Mondo
Tecnologia esplosiva: come il Mossad ha trasformato i dispositivi di Hezbollah in ordigni
Attraverso una rete di società fittizie e tecnologie modificate, il Mossad ha consegnato a Hezbollah cercapersone e radio manipolati, capaci di esplodere a distanza e colpire dall’interno. Un’operazione che ha sorpreso i militanti e che ora solleva nuovi interrogativi su possibili altre trappole tecnologiche.
Un piano tanto sofisticato quanto micidiale: il Mossad ha creato dispositivi di comunicazione che, a comando, possono trasformarsi in letali ordigni esplosivi. I dettagli dell’operazione emergono da un’indagine internazionale, svelando come l’intelligence israeliana abbia manipolato cercapersone e radio usati da Hezbollah, trasformandoli in vere e proprie bombe pronte a detonare a distanza.
Il piano del Mossad: una rete di società fantasma
Per portare a termine questa operazione, il Mossad ha utilizzato un intricato sistema di società fittizie, create ad hoc per ingannare la milizia libanese. Tutto è cominciato quando Hezbollah, preoccupata dalle capacità di intercettazione israeliane, ha ordinato ai suoi membri di abbandonare i telefoni cellulari a favore di cercapersone e radio ricetrasmittenti. L’obiettivo era quello di proteggere le comunicazioni interne e garantire maggiore sicurezza alle proprie operazioni.
L’acquisto dei cercapersone è stato affidato a un commerciante di fiducia che, attraverso una serie di intermediari, è giunto alla BAC di Budapest. Da lì, i dispositivi sono stati forniti da una società con sede in Bulgaria, la Norta Global, che li ha inviati a Hezbollah. Ma la vera mossa del Mossad è avvenuta prima della spedizione: i cercapersone sono stati manipolati per diventare bombe a distanza. Ogni dispositivo poteva essere fatto esplodere con un segnale specifico, innescando il detonatore nascosto al suo interno.
Radio esplosive: le vittime del piano israeliano
Ma non è finita qui. L’operazione ha coinvolto anche le ricetrasmittenti utilizzate dai militanti sul campo. Le radio giapponesi IC-V82, normalmente usate per le comunicazioni tattiche, erano state anch’esse trasformate in ordigni esplosivi. Quando i militanti hanno cominciato a utilizzarle, diverse esplosioni sono avvenute in simultanea in tutto il Libano, provocando decine di vittime e gettando nel caos le comunicazioni della milizia.
La capacità del Mossad di alterare questi dispositivi in modo così sofisticato rappresenta un salto tecnologico nell’ambito delle operazioni di sabotaggio. Non si tratta di semplici difetti o malfunzionamenti: ogni radio e cercapersone era stato preparato per esplodere a comando, dimostrando un livello di precisione e preparazione che ha preso alla sprovvista gli stessi vertici di Hezbollah.
E adesso? La paura di nuove esplosioni
La domanda che ora aleggia tra i militanti di Hezbollah e non solo è: quali altri dispositivi sono stati trasformati in armi? Se cercapersone e radio possono essere innescati a distanza, cosa dire di computer, tablet o altri strumenti di comunicazione utilizzati dalla milizia?
Le nuove tecnologie possono diventare un’arma a doppio taglio e, come questa operazione dimostra, il Mossad è disposto a sfruttare ogni breccia per colpire i suoi nemici dall’interno. Con ogni probabilità, nuove verifiche saranno effettuate sui dispositivi in uso a Hezbollah, nella speranza di evitare ulteriori perdite. Ma la lezione è chiara: la tecnologia, nelle mani giuste, può diventare un’arma letale e invisibile.
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Mondo
Julian Assange: “Colpevole di giornalismo, non di crimini”. l fondatore di WikiLeaks parla dopo la scarcerazione
Dopo oltre un decennio di battaglie legali e detenzione, Julian Assange racconta la sua esperienza a Strasburgo: la prigione, la libertà conquistata a caro prezzo e la sua ferma difesa del giornalismo come strumento essenziale per la democrazia.
Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, è tornato a parlare in pubblico dopo la sua scarcerazione lo scorso giugno, avvenuta grazie a un patteggiamento con il Dipartimento di giustizia americano. Nel suo discorso al Consiglio d’Europa, a Strasburgo, Assange ha fatto una dichiarazione potente: “Alla fine ho scelto la libertà, piuttosto che una giustizia irrealizzabile”. Visibilmente provato, ha descritto i lunghi anni di detenzione a Belmarsh, una prigione di massima sicurezza a Londra, come un’esperienza che ha segnato profondamente la sua salute fisica e psicologica.
Assange ha spiegato che non è libero oggi grazie al sistema giudiziario, ma perché si è dichiarato “colpevole di giornalismo”. “Mi sono dichiarato colpevole di aver cercato informazioni, di averle ottenute e di averle rese pubbliche”, ha affermato, sottolineando come il suo lavoro fosse semplicemente giornalismo investigativo, un’attività che considera fondamentale per la democrazia.
Accompagnato dalla moglie Stella e dal direttore di WikiLeaks, Kristinn Hrafnsson, Assange ha criticato duramente il sistema giudiziario americano e ha svelato che l’accordo di estradizione gli ha impedito di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti Umani. “La giustizia per me è ormai esclusa”, ha dichiarato, ribadendo che la sua lotta era volta a informare l’opinione pubblica su verità scomode, come quelle sui crimini di guerra in Afghanistan e Iraq.
Nel suo intervento, Assange ha voluto ricordare al mondo che il giornalismo investigativo è essenziale per una società libera. Ha voluto far capire che, nonostante la sua scarcerazione, le battaglie legali e politiche non sono finite.
Mondo
Taylor Swift e Kamala Harris: l’endorsement mobilita la generazione Z, ma non sposta i voti
Mentre la maggior parte degli elettori non sembra influenzata direttamente dall’appoggio di Swift, l’aumento delle registrazioni per votare dimostra che la sua capacità di mobilitazione, soprattutto tra i giovani, è determinante.
Il sostegno di Taylor Swift alla vicepresidente Kamala Harris nelle elezioni presidenziali del 2024 ha fatto scalpore, ma la sua reale influenza sui voti sembra avere un peso minore di quanto ci si aspetti. Secondo sondaggi e analisi di esperti del Newsweek, l’appoggio della cantante non porterà direttamente a un aumento di voti per Harris, ma potrebbe avere un impatto sostanziale sull’affluenza alle urne, soprattutto tra i giovani elettori, come già successo in precedenza.
Nel suo messaggio, Swift ha esortato i suoi milioni di fan a registrarsi per votare tramite il sito Vote.gov. Nei giorni successivi al suo post, si è verificato un aumento del 585% nelle registrazioni e verifiche del proprio stato di voto, con oltre 400.000 click registrati nelle prime 24 ore.
Gli esperti, però, sono cauti nel prevedere un impatto diretto sul sostegno a Harris. Un sondaggio condotto dalla Quinnipiac University tra il 19 e il 22 settembre mostra che il 76% degli intervistati afferma di non essere influenzato dall’endorsement di Swift, mentre il 9% si dichiara più entusiasta della candidatura e il 13% meno entusiasta.
La potenza dell’appello di Swift: non solo voti, ma affluenza
Dafydd Townley, docente di politica americana, sottolinea che la maggior parte dei fan di Swift probabilmente avrebbe votato per Harris anche senza il suo intervento. Tuttavia, la popstar ha dimostrato di avere un grande potere nel mobilitare gli elettori e nell’incentivare la registrazione di nuove persone, soprattutto tra i giovani. La generazione Z, in particolare, potrebbe giocare un ruolo chiave nelle prossime elezioni, e Swift è una figura di riferimento per questo gruppo demografico.
Un esempio che fa storia
Non è la prima volta che Swift si impegna politicamente. Già nel 2018, la cantante aveva mobilitato migliaia di persone a registrarsi per le elezioni di metà mandato, con un impatto immediato sulle registrazioni. Anche nel 2023, un suo post su Instagram ha portato a 35.000 nuove registrazioni, dimostrando il suo potere di influenzare l’affluenza tra i più giovani.
