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Congelarsi, ecco il nuovo trend tra i disperati del futuro

In un mondo dove la tecnologia sembra avanzare sempre più rapidamente, c’è chi guarda al futuro con occhi speranzosi e audaci. Uno di questi sguardi è rivolto verso la criogenizzazione, un’innovativa pratica che promette di conservare il corpo umano dopo la morte, nella speranza di risvegliarsi in un futuro migliore. Tuttavia, dietro questa promessa di vita eterna si nascondono molte incertezze e domande senza risposta. Scopriamo insieme i dettagli di questa strana corsa verso l’immortalità e le sfide che si nascondono dietro l’apparente sicurezza di un sonno eterno.

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    Chi avrebbe mai pensato che morire potesse diventare così… di moda? Eppure, in Svizzera, la criogenizzazione sta attirando una folla di aspiranti immortali pronti a sborsare ben 200.000 euro senza alcuna garanzia di risveglio. Nel pittoresco villaggio di Rafz, un medico tedesco, il dottor Kendziorra, ha deciso di trasformare il sogno di un risveglio futuro in un lucroso business con la sua start-up, “Tomorrow Biostasis”.

    La moda di congelarsi: un esperimento dai risultati incerti

    In uno stabile bianco e squadrato, simile a una villetta in cemento armato di nuova costruzione, attualmente si trovano almeno quattro salme in attesa di un’ipotetica resurrezione. Ma non facciamoci illusioni: il tabloid Bild riporta che la criogenizzazione conserva i tessuti biologici a temperature bassissime, ma il risveglio è tutt’altro che garantito. Al mondo, infatti, ci sono già 377 corpi umani criopreservati, tra cui 15 italiani, tutti congelati in attesa di un futuro che, nelle migliori previsioni, potrebbe arrivare tra 200-300 anni. E in che condizioni si risveglieranno? Questo rimane un mistero.

    Un’avventura da film di fantascienza

    Woody Allen ne parlò già nel 1973 con la commedia “Sleeper”, dove un clarinettista jazz si risvegliava in un mondo stravolto. Forse il dottor Kendziorra non ha visto il film, ma ha certamente visto l’opportunità di fare soldi. La sua start-up berlinese ha già attirato 400 persone da 80 città europee, pronte a pagare una quota iniziale di 25 euro mensili per sperare in un risveglio miracoloso.

    La realtà dei fatti: una scommessa molto costosa

    Questi aspiranti immortali vengono messi in guardia: “Sebbene la ricerca medica sia in costante progresso, attualmente non è ancora possibile rianimare un essere umano dopo che è stato criopreservato”. Insomma, se sperate di svegliarvi nel futuro, meglio non trattenere il respiro. Tuttavia, per i più ostinati, c’è una “buona notizia”: non c’è limite di tempo a quanto si può rimanere criopreservati senza degrado.

    Forse, se proprio si vuole fare un’esperienza fuori dal comune, tanto vale iscriversi al volo sullo spazio di Elon Musk. Ci sembra che abbia più probabilità di successo della criogenizzazione. Ma per chi ci crede davvero, preparatevi a un lungo, freddo sonno… senza sveglia garantita.

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      Quel morso nell’anca: la scoperta choc che riscrive la storia dei gladiatori in Britannia

      Fino a oggi le prove dei sanguinosi spettacoli tra fiere e gladiatori fuori da Roma erano solo artistiche o letterarie. Ora, per la prima volta, uno scheletro umano con segni compatibili con un morso di leone fornisce la prova materiale che anche nelle province più periferiche dell’Impero si celebrava il macabro culto della violenza. Il teatro? L’antica Eboracum, la moderna York.

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        C’è un foro nell’osso dell’anca. Profondo, netto, senza margini di guarigione. Un taglio che non lascia spazio ai dubbi: chi ha subito quella ferita non è sopravvissuto. La cosa davvero sorprendente è che quel foro non lo ha provocato una spada, né una lancia, né uno dei tanti strumenti di morte dei gladiatori. È un morso. Di leone.

        La scoperta arriva da York, nel Regno Unito, un tempo colonia romana nota come Eboracum, e cambia radicalmente la narrazione storica sugli spettacoli gladiatori fuori dalle mura di Roma. Lo scheletro appartiene a un uomo tra i 26 e i 35 anni, morto circa 1.800 anni fa, il cui corpo è stato sepolto con una cerimonia che suggerisce un certo rispetto. Eppure, di lui oggi resta solo quel foro nell’osso, la firma inconsapevole di un grande felino. E l’ipotesi di una morte sotto le zanne di una belva, in uno spettacolo pubblico.

        Il ritrovamento è parte di un’indagine archeologica durata oltre vent’anni, coordinata dalla Maynooth University e da un consorzio di università e istituti britannici. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Plos One e rappresenta la prima prova osteologica diretta di un combattimento tra uomo e leone in territorio britannico.

