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Mistero

Che enigma l’elicottero del Faraone: realtà aliena o fantasia?

Il geroglifico di un elicottero in un antico tempio egizio? Mentre il dibattito su questi enigmatici geroglifici continua a infiammare le menti di studiosi e appassionati, la verità rimane nascosta tra le pieghe del tempo. Che si tratti di un semplice errore di interpretazione o di una testimonianza di un contatto con civiltà extraterrestri, il Tempio di Abydos continua a esercitare il suo fascino millenario su coloro che sono affascinati dalle meraviglie e dai misteri dell’antico Egitto.

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    Immaginatevi di passeggiare lungo le antiche mura di un tempio egizio, circondati dal silenzio secolare del deserto. I vostri occhi scrutano l’architrave del tempio, dove antichi geroglifici narrano storie di un’epoca lontana. Eppure, tra quei misteriosi simboli, qualcosa attira la vostra attenzione: un elicottero, un sottomarino e persino un aeroplano scolpiti nella pietra millenaria. Ma cosa fanno questi incredibili oggetti su un tempio con oltre 3.200 anni di storia? Non preoccupatevi, non siete vittime di allucinazioni. Tuttavia, la storia di questi geroglifici è avvolta da un alone di mistero e controversia.

    La scoperta incredibile.

    Situato nel cuore del Tempio di Abydos, in Egitto, il mistero si nasconde tra le antiche iscrizioni che adornano le pareti del tempio. Accanto a simboli tradizionali, come il segno del Sole e i geroglifici che narrano le gesta dei faraoni, si trovano rappresentazioni straordinarie che sembrano provenire da un futuro lontano. Un elicottero, un aeroplano, un sottomarino… e persino un veicolo spaziale, tutti incisi nel calcare con sorprendente precisione. Questi enigmatici simboli hanno scatenato un vero e proprio dibattito tra gli studiosi e gli appassionati di misteri antichi.

    Le teorie avvincenti.

    Alcuni ricercatori e appassionati di ufologia sostengono che questi geroglifici siano la prova di un contatto ancestrale tra l’antico Egitto e civiltà extraterrestri. Secondo queste teorie, gli alieni avrebbero donato la loro avanzata conoscenza tecnologica agli antichi egizi, che avrebbero immortalato questi incredibili mezzi di trasporto nei loro templi e monumenti. Le immagini di elicotteri, aeroplani e sottomarini sarebbero dunque testimonianze di una conoscenza avanzata che va al di là della comprensione umana.

    La verità nascosta.

    Tuttavia, gli archeologi e gli esperti in egittologia dissentono da queste teorie affascinanti. Secondo loro, non si tratta di rappresentazioni di tecnologie future, ma piuttosto di un fenomeno noto come pareidolia. Questa è l’illusione che porta a riconoscere forme familiari in oggetti casuali, come nuvole o macchie sulla parete. Inoltre, l’interpretazione errata dei geroglifici nel corso dei secoli potrebbe aver distorto il loro vero significato, portando a una lettura fantasiosa di queste antiche iscrizioni.

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      Mistero

      Parte la caccia al galeone con un tesoro da 4 miliardi di dollari!

      Indipendentemente dall’esito della ricerca, il fascino e il mistero che circondano la Royal Merchant continueranno a catturare l’immaginazione di persone di tutto il mondo. Che il tesoro venga trovato o meno, la sua storia rimarrà parte integrante del folklore marittimo per sempre.

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        Un’ancora gigantesca, ripescata per caso davanti alle coste della Cornovaglia, ha riportato alla luce una storia leggendaria: quella dell’El Dorado of the Seas, con un tesoro stivato stimato oltre i 4 miliardi di dollari. Ora, parte la caccia per recuperare questo naufragio storico, con la speranza di riportare alla luce una fortuna sommersa per secoli.

