Connect with us

Cronaca

Migranti sbarcati in Albania: 18mila euro a testa e benvenuti al “resort” Gjader!

18mila euro per migrante e una struttura che ricorda più una prigione che un centro di accoglienza. Il progetto italo-albanese solleva più di un dubbio.

Avatar photo

Pubblicato

il

    Ieri è andato in scena il gran debutto del progetto più atteso, più discusso e, soprattutto, più costoso che l’Italia abbia mai partorito: l’operazione Albania-migranti. Con grande fanfara, la nave Libra della Marina Militare ha toccato le coste albanesi, scaricando il primo carico di “fortunati” diretti ai nuovi centri di accoglienza. Chi sono questi pionieri? Dieci bengalesi e sei egiziani, freschi freschi di mare, ora accolti nel porto di Shengjin. E voi direte: “Beh, che male c’è?” Beh, provate a fare i conti.

    Sì, perché mentre loro si facevano una traversata di due giorni tra Lampedusa e l’Albania, il governo italiano scuciva la modica cifra di 18.000 euro per migrante. Sì, avete capito bene. Praticamente il costo di un’auto nuova di zecca per ogni persona. E questo è solo l’inizio, visto che le stime parlano di un miliardo di euro complessivi per questo grande esperimento geopolitico. Roba che nemmeno le migliori startup tecnologiche saprebbero giustificare davanti agli investitori.

    Cosa succede ora ai nostri 16 protagonisti? Appena sbarcati,sono stati sottoposti a una serie di controlli che manco l’ingresso alla Casa Bianca richiederebbe: provenienza da Paesi sicuri, check. Maschi e non vulnerabili, check. Un purgatorio degno di un romanzo distopico, con selezione all’ingresso e trasferimento finale a Gjader, dove li aspetta un soggiorno all-inclusive in una delle tre strutture preparate per l’occasione. Qui si parla di un centro di trattenimento, un CPR per i meno fortunati, e un piccolo penitenziario. Accoglienza? Non proprio. Più che altro sembra un reality show alla rovescia, dove il vincitore non c’è mai.

    E mentre l’Italia spende miliardi per trasformare l’Albania in una specie di parcheggio per migranti, a Shengjin si respira un’aria… “particolare”. Avete presente quelle trattorie italiane dal sapore turistico, con tovaglie a quadri e poster di Al Bano alle pareti? Ecco, “Trattoria Meloni” ha aperto i battenti proprio lì. Sì, proprio così: la trattoria dedicata alla premier Giorgia Meloni, con un menù degno del peggior ristorante turistico e una colonna sonora che spazia dai Ricchi e Poveri a Nino D’Angelo. Non manca l’ironia grottesca, con immagini alle pareti che ritraggono papa Francesco e altri grandi leader del mondo seduti su una tazza. Sembra uno scherzo, ma purtroppo è realtà.

    Nel frattempo, mentre in trattoria si canta a squarciagola “Felicità”, a Gjader i preparativi sono un po’ meno festosi. Il centro per migranti non è altro che una prigione mascherata da luogo di accoglienza. Cemento, reti metalliche e filo spinato a perdita d’occhio, tutto per dare ospitalità a 400 migranti, e il resto? Ah già, arriveranno più tardi. L’importante è che, per ora, l’Italia ha già speso una fortuna per creare questo capolavoro.

    Insomma, tra miliardi di euro spesi e trattorie kitsch, la domanda rimane: ne vale davvero la pena?

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Cronaca

      Un sushi davvero stupefacente: arrestato a Roma pusher che nascondeva hashish nei “nigiri” al salmone

      L’uomo, già noto alle forze dell’ordine, riceveva gli ordini via WhatsApp e consegnava il “menu speciale” tra Montespaccato, Mostacciano e Anagnina. La polizia lo ha fermato in via Enna: nella borsa frigo cinque pacchi di hashish termosaldati e oltre duemila euro in contanti.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

        A Roma il sushi può dare alla testa. Soprattutto quando non è a base di tonno o salmone, ma di hashish. La polizia ha arrestato un pusher di 45 anni, italiano e già noto alle forze dell’ordine, che aveva trovato un metodo ingegnoso – e grottesco – per distribuire la sua merce: spacciava droga confezionata come nigiri al salmone, pronta da “gustare” solo per i clienti giusti.