        La ferita, ricostruita in 3D, è stata confrontata con diversi modelli di dentature animali: quella del leone, per forma e dimensioni, è l’unica compatibile. “Una scoperta che apre una finestra terribile ma concreta sulla brutalità del potere romano”, spiega John Pearce del King’s College.

        La tomba è stata rinvenuta nel sito di Driffield Terrace, noto per essere una delle necropoli gladiatorie meglio conservate del mondo romano. Già nel 2010 erano stati ritrovati 82 scheletri, molti dei quali con segni evidenti di vita da combattente: corpi robusti, fratture cicatrizzate, articolazioni rovinate dall’eccesso di sforzi. Uno di questi, oggi, parla con un morso.

        Secondo l’archeologa Malin Holst, si trattava di un bestiario, il tipo di gladiatore addestrato a combattere con animali feroci. Le ossa di cavallo trovate accanto a lui, i traumi multipli e persino le tracce di malnutrizione infantile raccontano una vita di fatica, addestramento e probabilmente schiavitù. Un’esistenza passata a sfidare la morte — fino a che, un giorno, la morte ha vinto.

        Eppure York non ha mai restituito tracce dirette di un anfiteatro romano. E allora dov’è avvenuto lo scontro? Forse in una struttura lignea temporanea. Forse in un’arena più piccola e già scomparsa. Di certo la ricchezza di Eboracum — la città che vide l’ascesa dell’imperatore Costantino nel 306 d.C. — giustifica la presenza di simili spettacoli. La provincia non era poi così lontana dal cuore pulsante dell’Impero.

        Non erano solo giochi, erano messaggi politici. Simboli della forza romana, della sua capacità di domare le bestie, reali e metaforiche. La presenza di un leone a York ci ricorda un dettaglio spesso ignorato: l’impero catturava e deportava migliaia di animali esotici. Leoni, pantere, orsi dai monti dell’Atlante, tigri dall’India, giraffe, coccodrilli e ippopotami dall’Egitto. Viaggi impossibili, durissimi, solo per garantire al popolo quel miscuglio di orrore e meraviglia che teneva in piedi il consenso imperiale.

        Quello che oggi possiamo chiamare intrattenimento era, in realtà, propaganda fatta carne. Carne umana, carne animale. E sangue.

        Il foro nel bacino dell’uomo di York racconta tutto questo. Non servono mosaici, né affreschi, né epigrafi. Basta un morso. E un osso che ha atteso quasi due millenni per farsi sentire.

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          L’ultimo Papa? La profezia di San Malachia torna a scuotere Roma

          Tra corridoi curiali e suggestioni apocalittiche, rispunta la profezia medievale che parla di un Papa chiamato Pietro, guida della Chiesa nell’ultima persecuzione. E ora un nome inquieta tutti: Parolin.

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            Roma trattiene il respiro. Il corpo di Papa Francesco è stato traslato da Santa Marta alla Basilica di San Pietro, dove le volte millenarie accolgono l’ultimo saluto come una preghiera scolpita nel marmo. Il 26 aprile, la liturgia del commiato darà inizio all’ingranaggio segreto e solenne del Conclave. In quelle ore sospese, la città eterna sussurra leggende antiche. E una, più di tutte, torna a bruciare nel cuore dei fedeli e nei pensieri di chi conosce il peso del potere ecclesiastico: la profezia di San Malachia.

            Correva il XII secolo quando Malachia, arcivescovo d’Armagh, avrebbe ricevuto in visione la lista dei papi futuri: centododici motti in latino, ciascuno legato a un pontefice, fino alla fine dei tempi. Un manoscritto conservato, si dice, nella Biblioteca Vaticana. Una traccia fragile, riemersa solo secoli dopo, nel 1595, pubblicata dal monaco benedettino fiammingo Arnoldo Wion. Attorno a quelle pagine, mito e sospetto si sono intrecciati senza sosta.

            Oggi, secondo quella lista, il tempo di Francesco — il Papa 111esimo — è compiuto. E quello che arriva adesso, l’ultimo, avrebbe un nome inciso nel destino: Petrus Romanus.

            “In persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus…”, si legge. “Durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà Pietro il Romano, che pascerà il gregge tra molte tribolazioni”.

            Un motto che si chiude con una parola lapidaria: Finis. Non un punto. Ma una fine.

            Non è un testo riconosciuto dalla Chiesa. Troppo tardi, troppo perfetto, troppo contaminato da suggestioni politiche del Cinquecento. Eppure ritorna. Come un battito sotto la pelle di Roma. Perché in ogni cambio di pontificato si riapre la ferita del mistero. La fede vera sa distinguere. Ma il popolo — e parte della Curia — ascolta i segni.

            Ed ecco che nel mosaico di sussurri e scenari, spunta un nome che sembra fatto apposta per accendere l’eco della profezia: Pietro Parolin.

            Segretario di Stato, piemontese, fine tessitore di diplomazie e custode degli equilibri vaticani. Un uomo che conosce ogni chiave del Palazzo. Ma è il nome, quella pietra che pesa: Pietro. Pietro il Romano. Pietro come il primo Papa. Pietro come l’ultimo?

            Parolin, oggi, è considerato un candidato serio. Non il più probabile, ma tra i più “pontificabili”. La sua presenza accende un sottile brivido: è colui che potrebbe incarnare, perfino inconsapevolmente, quel presagio. E la mente collettiva, soprattutto nei momenti di passaggio, si aggrappa ai simboli.

            La morte di Francesco ha aperto una soglia. I pellegrini si accalcano a San Pietro per l’ultimo saluto. I cardinali cominciano ad arrivare a Roma. Dentro il Vaticano, le congregazioni generali scaldano i motori del Conclave. Ma fuori, tra le mura della città sacra e pagana, si respira un’aria antica. Densa di mito, superstizione e profezie dimenticate.

            Qui, ogni morte di un Papa è anche un rito di passaggio. E ogni nuovo nome può risuonare come un segnale. E se davvero toccasse ora al Petrus Romanus, come reagirebbe il mondo?

            Roma lo sa: non c’è potere più forte di quello che sa nascondersi tra le ombre.
            E nulla, in Vaticano, è mai solo coincidenza.

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              Francesco ultimo Papa? Le profezie di Malachia e Nostradamus sull’ultimo pontefice

              La morte del Papa riaccende antiche profezie: chi sarà il prossimo pontefice? Sarà davvero l’ultimo? Nostradamus e Malachia parlano di un Papa “romano” e di tribolazioni per la Chiesa.

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                La scomparsa di Papa Francesco ha segnato la fine di un pontificato carismatico e riformatore. E mentre la Chiesa si prepara a eleggere il suo successore, tornano in auge le oscure previsioni di Nostradamus e Malachia. Due figure enigmatiche che avrebbero predetto non solo la morte di un pontefice anziano, ma anche l’arrivo di un Papa “romano”, descritto come il pontefice finale prima della fine dei tempi.

                Nostradamus e la quartina sul nuovo Pontefice

                Michel de Nostredame, meglio conosciuto come Nostradamus, scrisse nel 1555 il suo libro Les Prophéties, una raccolta di quartine spesso interpretate come previsioni di eventi futuri. Tra queste, una in particolare ha catturato l’attenzione degli studiosi.

                Per la morte di un Pontefice molto vecchio Sarà eletto un romano di buona età Di lui si dirà che indebolisce la sua sede Ma a lungo siederà e in attività mordace.

                Secondo alcune interpretazioni, Papa Francesco, ormai anziano e afflitto da problemi di salute, corrisponde perfettamente alla descrizione del pontefice morente. La quartina suggerisce che il suo successore potrebbe essere un Papa fortemente legato a Roma, in un periodo di forti divisioni e difficoltà per la Chiesa. Se questa previsione si avverasse, il conclave potrebbe orientarsi verso un pontefice europeo. Una decisione in netta controtendenza rispetto alle speculazioni degli ultimi anni, che vedevano favoriti cardinali provenienti da Africa o Asia.

                Malachia e il mistero di “Pietro il Romano”

                Ancora più inquietante è la Profezia dei Papi, attribuita a San Malachia, arcivescovo irlandese del XII secolo. Secondo questa antica lista di 112 motti latini, Papa Francesco sarebbe stato il numero 111. Il 112º nome non è un semplice motto, ma una visione apocalittica.

                Durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà Pietro il Romano, che pascerà il gregge tra molte tribolazioni. Quando queste saranno concluse, la città dei sette colli sarà distrutta e il Giudice tremendo giudicherà il suo popolo. Fine.

                Questa descrizione fa tremare molti credenti. Secondo alcuni, il prossimo Papa sarà il pontefice finale, colui che guiderà la Chiesa attraverso le ultime difficoltà prima della sua trasformazione definitiva. O della fine dei tempi. Il nome “Pietro” è particolarmente significativo, poiché nessun papa ha mai voluto adottarlo, per rispetto del primo apostolo. Tuttavia, “romano” potrebbe indicare un pontefice profondamente legato alla tradizione cristiana o un segnale di ritorno alle origini.

                Che significato possiamo dare alla profezia

                L’interpretazione delle profezie rimane aperta. Alcuni studiosi ritengono che Papa Francesco fosse già l’ultimo della lista e che “Pietro il Romano” fosse un titolo simbolico. Altri, invece, credono che il prossimo conclave eleggerà proprio il successore atteso, chiudendo così il ciclo profetico. Nel frattempo, il mondo osserva con attenzione la successione al Vaticano, domandandosi se l’elezione del nuovo pontefice porterà con sé cambiamenti profondi o il compimento di antiche visioni.

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