        Il naufragio epico

        Nel 1641, la Royal Merchant, ribattezzata El Dorado of the Seas, affondò al largo di Lands End, nell’Inghilterra orientale, mentre tornava dal Messico. A bordo trasportava un carico incredibile: 45 tonnellate d’oro, 400 lingotti d’argento messicano e 500.000 “pezzi da otto”.

        L’ancora ritrovata

        Nel 2019, il peschereccio Spirited Lady tirò su un’ancora enorme, scatenando l’interesse degli esperti che ipotizzano appartenesse alla Royal Merchant. Questo ha dato il via alla nuova ricerca del tesoro secolare.

        La ricerca del tesoro

        La Multibeam Services, una società specializzata nel recupero di carichi marittimi con sede in Cornovaglia, ha pianificato una spedizione per il recupero del relitto. Utilizzeranno tecnologie avanzate come sommergibili telecomandati con sonar e telecamere per coprire un’area di 200 miglia quadrate del Canale della Manica.

        Investimenti e Costi

        La ricerca del tesoro avrà un costo di venti milioni di sterline, ma l’eventuale ritrovamento potrebbe valere miliardi. Multibeam Services assicura di avere il team e la tecnologia necessari per trovare il relitto, con oltre 35 anni di esperienza nel settore.

        La concorrenza

        Tuttavia, Multibeam non è l’unico interessato al tesoro. Altre società e individui potrebbero essere coinvolti nella caccia, poiché 4 miliardi di dollari sono una tentazione irresistibile per molti.

        La tecnologia all’avanguardia

        Multibeam utilizzerà sommergibili senza pilota dotati di sonar e telecamere di ultima generazione per esplorare i fondali marini e individuare il relitto. Questa tecnologia ha dimostrato di essere efficace nel trovare relitti precedenti.

        Le sfide legali

        Ricerche precedenti, come quella condotta dalla Odyssey Marine Exploration nel 2007, si sono scontrate con complicazioni legali riguardanti la proprietà del relitto. Sarà importante affrontare le questioni legali in modo chiaro e trasparente.

        Il ritorno della leggenda

        Il ritrovamento dell’ancora ha riportato alla ribalta una delle storie più leggendarie dei mari. La caccia al tesoro della Royal Merchant promette di essere un’avventura epica e potrebbe cambiare la fortuna di chiunque riesca a trovarla.

        L’attesa

        Mentre la Multibeam Services si prepara per la spedizione, il mondo tiene il fiato sospeso nell’attesa di notizie sul recupero del tesoro. Questo potrebbe essere il naufragio più ricco della storia, con enormi implicazioni finanziarie e storiche.

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          Mistero

          L’incredibile storia di Charles Joughin, il fornaio sopravvissuto al naufragio del Titanic. Sarà vera?

          Nonostante alcune incongruenze, la vicenda di Joughin, il capo panettiere del Titanic, continua a suscitare fascino e curiosità.

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            Chiariamo subito che ci sono alcune incongruenze nella storia di Charles Joughin, capo panettiere a bordo del Titanic, noto non solo per essere sopravvissuto alla tragedia ma per il curioso dettaglio del suo racconto. Joughin dichiarò che per resistere nelle acque gelide dell’Atlantico si sarebbe aiutato con l’alcol. Una storia che, seppur romanzata o alterata dai ricordi del momento, rimane affascinante e ci consegna il ritratto di un uomo comunque resiliente.

            Ma chi era Charles Joughin?

            Nato il 3 agosto 1879 a Birkenhead, Liverpool, mister Joughin era già un uomo esperto nella gestione delle cucine navali quando si arruolò per lavorare sul Titanic. Aveva lavorato come capo panettiere sulla nave gemella del Titanic, l’Olympic, e nel 1911 risultava residente a Elmhurst con la moglie Louise e i due figli piccoli, Agnes e Roland. A bordo del Titanic, Joughin era responsabile di una squadra di 13 panettieri.