        Il blitz è scattato lunedì 28 luglio intorno alle 21, quando gli agenti del VII distretto San Giovanni hanno notato una Fiat Panda a noleggio ferma in via Enna. Al volante il 45enne, subito agitato alla vista della pattuglia. La scena non ha convinto i poliziotti, che hanno deciso di procedere con una perquisizione approfondita.

        Nel bagagliaio, dentro una borsa frigo, la sorpresa: cinque pacchi di hashish termosaldati, per un totale di 510 grammi, ognuno con l’immagine di eleganti nigiri di salmone stampata sopra. Accanto alla “scorta”, oltre 2.000 euro in contanti, probabilmente frutto delle ultime consegne.

        Dalle verifiche sul cellulare è emerso il sistema di ordini e consegne via WhatsApp. I clienti inviavano l’indirizzo e l’uomo partiva per le sue “consegne gastronomiche” in diverse zone della Capitale, tra cui Montespaccato, Mostacciano e Anagnina. Una sorta di delivery illegale, che trasformava il sushi in un piatto davvero stupefacente.

        Dopo il fermo, il 45enne è stato accompagnato in commissariato e sottoposto a rito direttissimo, al termine del quale è scattato l’arresto per detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente.

        Per una volta, il proverbiale “sushi d’asporto” non è finito sulla tavola ma in sequestro, mentre il finto chef della droga dovrà ora rispondere delle sue specialità… proibite.

          Continua a leggere

          Politica

          Tajani sorride, i Berlusconi comandano: Forza Italia a Cologno fra consigli, statuti e voglia di rinnovamento

          Antonio Tajani arriva a Cologno Monzese per un incontro “tra amici”, ma la regia politica di Forza Italia è ormai tutta nelle mani degli eredi del Cav. Pier Silvio parla di “rinnovamento”, e il segretario obbedisce: nuovo statuto, nuova comunicazione, stesso sorriso forzato.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            «Parleremo di tutto, del futuro e anche di Forza Italia». Antonio Tajani prova a recitare il copione del leader saldo, mentre si presenta alla villa di Marina Berlusconi a Cologno Monzese. Lo accompagna il mantra di sempre: «Li conosco da quando sono ragazzi, questi incontri li abbiamo sempre fatti». Ma dietro le parole di circostanza, la fotografia è chiara: chi comanda davvero sono gli eredi del Cavaliere.

            A tavola con lui ci sono Marina e Pier Silvio, veri azionisti politici e finanziari del partito – il loro credito verso Forza Italia sfiora i 90 milioni di euro – e Gianni Letta, garante della liturgia familiare. L’incontro era stato rinviato due settimane fa tra voci di malumori, ora torna come se nulla fosse: «Un incontro tra amici», dice Tajani, cercando di smussare i rumors su un partito percepito come troppo appiattito sugli alleati e incapace di ritagliarsi uno spazio proprio.

            La realtà è che basta una frase di Pier Silvio Berlusconi per orientare la rotta: quando ha parlato di “rinnovamento”, Tajani ha eseguito. In pochi giorni è arrivato il nuovo statuto, è stato scelto Simone Baldelli come coordinatore della comunicazione e si è dato il via a un lifting silenzioso della catena di comando. Tutto senza clamori, ma con un messaggio inequivocabile: Forza Italia è un marchio di famiglia, e chi la gestisce in politica lo fa in affitto.

            Intanto, le voci di insofferenza per il segretario crescono: la linea prudente di Tajani, fatta di piccoli compromessi e temi secondari come lo Ius scholae, convince poco i custodi del brand berlusconiano. «Ascolto i consigli che arrivano dagli amici», ripete lui, ma gli amici hanno appena deciso quali note dovrà suonare.

