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Il rifugio dei miracoli, 100.000 animali salvati, la storia straordinaria di Lynea Lattanzio

In California, Lynea ha trasformato la sua casa e la sua intera esistenza in un rifugio per migliaia di gatti. Oggi vive in una roulotte per lasciare spazio ai suoi amici a quattro zampe.

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Lynea Lattanzio

    In un tranquillo angolo della California centrale, lungo le rive del fiume Kings, sorge un luogo che sembra uscito da una fiaba: si chiama The Cat House on the Kings ed è il più grande rifugio no-kill e senza gabbie degli Stati Uniti. Qui, tra alberi, prati e casette di legno, vivono oltre 700 gatti, una manciata di cani, e persino dei pavoni in libertà. Ma tutto è cominciato con una donna e una scatola piena di gattini.

    Lynea Lattanzio, ex consulente immobiliare, decise di cambiare vita dopo un divorzio difficile. Nel 1983 acquistò una grande casa su sei acri di terreno nella cittadina di Parlier, sognando pace e natura. Nove anni dopo, una richiesta del padre – cercare due gatti Manx – la portò a un rifugio dove trovò, invece, 15 cuccioli abbandonati. Li adottò tutti. Da quel momento, non si è più fermata.

    Nel primo anno salvò 96 gatti, nel giro di pochi anni diventò tecnico veterinario, vendette la sua Mercedes d’epoca e l’anello di nozze per far fronte alle spese veterinarie. Nel 2002 arrivò lo status di organizzazione non profit, e nel 2004 il rifugio superava già le 500 presenze feline.

    Grazie a una donazione testamentaria, Lynea poté acquistare altri 6 acri e costruire una recinzione lungo i 12 acri totali della proprietà. Oggi il rifugio comprende una clinica veterinaria, un’area per gatti FIV positivi, reparti di terapia intensiva e quarantena, e si sostiene solo tramite donazioni.

    In 33 anni, The Cat House on the Kings ha salvato oltre 53.800 gatti e quasi 8.000 cani, senza contare i più di 98.000 animali sterilizzati. Non ci sono gabbie, non ci sono abbattimenti. Solo libertà, cure e una dedizione assoluta.

    Lynea oggi vive in una roulotte nel giardino, lasciando l’intera casa ai suoi ospiti a quattro zampe. “Ho trovato la mia missione,” dice, “e non la cambierei per nulla al mondo.”

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      Mondo

      Torna di moda il ciuccio… per adulti: boom in Cina tra sonno, stress e polemiche

      Sempre più adulti in Cina utilizzano ciucci per rilassarsi o dormire meglio. Il prodotto, virale sui social, fa discutere medici ed esperti.

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      ciuccio

        In Cina, il nuovo oggetto del desiderio per molti adulti non è uno smartphone di ultima generazione né un accessorio tecnologico: si tratta di un ciuccio, ma pensato per i grandi. A sorpresa, questo prodotto sta conquistando sempre più utenti, al punto che alcuni negozi online segnalano vendite superiori alle 2.000 unità mensili.

        A renderlo virale è stato un video che ha scatenato un’ondata di commenti: chi li usa sostiene che aiutino a ridurre lo stress, favorire il sonno, combattere l’ansia e persino a smettere di fumare. Il ciuccio per adulti ha una struttura simile a quello per neonati, ma con dimensioni maggiori. Il prezzo varia dai 10 ai 500 yuan (circa 1,40-70 euro), e le varianti cromatiche del supporto soddisfano ogni gusto.

        “Mi rilassa dopo una giornata difficile”, racconta un utente in una recensione. Un altro scrive: “Da quando lo uso, ho meno voglia di fumare”.

        Tuttavia, la comunità medica lancia l’allarme. Zhang Mo, psicologa a Chengdu, avverte: “L’uso del ciuccio può indicare bisogni emotivi non soddisfatti. Meglio affrontare le difficoltà piuttosto che rifugiarsi in comportamenti regressivi”.

        Tang Caomin, dentista della stessa città, evidenzia i possibili danni fisici: “Un uso prolungato può provocare dolori mandibolari, difficoltà nella masticazione e spostamento dei denti. Dopo un anno di utilizzo quotidiano, per più di tre ore al giorno, la dentatura può risultarne compromessa”.

        Un ulteriore rischio, secondo il medico, è che alcune componenti possano essere inalate durante il sonno, con conseguenze potenzialmente gravi.

        Nonostante i pericoli, l’hashtag associato a questi dispositivi ha superato i 60 milioni di visualizzazioni su alcune piattaforme cinesi, dividendo gli utenti tra sostenitori e scettici. “È una follia collettiva”, scrive un commentatore. “Una tassa sulla stupidità”, ironizza un altro.

        Intanto, i ciucci per adulti continuano a vendere. E a quanto pare, succhiare un ciuccio da grandi non è più (solo) un gesto infantile, ma una controversa tendenza da milioni di click.

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          Mondo

          Medvedev gioca con la Mano morta, Trump risponde con due sottomarini: bentornati nella Guerra Fredda

          Dmitry Medvedev tira fuori la Mano morta sovietica come una carta da film horror, e Donald Trump, per non essere da meno, spedisce due sottomarini nucleari verso la Russia. La nuova Guerra Fredda è fatta di like, minacce e scacchiere atomiche.