            La notte del naufragio? Distribuiva pagnotte e lanciava in acqua le sedie sdraio

            Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912, quando il Titanic colpì l’iceberg alle 23:40, Charles Joughin si trovava nella sua cabina fuori servizio. Resosi conto della gravità dell’incidente, inviò i suoi panettieri a rifornire i passeggeri con 50 pagnotte destinate alle scialuppe di salvataggio. Dopo essersi assicurato che il suo staff fosse al lavoro, Joughin decise di bere un bicchiere di whisky. Più tardi raggiunse il ponte e aiutò donne e bambini a salire sulla scialuppa a lui assegnata, la numero 10, senza però prenderne posto per dare l’esempio. Con le scialuppe già partite e nessuna possibilità di salvezza apparente, Joughin si dedicò a lanciare sedie a sdraio in mare, con la speranza che potessero servire da appiglio per chiunque fosse caduto in acqua. Quando la nave si spezzò in due alle 2:10, fu una delle ultime persone a lasciare il Titanic, restando attaccato al relitto fino all’ultimo istante. Questo lo dice lui.

            Come fece a sopravvivere mister Joughin

            Joughin dichiarò di essere caduto in acqua poco prima che la nave affondasse completamente, sostenendo di non essersi nemmeno bagnato i capelli. Disse di aver nuotato per circa due ore nell’Atlantico gelido, fino a raggiungere una zattera di salvataggio pieghevole, la zattera B. Poiché questa era già sovraccarica, rimase in acqua fino a quando un collega dell’equipaggio, il cuoco Isaac Maynard, lo aiutò a salire a bordo. Successivamente venne tratto in salvo dalla nave Carpathia. Arrivò a New York il 16 aprile 1912, in buone condizioni fisiche, riportando solo un gonfiore ai piedi.

            Le incongruenze del suo mirabolante racconto

            La testimonianza di Joughin, pur avvincente che sia, presenta alcune incongruenze. Vediamo quali. La prima è il tempo di sopravvivenza nelle acque gelide dell’Atlantco. A temperature vicine agli 0°C, il corpo umano può resistere solo per pochi minuti prima che l’ipotermia diventi letale. Le due ore menzionate da Joughin sembrano davvero molto improbabili. Andiamo avanti. La seconda incongruenza è l’effetto dell’alcol. Contrariamente alla convinzione popolare, l’alcol non protegge dal freddo. Essendo un vasodilatatore, accelera la perdita di calore corporeo, aumentando il rischio di ipotermia. È possibile, però, che l’alcol abbia attenuato lo shock psicologico e fisico, dandogli un senso temporaneo di calore e coraggio. Alcuni esperti ipotizzano che Joughin possa non essere stato in acqua per tutto il tempo indicato o che il suo racconto sia stato influenzato dal trauma e dall’impatto emotivo. E fin qui ci siamo.

            La sua testimonianza in un libro sulla tragedia

            Dopo il naufragio, Joughin tornò in Inghilterra e partecipò come testimone all’inchiesta britannica sulla tragedia, che si tenne tra maggio e luglio 1912. Continuò a lavorare come panettiere su navi da crociera e, dopo la Prima Guerra Mondiale, si arruolò nella marina mercantile. Alla fine, si trasferì in New Jersey, negli Stati Uniti, dove visse fino alla sua morte, avvenuta il 9 dicembre 1956 a causa di una polmonite. Joughin lasciò un’impronta indelebile nella storia del Titanic, raccontando un’esperienza di sopravvivenza davvero unica che mescola tenacia, fortuna e tanta leggenda. Cos’ leggendario che la sua testimonianza venne inclusa nel libro A Night to Remember di Walter Lord, che ancora oggi resta una delle opere più autorevoli sulla tragedia.

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              Mistero

              Un milione di dollari per chi decifra la scrittura dell’Indo: la sfida del secolo per linguisti e archeologi

              La scrittura dell’Indo è uno dei più grandi misteri dell’archeologia: oltre quattromila iscrizioni incise su sigilli e ceramiche attendono ancora di essere decifrate. Il primo ministro dello stato indiano del Tamil Nadu lancia la sfida: un milione di dollari a chi riuscirà nell’impresa.

