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Pesce prete, se lo pestate vi punirà

Fondamentalmente è infido. Si nasconde nella sabbia, non si fa vedere, è assai difficile individuarlo, soprattutto se state passeggiando tranquillamente lungo la battigia. Ma se lo pestate potreste essere punti e avvelenati.
Il pesce prete non fa sconti
No bastavano le meduse e i pesci ragno. No. Quest’anno – ma è sempre esistito – l’attenzione dei bagnanti deve rivolgersi anche alla specie dei pesci prete, chiamato anche lucerna, che stanzia soprattutto a riva, più che in acqua. Questi bizzarri animali dagli occhi grandi che sembrano sbarrati, infatti, si mimetizzano bene nella sabbia. Molto diffusi in tutto il mar Mediterraneo, possiedono due grandi pinne pettorali a forma di pala che gli fanno scavare la sua tana di caccia nella sabbia o nei fondali fangosi, lasciando scoperto solo il muso. E lì che vi stanno aspettando.
Nei loro occhi si annida il pericolo
L’Uranoscopus scaber (dal greco ouranos, cielo, e skopein, guardare, ovvero guardare il cielo), deriva il suo nome dalla particolare tecnica di caccia: a testa in su. Infatti l’infido possiede delle spine diabolicamente inclinate verso l’alto proprio accanto ai suoi occhi. Ed è da quelle spine che rilasciano una sostanza velenosa. Finora non si conoscono tutti gli effetti del bruciore e del prurito che causa il veleno nell’uomo. Ma siamo certi che a fine stagione qualcuno avrà fatto qualche ricerca.
Che fare in caso di puntura
Una volta punti la prima cosa da fare è immergere a lungo la zona colpita in acqua molto calda o nella sabbia bollente. Questo perché le sostanze tossiche iniettate sono termolabili e tendono a dissolversi con il caldo. Il pesce prete appartiene alla famiglia Scorpaenidae, la stessa dove è arruolato il pesce scorpione. Dietro agli occhi ha degli organi elettrici che producono deboli scariche. Ha deciso di cacciare sulla riva a causa della scarsità di prede dovuta al cambiamento climatico.
Fare attenzione anche al pesce ragno
Come se il pesce rete non bastasse un altro pesce che pizzica è il pesce ragno che naturalmente non è parente di quello prete. Si mimetizza nella sabbia e punge le persone con le sue spine dorsali. Anche lui rilascia un veleno che contiene una miscela di più sostanze tossiche di natura proteica la più nota delle quali è la dracotossina, una molecola in grado di distruggere le cellule del sangue.
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Meduse, vipere, ragni violino e zanzare tigre: l’estate avvelenata degli italiani
Meduse in aumento, vipere anche in pianura, zanzare tigre che sembrano immortali e il ritorno del famigerato ragno violino. Il caldo e l’umidità stanno trasformando le vacanze in una corsa alla farmacia più vicina. E non bastano più il doposole e il ghiacciolo per sopravvivere.

Altro che estate da sogno. Quella del 2025 rischia di passare alla storia come la più urticante e velenosa degli ultimi anni. In mare, sulla sabbia o in montagna, il pericolo è ovunque. E se i selfie in costume restano d’obbligo, l’accessorio più richiesto dell’estate è il cortisone.
Partiamo dalle meduse, regine indiscusse delle cronache balneari. Nei mari italiani si segnala una vera e propria “fioritura gelatinosa”: bagnanti punti anche in acque basse, spiagge chiuse temporaneamente e vendite record di creme anti-bruciore. Le specie più diffuse? La Pelagia noctiluca (quella con i tentacoli urticanti) e la Rhizostoma pulmo, meno tossica ma comunque fastidiosa.
Ma non basta. Perché mentre si cerca sollievo in montagna, ecco spuntare le vipere. Sempre più avvistamenti anche sotto i 600 metri, in zone collinari e persino ai margini delle città. In Lombardia, Liguria e Toscana, le segnalazioni si sono moltiplicate. E i pronto soccorso raccomandano attenzione: “Niente fai-da-te, e se possibile, fotografate il rettile prima di scappare”. Auguri.
A completare il quadretto ci pensano le zanzare tigre, ormai più resistenti degli italiani al rientro in ufficio. Alcune regioni hanno già avviato piani straordinari di disinfestazione, ma l’impressione è che le zanzare stiano vincendo 3 a 0. Specie ora che, con l’umidità in aumento, basta un sottovaso o una grondaia ostruita per far nascere un’intera dinastia.
E dulcis in fundo, riecco lui: il famigerato ragno violino, silenzioso, piccolo, marroncino e terribilmente velenoso. I casi di morsi – per fortuna rari – si sono riaffacciati anche quest’estate, soprattutto in Emilia-Romagna, Lazio e sud della Lombardia. Le reazioni variano da piccole necrosi locali a infezioni più serie. L’unica prevenzione? Evitare di infilarsi nei letti d’altri. O negli scantinati polverosi.
In attesa che torni un po’ di respiro – o che almeno si inventino un repellente unico per tutto – i consigli restano quelli di sempre: scarpe chiuse nei boschi, niente tuffi impulsivi in mare, e attenzione alle tende lasciate aperte. Perché quest’anno, sotto l’ombrellone, più che la sabbia, pizzicano le bestie.
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Ma anche i cani si abbronzano? Sì, e a volte si scottano più di noi (ma senza crema 50+)
Sotto il pelo, la pelle dei nostri amici a quattro zampe è molto più sensibile di quanto pensiamo. Esistono razze più soggette alle scottature, zone del corpo esposte e perfino… cani col segno del costume. Ecco cosa sapere per godersi la spiaggia in sicurezza con loro, senza trasformarli in wurstel abbrustoliti.

