati che possono essere gestiti interamente con i piedi. La sua abilità nel manovrare comandi, pedali e radio con una precisione incredibile è una vera coreografia di destrezza e adattamento.
Più di una pilota, Jessica è una voce che promuove l’inclusione
Jessica non ha solo conquistato i cieli, ma anche i cuori. È diventata una speaker motivazionale, condividendo il suo messaggio di inclusione e accettazione in tutto il mondo. Con energia e carisma, dimostra che non esiste un unico “normale” e che accettare se stessi è il primo passo per superare qualsiasi limite. Jessica celebra la diversità e l’autodeterminazione, mostrando al mondo che ogni ostacolo può essere superato con creatività e forza di volontà. Ogni sua azione è un esempio di resilienza: invece di lamentarsi delle difficoltà, reinventa continuamente il suo approccio alla vita con una creatività instancabile.
Una vita senza limiti
Oltre a essere una pilota, Jessica è cintura nera di taekwondo, tuffatrice, suona il pianoforte e guida un’auto. È sposata, vive con entusiasmo e continua a esplorare nuovi territori. La sua energia sembra alimentata da un mix unico di determinazione, libertà e gioia di vivere. Ogni volo che intraprende è un manifesto che grida: “I limiti sono fatti per essere superati.” Jessica vola non solo per se stessa, ma per tutti coloro che si sono sentiti dire “Non è possibile.”
Storie vere
Alla faccia dell’errore giudiziario. Storia di Sandra: 43 anni in carcere da innocente
Dopo 43 anni di prigione per un omicidio che non aveva commesso, Sandra Hemme, 64 anni, è stata finalmente dichiarata innocente e liberata. Il caso della donna incarcerata ingiustamente per più tempo negli Stati Uniti.

“Vittima di un’ingiustizia”. Con queste parole il giudice Ryan Horsman ha dichiarato innocente la 64enne Sandra Hemme, scarcerata dalla prigione di Chillicothe, in Missouri, dopo aver scontato 43 anni dell’ergastolo a cui era stata condannata per un omicidio che non aveva commesso, quello della bibliotecaria Patricia Jeschke, uccisa nel 1980 a St. Joseph, nel Missouri. A supporto della sua innocenza, rivela la CNN, le prove presentate dall’avvocato della donna, Sean O’Brien, prove che secondo il giudice hanno dimostrato l’estraneità della donna all’omicidio e quindi la sua innocenza. Nonostante questo, per mesi il procuratore generale repubblicano Andrew Bailey si è opposto alla scarcerazione di Hemme.
Più volte il procuratore generale ha presentato istanze in tribunale cercando di tenere in prigione la donna per scontare condanne per aggressioni avvenute in carcere nei decenni passati. Ma il giudice Horsman il 14 giugno scorso ha stabilito che “la totalità delle prove supporta l’accertamento dell’effettiva innocenza” di Hemme rispetto alla condanna per omicidio. L’8 luglio una Corte d’appello statale ha stabilito che la donna dovesse essere liberata e il 9 luglio Horsman ha stabilito che Hemme dovesse essere rilasciata per tornare a casa con sua sorella.
Sandra Hemme: un incubo lungo 43 anni
Secondo il suo team legale dell’Innocence Project, Hemme è stata la donna incarcerata ingiustamente da più tempo negli Stati Uniti. Un’incredibile ingiustizia, durata quattro decenni, che finalmente ha trovato un epilogo positivo.
La storia di Sandra Hemme è quella di una battaglia lunga e dolorosa. Incarcerata all’età di 21 anni, la sua vita è stata segnata dalla privazione della libertà, dagli errori giudiziari e dall’incessante lotta per dimostrare la propria innocenza. Le nuove prove presentate dal suo avvocato, Sean O’Brien, hanno finalmente convinto la corte della sua estraneità al delitto, portando alla sua liberazione.
Il percorso di liberazione
Nonostante la chiarezza delle nuove prove, la strada verso la libertà non è stata facile per Hemme. Il procuratore generale Andrew Bailey ha cercato in ogni modo di mantenere la donna in prigione, presentando istanze per condanne legate ad aggressioni avvenute durante la detenzione. Tuttavia, il giudice Ryan Horsman ha respinto queste richieste, sottolineando che la totalità delle prove dimostrava l’innocenza di Hemme riguardo all’omicidio per cui era stata condannata.
Una nuova vita
Ora, Sandra Hemme può finalmente tornare a casa, iniziando un nuovo capitolo della sua vita accanto alla sorella. La sua storia rappresenta un potente monito sull’importanza di una giustizia equa e accurata, e una testimonianza della resilienza umana di fronte alle avversità.

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