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                Linguisti, crittografi e archeologi di tutto il mondo, è il vostro momento. Il governo del Tamil Nadu, nel sud-est dell’India, ha deciso di mettere sul piatto un milione di dollari per chiunque riesca a decifrare la misteriosa scrittura della civiltà della Valle dell’Indo, una delle più antiche della storia umana.

                L’annuncio è arrivato dal primo ministro Muthuvel Karunanidhi Stalin, che ha reso nota l’iniziativa dopo la pubblicazione di uno studio che suggerisce una possibile connessione tra i segni della scrittura dell’Indo e alcune iscrizioni trovate su ceramiche locali. Se questa ipotesi si rivelasse fondata, potrebbe rappresentare una svolta storica nella comprensione di una delle prime società urbane del pianeta.

                La civiltà della Valle dell’Indo: un mondo scomparso e ancora sconosciuto

                Fiorita circa 5.300 anni fa, la civiltà della Valle dell’Indo – nota anche come civiltà di Harappa – si sviluppò nell’attuale nord-ovest dell’India e in Pakistan. I suoi abitanti erano abili agricoltori e commercianti, costruirono città avanzate con sistemi fognari e strade pianificate, e stabilirono rapporti commerciali con le civiltà mesopotamiche.

                Eppure, nonostante la loro sofisticatezza, la civiltà dell’Indo scomparve improvvisamente, lasciando dietro di sé pochissime tracce e nessuna spiegazione chiara. Non sono state trovate prove di guerre, invasioni o catastrofi naturali, rendendo il loro declino un enigma ancora irrisolto.

                A complicare tutto c’è la loro scrittura: circa 4.000 iscrizioni brevi, incise su piccoli oggetti come sigilli, tavolette e ceramiche, che nessuno è mai riuscito a decifrare.

                Un enigma irrisolto: la scrittura dell’Indo

                La scrittura della civiltà dell’Indo è una delle più grandi sfide della linguistica storica. A differenza dei geroglifici egizi o della scrittura cuneiforme sumera, non esiste una “Stele di Rosetta” che aiuti a stabilire un confronto con lingue già conosciute.

                Le ipotesi sulla sua natura sono molteplici. Alcuni studiosi ritengono che sia una forma arcaica di scrittura Brahmi, antenata degli alfabeti indiani moderni. Altri la collegano a lingue indo-ariane o addirittura al sumero. Ma finora nessuna teoria ha fornito prove definitive.

                L’assenza di testi lunghi e strutturati complica ulteriormente l’analisi: le iscrizioni conosciute sono brevissime, spesso composte da meno di cinque segni, il che rende difficile identificare schemi grammaticali o fonetici.

                La sfida: un milione di dollari per chi troverà la chiave del codice

                Di fronte a un enigma che neppure i più grandi esperti sono riusciti a risolvere, il governo del Tamil Nadu ha deciso di lanciare la sfida definitiva, mettendo in palio l’equivalente di 960.000 euro per chi riuscirà a decifrare la scrittura.

                L’iniziativa arriva in un momento in cui la ricerca sulle origini delle lingue indiane è sempre più al centro del dibattito accademico. L’obiettivo è capire meglio le radici della cultura Tamil e le possibili connessioni con la civiltà dell’Indo, colmando una lacuna storica che dura da millenni.

                Ma la domanda è: qualcuno riuscirà davvero nell’impresa? Finora, neanche l’intelligenza artificiale ha dato risposte convincenti. Nel 2019, un team di ricerca ha provato a usare modelli di machine learning per identificare schemi nei simboli dell’Indo, ma senza risultati definitivi.

                Ora la sfida è aperta a tutti: storici, linguisti, matematici e persino appassionati di enigmistica. Se qualcuno troverà la chiave per sbloccare questo mistero, non solo entrerà nella storia, ma si porterà a casa uno dei premi più alti mai offerti per un’impresa archeologica.

                Qualcuno ha una Stele di Rosetta nascosta in soffitta?

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