            Per ora Tajani sorride e incassa. La regia resta a Cologno, la bacchetta pure.

              Continua a leggere

              Cronaca Nera

              La madre di Andrea Sempio rompe il silenzio: «Non ha ucciso Chiara Poggi, sta pagando un’accusa ingiusta»

              Dopo mesi di sospetti, microfoni e titoli urlati, la madre di Andrea Sempio racconta l’angoscia di una famiglia nell’occhio del ciclone. Dallo «scontrino del parcheggio» al peso dei giudizi mediatici, l’appello è uno solo: «Chiarite tutto, mio figlio non ha mai fatto del male a Chiara».

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                Stamattina, davanti al cancello di casa, Daniela Ferrari ha deciso di parlare. «Basta con le bugie in tv e sui giornali», ha detto affrontando le telecamere di Morning News. Lo ha fatto con la voce ferma di chi da 151 giorni vede la faccia del proprio figlio passare da un talk show all’altro come quella di un assassino annunciato. Eppure, giura, Andrea Sempio non ha ucciso Chiara Poggi.

                Il nuovo capitolo del giallo di Garlasco ha travolto ancora una volta la sua famiglia. Da quando la Procura ha riaperto l’inchiesta puntando i riflettori sul ragazzo, la vita nella villetta di provincia è diventata un inferno di chiamate, sguardi e sospetti. «Non ha ammazzato Chiara e lo ripeterò fino alla morte», ha detto la madre davanti ai microfoni, ripercorrendo punto per punto i tasselli di una vicenda che non sembra finire mai.

                Ferrari ha parlato dell’alibi di Andrea, legato a un dettaglio minuscolo ma diventato simbolico: uno scontrino del parcheggio di Vigevano. «Quel pezzo di carta l’ho conservato su consiglio delle detenute del carcere dove ho lavorato negli anni Ottanta», ha spiegato. «Mi dicevano: qualsiasi cosa succeda, tieni le prove. E così ho fatto». Secondo lei, quello scontrino dimostra che Andrea era altrove, lontano dalla casa dei Poggi.

                Poi ha ricordato l’interrogatorio che l’ha vista protagonista, quando ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. «Mi sentivo già male prima, avevo capogiri. Non sono mai svenuta, ma la pressione di quei momenti è stata devastante», ha raccontato. Intorno, il clima familiare è fatto di ansia costante e sospetti che corrono più veloci della giustizia.

                Daniela ripercorre con precisione la mattina del 13 agosto 2007. «Io ero in auto a Gambolò, mio marito a casa con Andrea. Quando sono tornata, lui è andato a Vigevano e poi dalla nonna. È rientrato con gli stessi vestiti, puliti, senza una macchia. Se fosse stato nella casa di Chiara, come dicono, come avrebbe fatto a non sporcarsi di sangue?»

                Il punto cruciale, per lei, resta uno: «Non esiste impronta che possa cambiare la verità. Mio figlio non è entrato in quella casa per uccidere Chiara». E aggiunge: «Credo che i Poggi sappiano che Andrea non c’entra nulla. Non aveva motivi, lei era solo la sorella di un suo amico».

                La madre non nasconde la paura di un processo che potrebbe trascinarsi per anni. «E se lo arrestassero? Sarebbe arrestato da innocente», sospira. «Noi stiamo vivendo nell’angoscia dalla mattina alla sera. La nostra salute si sta rovinando sul nulla».

                E c’è spazio anche per l’amarezza verso l’eco mediatica: «Gli imbecilli che pensano che sia colpevole ci saranno sempre. Si sta puntando a mio figlio per ripulire la faccia di qualcun altro», un riferimento chiaro, seppur mai nominato, ad Alberto Stasi, il primo imputato del caso.

                Il suo appello finale è un misto di speranza e stanchezza: «Spero che la Procura chiarisca tutto il prima possibile. Noi viviamo con la sensazione di essere già stati condannati senza processo».

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù