Mistero
Il mistero del volo Pan Am 914, il volo che atterrò trent’anni dopo essere decollato…
La storia del volo Pan Am 914 è l’ennesima leggenda metropolitana che, grazie alla sua natura affascinante e surreale, continua a catturare l’immaginazione delle persone. Tuttavia, è importante ricordare che si tratta di una bufala, alimentata da un giornale specializzato in notizie farlocche.
C’è un aereo scomparso nel 1955 e ricomparso 30 anni dopo. Possibile? E’ una notizia che non è più notizia ormai da molti anni ma che periodicamente fa il giro del mondo perché piace a chi la racconta e soprattutto a chi ha voglia di riascoltarla. E che oggi, grazie al web, coinvolge, incuriosisce e affascina migliaia di appassionati dei misteri dell’aviazione. E non solo. La cronaca sarebbe semplice. Il volo Pan Am 914 decollato da New York il 2 luglio 1955 diretto a Miami non è mai arrivato a destinazione. Punto. Eh no, sembra facile mettere un punto. Ma non lo è. Dai terrapiattisti agli appassionati di ufologia dopo quella scomparsa sono entrati in scena tutti. Ma proprio tutti. Cacciatori di misteri, intrighi e favole da continuare a raccontare all’infinito.

Come nel film Ritorno al Futuro
Qualcuno ha tirato in ballo i soliti alieni, altri un passaggio spazio-temporale (come nel film Ritorno al Futuro di Robert Zemeckis) del 1985. Guarda caso proprio lo stesso anno in cui è nata questa bella e misteriosa favola che andiamo a raccontare. La cronaca ci dice che quel benedetto volo Pan Am 914, partito da NYC con 57 passeggeri, oltre alle assistenti di volo, dopo una breve sosta a Charleston nel West Virginia, si dirige verso Miami sua destinazione finale.
Un viaggio che sarebbe dovuto durare circa due ore. Il capitano Charles G. Taylor è coadiuvato dal suo primo ufficiale Eugene Propp. Ma dopo circa 80 minuti dal suo decollo, mentre sta sorvolando l’Oceano Atlantico, il pilota fa presente via radio che ha un problema con gli strumenti di volo. Quella diventa l’ultima testimonianza registrata tra il volo Pan Am 914 e la torre di controllo di Charleston. Da quel momento il velivolo scompare dai radar e non raggiungerà mai Miami e nessun altro aeroporto. Tranne che trent’anni dopo…

Un “mistero” che appassiona ancora
La leggenda, che piace a tanti, narra, infatti, che quel volo partito nel 1955 riappare nel 1985, nei cieli di Caracas, Venezuela. Il pilota, sempre lo stesso della partenza, che avrebbe dichiarato alla torre di controllo dell’aeroporto di Caracas di aver avuto problemi di navigazione, per poi scoprire di trovarsi in un’epoca completamente diversa. Secondo il racconto, diventata leggenda, né il pilota né i passeggeri durante quel salto temporale durato trent’anni, sarebbero invecchiati. Anzi.
Dopo essere atterrati, l’aereo sarebbe misteriosamente decollato nuovamente, lasciando sulla pista un calendario del 1955 come prova del suo passaggio. Apriti cielo. Tutti iniziano a dire la propria. I complottisti sostengono persino che i governi degli Stati Uniti e del Venezuela avrebbero coperto l’accaduto, confiscando tutte le prove che potevano testimoniare il rapimenti da parte di alieni…

Una bufala vecchia di decenni ma sempre di moda
Questa storia, anche se assai affascinante, tuttavia è priva di fondamento. La sua origine risale al 1985, quando il giornale satirico Weekly World News pubblicò per la prima volta questa bufala. Bufala che, nel corso degli anni, è stata riproposta più volte, aggiungendo sempre nuovi dettagli e variando le date di “riapparizione” dell’aereo. Le immagini del “controllore di volo” e dell’aereo sono sempre risultate essere semplici foto di repertorio.
L’impatto mediatico e la leggenda continua
Nonostante la sua natura evidentemente fittizia, la storia del volo Pan Am 914 ha continuato a circolare, alimentata da teorie cospirazioniste, video virali su YouTube e TikTok, e persino trasmissioni televisive. Proprio come accadde con La guerra dei mondi , programma radiofonico andato in onda nel 1938 sulla rete CBS e ispirato all’omonimo romanzo di fantascienza di Herbert George Wells, magistralmente interpretato da Orson Welles. Da sempre le persone sono affascinate dall’idea di misteri inspiegabili e viaggi nel tempo, anche se, purtroppo, del tutto infondati. O no…?
Immagine a scopo illustrativo, non rappresenta l’aereo del volo Pan Am 914.