Lui ti guarda con quegli occhioni, scodinzola, annusa la sabbia e corre verso l’acqua. Tutto perfetto. Ma sei proprio sicuro che il tuo cane stia bene sotto il sole cocente? Perché sì, anche i cani si abbronzano. E se non fai attenzione, si scottano pure.
Sotto quel pelo soffice (o a volte decisamente scarso), c’è una pelle delicata, spesso più vulnerabile della nostra. Alcune razze – come il Dogo argentino, il Bull Terrier, il Boxer, il Chihuahua e tutti i cani a pelo raso o chiaro – sono dei veri bersagli per i raggi UV. Le zone più a rischio? Orecchie, naso, pancia, inguine, interno cosce e tutte quelle aree dove il sole picchia e il pelo non protegge abbastanza.
E no, non è una leggenda urbana: alcuni cani si “colorano” davvero sotto il sole. La pigmentazione cutanea cambia e può scurirsi, un po’ come succede a noi. Certo, non vedrai mai un Labrador con la tintarella da surfista, ma quella leggera sfumatura sul naso chiaro o sulle zampette posteriori? Quella sì, è abbronzatura.
Il problema è che non sempre fa bene. I cani possono sviluppare eritemi solari, dermatiti e persino tumori cutanei, se esposti troppo a lungo e senza protezione. E no, non puoi spalmarli con la tua crema solare: i prodotti per umani contengono ossibenzone e altri ingredienti tossici per loro. Esistono però creme solari specifiche per cani, formulate apposta per la loro pelle. Ti sembrerà strano, ma funzionano davvero.
E l’insolazione? Anche quella è dietro l’angolo, soprattutto se il tuo peloso è nero, piccolo o con il muso schiacciato (ciao Carlini!). Mai lasciarlo al sole nelle ore calde, nemmeno “solo per un attimo”. Il rischio di colpo di calore è concreto, e a volte basta una passeggiata di mezz’ora per finire dal veterinario.
Insomma, al mare con Fido va benissimo. Ma ombrellone, acqua fresca e pause all’ombra sono d’obbligo. E sì, anche lui può avere il segno del costume… ma almeno non dovrai spiegargli cos’è l’aloe vera.
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Leishmaniosi, perché il vaccino è fondamentale per proteggere i cani
Malattia cronica e spesso mortale, la leishmaniosi colpisce sempre più cani anche al Nord. Con l’arrivo del caldo aumenta il rischio. Il vaccino riduce le complicanze, ma va fatto per tempo e accompagnato da altri strumenti di difesa, dai collari ai repellenti.

La leishmaniosi è una malattia infettiva causata da un protozoo, Leishmania infantum, trasmesso ai cani dalla puntura del flebotomo, un piccolo insetto simile a una zanzara ma attivo soprattutto di sera e nelle ore notturne. Non dà prurito né si sente arrivare. Colpisce il sistema immunitario e, se non trattata in tempo, può compromettere fegato, reni, midollo osseo. È una patologia cronica, che non si risolve: si controlla, ma non si guarisce.
Un cane infetto può impiegare mesi prima di manifestare i primi sintomi. Spesso si tratta di segni generici: dimagrimento, apatia, perdita di pelo, croste su orecchie e muso, crescita anomala delle unghie, gonfiore dei linfonodi, insufficienza renale. Nella maggior parte dei casi, quando la diagnosi arriva, il parassita è già presente in tutto l’organismo.
Da anni è disponibile un vaccino che, pur non impedendo del tutto il contagio, riduce in modo significativo la probabilità che il cane sviluppi la malattia. La vaccinazione stimola il sistema immunitario a reagire in maniera più efficace contro il parassita e ne limita la diffusione. Può fare la differenza tra una vita sana e una terapia a lungo termine.
Il protocollo varia a seconda del prodotto utilizzato, ma in genere si inizia con una dose iniziale seguita da richiami annuali. Il periodo ideale per iniziare la vaccinazione è tra febbraio e aprile, in modo che la copertura sia pienamente efficace al momento del picco dell’attività dei flebotomi, tra maggio e ottobre.
La malattia, un tempo diffusa solo al Sud, è oggi presente in maniera endemica in gran parte del territorio italiano, incluse le regioni del Centro e del Nord. Liguria, Toscana, Lazio, Umbria, Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e persino alcune aree del Trentino Alto-Adige segnalano casi ogni anno. Anche i cani che vivono in città non sono esenti dal rischio.
La vaccinazione non sostituisce le misure protettive quotidiane. Serve una strategia combinata. I collari antiparassitari a base di deltametrina o imidacloprid, gli spot-on repellenti, le zanzariere alle finestre e la riduzione delle passeggiate nelle ore serali sono strumenti complementari ma necessari.
Un cane infettato può diventare un serbatoio per la diffusione del parassita. Per questo è fondamentale proteggere l’animale, anche se non si viaggia in zone dichiarate a rischio. Nessuna area può più considerarsi del tutto sicura.
Il vaccino, le precauzioni ambientali e il controllo veterinario periodico restano oggi gli strumenti più efficaci per contenere una malattia che si diffonde silenziosa, ma costante.
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