Mondo
Vaccini, Boris Johnson e l’invasione fantasma: “Volevo attaccare l’Olanda per riprendermi le dosi”
“Dopo mesi di negoziati inutili, l’Ue ci trattava con dispetto”: così Johnson giustifica l’idea estrema di intervenire militarmente in un paese alleato
Londra – Un’operazione militare in Olanda per recuperare le dosi di vaccino anti-Covid “prese in ostaggio” dall’Unione europea con “malizia e dispetto”. Questo è uno dei passaggi più sorprendenti della nuova autobiografia di Boris Johnson, intitolata Unleashed – letteralmente, “sguinzagliato” – in uscita il 10 ottobre nel Regno Unito. L’ex primo ministro britannico ha svelato retroscena mai rivelati prima sui suoi anni al potere, incluso un possibile raid militare durante la pandemia per recuperare vaccini bloccati in territorio olandese.
Secondo quanto riportato in un’anteprima pubblicata dal Daily Mail, Johnson ha raccontato di una riunione segreta nel marzo 2021 a Downing Street, in cui le forze armate britanniche studiarono la fattibilità di un’operazione in Olanda. L’obiettivo? Recuperare cinque milioni di dosi di AstraZeneca custodite nello stabilimento Halix di Leiden, bloccate dall’Ue e impossibili da esportare in Gran Bretagna.
Johnson descrive la scena nei minimi dettagli: “Il generale Doug Chalmers, vice capo di stato maggiore della Difesa, spiegò che un intervento era possibile: avremmo potuto inviare una squadra su un aereo civile e un’altra su gommoni militari”. Ma l’ex premier ricorda di essersi trattenuto: “Sapevo che era una pazzia, ma ero disperato. Fintanto che la gente del mio paese continuava a morire di Covid, credevo fosse mio dovere mettere le mani su quelle dosi e usarle per salvare vite nel Regno Unito”.
L’assalto mai avvenuto
L’operazione, fortunatamente mai realizzata, avrebbe potuto creare un grave incidente diplomatico, dal momento che l’Olanda è un paese membro della Nato, alleato della Gran Bretagna. Tuttavia, l’insistenza di Johnson sul fatto che l’Ue stesse trattenendo le dosi “con dispetto” per punire il Regno Unito, reo di aver lasciato l’Unione con la Brexit, lo spinse a considerare l’intervento.
In quel periodo, ricorda Johnson, il Regno Unito stava vaccinando a ritmi record, grazie proprio al vaccino AstraZeneca, sviluppato con fondi governativi britannici. Dopo due mesi di “futili negoziazioni” con Bruxelles, l’ex premier arrivò alla conclusione che l’Ue stava volutamente sabotando il successo del Regno Unito. “Potevo vedere lo stabilimento su Google Earth, sembrava facile da svaligiare”, scherza Johnson nella sua autobiografia.
Critiche alla retorica bellica
Le rivelazioni di Johnson hanno subito scatenato critiche, anche da parte di testate tradizionalmente vicine ai conservatori. The Spectator, ad esempio, ha messo in dubbio la lucidità dell’ex premier, sottolineando come già nel marzo 2021 fosse evidente che il vaccino AstraZeneca presentava dei limiti, e che un leader più saggio avrebbe evitato azioni sconsiderate. “Era così inebriato dal successo del vaccino post-Brexit – scrive il giornalista Ross Clarke – che la sua capacità di giudizio ne risultò compromessa”.
“Grazie alla Brexit abbiamo vinto la corsa al vaccino”
Nell’autobiografia, Johnson non mostra alcun segno di ripensamento: anzi, rivendica il successo della Gran Bretagna nella corsa al vaccino, che attribuisce interamente alla Brexit. “È grazie alla Brexit e a Kate Bingham, che guidò l’operazione vaccini, se siamo stati i primi a vaccinare la nostra popolazione. Avevo ragione quando, su un muro di Notting Hill, lessi la scritta ‘la Brexit salva vite'”, afferma con orgoglio l’ex primo ministro.
Lo stile diretto e spesso provocatorio di Johnson emerge in diversi passaggi del libro. Parlando della sua predecessora Theresa May, scrive di aver sempre apprezzato “l’arroganza da maestra” e il modo in cui alzava gli occhi al cielo ogni volta che lui le diceva “qualcosa di scandaloso”. Inoltre, Johnson rivela di essere stato incaricato di parlare con il principe Harry per convincerlo a non trasferirsi in California, un episodio che Buckingham Palace ha prontamente smentito.
In ogni caso, Unleashed promette di essere una lettura esplosiva che riporterà Johnson al centro del dibattito politico e mediatico britannico, proprio come ai tempi del suo governo.
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