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Mistero
Quel morso nell’anca: la scoperta choc che riscrive la storia dei gladiatori in Britannia
Fino a oggi le prove dei sanguinosi spettacoli tra fiere e gladiatori fuori da Roma erano solo artistiche o letterarie. Ora, per la prima volta, uno scheletro umano con segni compatibili con un morso di leone fornisce la prova materiale che anche nelle province più periferiche dell’Impero si celebrava il macabro culto della violenza. Il teatro? L’antica Eboracum, la moderna York.
C’è un foro nell’osso dell’anca. Profondo, netto, senza margini di guarigione. Un taglio che non lascia spazio ai dubbi: chi ha subito quella ferita non è sopravvissuto. La cosa davvero sorprendente è che quel foro non lo ha provocato una spada, né una lancia, né uno dei tanti strumenti di morte dei gladiatori. È un morso. Di leone.





La scoperta arriva da York, nel Regno Unito, un tempo colonia romana nota come Eboracum, e cambia radicalmente la narrazione storica sugli spettacoli gladiatori fuori dalle mura di Roma. Lo scheletro appartiene a un uomo tra i 26 e i 35 anni, morto circa 1.800 anni fa, il cui corpo è stato sepolto con una cerimonia che suggerisce un certo rispetto. Eppure, di lui oggi resta solo quel foro nell’osso, la firma inconsapevole di un grande felino. E l’ipotesi di una morte sotto le zanne di una belva, in uno spettacolo pubblico.
Il ritrovamento è parte di un’indagine archeologica durata oltre vent’anni, coordinata dalla Maynooth University e da un consorzio di università e istituti britannici. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Plos One e rappresenta la prima prova osteologica diretta di un combattimento tra uomo e leone in territorio britannico.
La ferita, ricostruita in 3D, è stata confrontata con diversi modelli di dentature animali: quella del leone, per forma e dimensioni, è l’unica compatibile. “Una scoperta che apre una finestra terribile ma concreta sulla brutalità del potere romano”, spiega John Pearce del King’s College.
La tomba è stata rinvenuta nel sito di Driffield Terrace, noto per essere una delle necropoli gladiatorie meglio conservate del mondo romano. Già nel 2010 erano stati ritrovati 82 scheletri, molti dei quali con segni evidenti di vita da combattente: corpi robusti, fratture cicatrizzate, articolazioni rovinate dall’eccesso di sforzi. Uno di questi, oggi, parla con un morso.
Secondo l’archeologa Malin Holst, si trattava di un bestiario, il tipo di gladiatore addestrato a combattere con animali feroci. Le ossa di cavallo trovate accanto a lui, i traumi multipli e persino le tracce di malnutrizione infantile raccontano una vita di fatica, addestramento e probabilmente schiavitù. Un’esistenza passata a sfidare la morte — fino a che, un giorno, la morte ha vinto.
Eppure York non ha mai restituito tracce dirette di un anfiteatro romano. E allora dov’è avvenuto lo scontro? Forse in una struttura lignea temporanea. Forse in un’arena più piccola e già scomparsa. Di certo la ricchezza di Eboracum — la città che vide l’ascesa dell’imperatore Costantino nel 306 d.C. — giustifica la presenza di simili spettacoli. La provincia non era poi così lontana dal cuore pulsante dell’Impero.
Non erano solo giochi, erano messaggi politici. Simboli della forza romana, della sua capacità di domare le bestie, reali e metaforiche. La presenza di un leone a York ci ricorda un dettaglio spesso ignorato: l’impero catturava e deportava migliaia di animali esotici. Leoni, pantere, orsi dai monti dell’Atlante, tigri dall’India, giraffe, coccodrilli e ippopotami dall’Egitto. Viaggi impossibili, durissimi, solo per garantire al popolo quel miscuglio di orrore e meraviglia che teneva in piedi il consenso imperiale.
Quello che oggi possiamo chiamare intrattenimento era, in realtà, propaganda fatta carne. Carne umana, carne animale. E sangue.
Il foro nel bacino dell’uomo di York racconta tutto questo. Non servono mosaici, né affreschi, né epigrafi. Basta un morso. E un osso che ha atteso quasi due millenni per farsi sentire.
Mistero
Rituali e miti Egizi: il mistero del vaso di Bes e l’intruglio allucinogeno del passato
Gli antichi Egizi bevevano un mix di alcol, fluidi corporei e allucinogeni: la prova in una tazza di Bes.