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            Bastano quattordici parole su Telegram per far rivivere l’incubo nucleare. Dmitry Medvedev, ex presidente russo e oggi vice del Consiglio di Sicurezza, ha premuto invio e il mondo si è ritrovato catapultato agli anni Ottanta. Nel suo post evoca la leggendaria Mano morta, il sistema di rappresaglia automatica sovietico capace di lanciare missili nucleari anche senza un comando umano. Una frase, e la Guerra Fredda torna a battere col suo cuore gelido.

            Donald Trump non poteva ignorarlo. Ha risposto a modo suo, trasformando la diplomazia in un reality. Prima ha scherzato in diretta su Newsmax: «Quando sento la parola “nucleare”, i miei occhi si illuminano». Poi il colpo di teatro: due sottomarini nucleari statunitensi spostati più vicino alle acque russe. «Voglio solo assicurarmi che siano parole, non fatti», ha detto, con quel mezzo sorriso che suona più come una minaccia che come una battuta.

            Dietro al nome da film di zombie, la Mano morta è tutt’altro che fantasia. Nome in codice Perimeter, nasce nel 1985 per assicurare alla Russia la “mutua distruzione garantita”. Monitora radiazioni, vibrazioni sismiche e silenzi sospetti da Mosca: se rileva un attacco nucleare e il comando centrale non risponde, un razzo di comando sorvola la Russia dando l’ordine di lanciare tutto il suo arsenale. Anche se il Cremlino fosse ridotto in polvere, la vendetta partirebbe comunque.

            Per anni è stata un mito da romanzo post-apocalittico, poi la conferma ufficiale del generale Karakaev: «Garantisce la distruzione degli Stati Uniti in 30 minuti». Ogni volta che la Russia la nomina, mezzo mondo sente un brivido sulla schiena. E questa volta Trump ha scelto di rispondere sullo stesso terreno, mescolando arroganza e calcolo politico. L’amico di Putin si è trasformato all’improvviso in un Reagan con smartphone: “Vuoi giocare alla Guerra Fredda? Giochiamo”.

            Il risultato è una scena che sembra scritta a Hollywood: Medvedev che fa la Mano morta a Trump, Trump che muove sottomarini come fossero pedine di poker nucleare. Nessuna diplomazia, solo muscoli e vanità in mondovisione. E il mondo, spettatore obbligato, riscopre che la storia non insegna mai abbastanza: la Guerra Fredda non è mai finita, ha solo cambiato piattaforma.

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              La foto-bomba che sbugiarda Donald Trump: con Epstein, Ghislaine Maxwell e il principe Andrea a Mar-a-Lago

              Donald Trump ha sempre minimizzato i rapporti con Jeffrey Epstein, sostenendo di averlo allontanato da Mar-a-Lago e di non conoscere il principe Andrea. Ma una foto riemersa lo smentisce: il tycoon, la futura moglie Melania, Epstein, Ghislaine Maxwell e il duca di York tutti insieme nella tenuta di Palm Beach. La stessa storia della vittima Virginia Giuffre, morta suicida ad aprile, torna come un’ombra inquietante.

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                Donald Trump ha sempre raccontato la sua versione: Epstein era solo un vecchio conoscente, cacciato da Mar-a-Lago dopo un episodio alla spa. «Non vogliamo che tu rubi il nostro personale», avrebbe detto al finanziere, vantandosene pubblicamente. Eppure, una fotografia scattata il 12 febbraio 2000 lo mette con le spalle al muro.

                Nello scatto, ottenuto da RadarOnline.com, il futuro presidente 53enne sorride accanto a Jeffrey Epstein, 46 anni all’epoca, con la complice Ghislaine Maxwell, il principe Andrea d’Inghilterra e Melania Knauss, allora 29enne. Tutti insieme, allegri, proprio a Mar-a-Lago. Un’immagine che racconta molto più di mille smentite.

                Il problema è duplice. Primo: Trump ha sempre detto di aver interrotto i rapporti con Epstein proprio nel 2000. Secondo: ha negato pubblicamente di conoscere il principe Andrea, oggi in disgrazia per le sue frequentazioni con il giro del finanziere pedofilo. Eppure, eccoli lì, tutti nello stesso salone, a posare come vecchi amici.

                La foto riporta alla mente la storia di Virginia Giuffre, la ragazza che denunciò di essere stata reclutata a 15 anni da Ghislaine Maxwell nella spa di Mar-a-Lago. Era il 2000, lo stesso anno dello scatto. Nei suoi diari, Giuffre raccontava il primo incontro con Epstein: nudo su un lettino da massaggi, pronto a trasformare una proposta di lavoro in un incubo sessuale. Da lì iniziò il suo calvario di abusi e addestramento come “schiava domestica”, sempre sotto il controllo di Maxwell.

                Giuffre ha sempre precisato di non aver mai subito avances da Trump, ma ricordava il tycoon come parte del giro di Epstein. La sua morte per suicidio, il 25 aprile scorso, ha aggiunto una coda tragica e misteriosa alla vicenda.

                E non è tutto. Altri materiali recentemente riemersi confermano la presenza di Epstein al matrimonio di Trump con Marla Maples nel 1993 e mostrano i due uomini ridere insieme a una sfilata di Victoria’s Secret nel 1999. Trump, in campagna elettorale, aveva promesso di rendere pubblici tutti i dossier Epstein. Tornato alla Casa Bianca, la promessa è rimasta lettera morta.

                Oggi, quell’immagine di gruppo a Mar-a-Lago rischia di fare più rumore di qualsiasi teoria del complotto. Perché i sorrisi immortalati raccontano legami che nessuna smentita potrà cancellare. E la sensazione, per l’America, è che il fantasma di Epstein stia tornando a bussare alla porta del presidente.

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