Nel cuore del Tampa Museum of Art, tra le collezioni permanenti esposte nella mostra “Prelude: An Introduction to the Permanent Collection”, riproposta dopo varie integrazioni, brilla un pezzo unico che svela un aspetto intrigante dell’Antico Egitto. Si tratta di un vaso di Bes, la cui analisi scientifica ha rivelato segreti di antichi rituali religiosi. Questo manufatto, datato al periodo tolemaico, custodiva al suo interno residui di una miscela affascinante e allo stesso tempo molto inquietante. Si tratta di un intruglio di alcol, sostanze allucinogene e fluidi corporei. Questo miscuglio sembra aver avuto un ruolo simbolico e rituale, aiutando i partecipanti a rievocare la potenza di un mito epico legato alla divinità Bes e alla dea Hathor.
La scoperta scientifica dietro il mito di Bes
Il vaso di Bes è stato sottoposto a una serie di analisi avanzate, tra cui la spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FTIR) e l’estrazione di DNA antico. Le analisi hanno rivelato la presenza di sostanze come ruta selvatica, loto egiziano e una pianta del genere Cleome, tutte note per le loro proprietà psicotrope. Il contenuto era arricchito con ingredienti simbolici come miele, uva, semi di sesamo e pinoli, che contribuivano a rendere la miscela simile al sangue, evocando il mito dell’Occhio Solare. Secondo la leggenda, Bes riuscì a calmare l’ira della dea Hathor offrendole una bevanda allucinogena camuffata da sangue, inducendo in lei un sonno profondo e pacificante.
Riti di evocazione e significato religioso
Questa miscela non era solo una bevanda, ma un ponte verso il trascendente. Gli antichi Egizi la utilizzavano probabilmente in rituali che combinavano l’assunzione della sostanza con danze, canti e preghiere, tentando di ricreare un momento mitico di grande significato. La presenza di fluidi corporei nel composto, come saliva e sangue, potrebbe essere un simbolo di connessione tra umano e divino, oppure il risultato di pratiche di preparazione rituale.
Bes, il protettore di tutti
La divinità Bes, rappresentata come un nano grottesco con tratti leonini, è una figura enigmatica del pantheon egizio. Protettore della fertilità, delle partorienti e degli infanti, Bes era anche un dio popolare e accessibile. La sua immagine, spesso associata a rituali di protezione e gioia, viaggiò fino a raggiungere il Mediterraneo occidentale, portata dai navigatori fenici e cartaginesi.
Una nuova luce sul passato
Come ha sottolineato il professor Davide Tanasi della University of South Florida, il ritrovamento scientifico non solo conferma la veridicità di certi aspetti dei miti egizi, ma apre una finestra sui rituali poco conosciuti legati al culto di Bes e di altre divinità. Grazie a questa scoperta, la ricca cultura spirituale dell’Antico Egitto si arricchisce di nuovi dettagli, rivelando l’intima connessione tra mito, rituale e sostanze simboliche.
Mistero
Dracula sepolto a Napoli? Decifrata l’iscrizione sulla tomba misteriosa che riaccende la leggenda
Secondo una nuova ipotesi, Vlad l’Impalatore – ispiratore del Dracula letterario – non sarebbe morto in battaglia ma portato a Napoli dalla figlia e sepolto in una tomba nobiliare. La recente decifrazione di un’antica iscrizione potrebbe confermare tutto.
Dracula potrebbe essere morto a Napoli. Non è il plot di un film, ma una teoria che da anni incuriosisce studiosi, turisti e appassionati di misteri storici. Al centro di tutto, una tomba nel complesso monumentale di Santa Maria la Nova, a due passi dal cuore antico della città. E ora, una svolta clamorosa: la decifrazione di un’iscrizione funebre finora rimasta oscura rilancia la possibilità che sia davvero la sepoltura di Vlad III di Valacchia, il famigerato Impalatore passato alla leggenda come Dracula.
Ad anticiparlo è Giuseppe Reale, direttore del complesso, che dalla Romania fa sapere che un gruppo di studiosi ha interpretato la scritta come un elogio funebre dedicato proprio al principe valacco vissuto tra il 1431 e il 1477. Secondo la teoria, Vlad non sarebbe morto in battaglia, ma catturato dai turchi e poi liberato dalla figlia Maria Balsa, rifugiatasi a Napoli dopo essere stata adottata da una nobile famiglia locale.
Alla sua morte, Vlad sarebbe stato tumulato nella cappella Turbolo, nella tomba del suocero della figlia. La tomba, decorata con simboli egizi, draghi e iconografie non riconducibili alla tradizione locale, era già al centro di speculazioni fin dal 2014. Ora, però, la decifrazione dell’epigrafe – datata attorno al Cinquecento – dà nuova linfa alla leggenda.
Napoli, del resto, è abituata a ospitare l’impossibile: santi che fanno miracoli, sangue che si scioglie, teschi che parlano. E ora anche un Dracula… in trasferta definitiva. Non resta che attendere conferme, ma intanto il fascino resta intatto. Perché forse l’Impalatore non è mai tornato in Transilvania. Ha solo cambiato castello.
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