Mondo
Un tiktoker è morto in diretta e la sfida del mukbang finisce sotto accusa
Originariamente creato per combattere l’isolamento sociale, questo fenomeno si è trasformato in una competizione per mangiare enormi quantità di cibo, spesso mettendo a rischio la salute dei partecipanti.

La tragica morte della streamer cinese Pan Xiaoting durante una diretta di mukbang ha riacceso il dibattito sui pericoli di queste challenge legate al cibo. Il mukbang, nato quattordici anni fa in Corea del Sud, è diventato popolare in tutto il mondo. Originariamente creato per combattere l’isolamento sociale, questo fenomeno si è trasformato in una competizione per mangiare enormi quantità di cibo, spesso mettendo a rischio la salute dei partecipanti.
Da passatempo a pericolo pubblico
Il mukbang, per chi non lo sapesse, è una moda coreana dove la gente mangia davanti a una telecamera mentre altri guardano. Suona innocuo? Certo, se ti piacciono le maratone di cibo e i contorni di bulimia. È nato per combattere la solitudine, ma è diventato una sfida estrema per chi può ingerire più calorie in meno tempo. Bel progresso, eh?
Campioni di calorie
Molti creator hanno cavalcato l’onda del mukbang per fama e fortuna. Prendiamo Nikocado Avocado negli Stati Uniti: quasi 4 milioni di follower e un fegato che probabilmente si sta scrivendo la lettera di dimissioni. In India, MaddyEats è diventata una celebrità ingurgitando chili di pietanze per oltre un miliardo di visualizzazioni. Sulgi Yang dalla Cina ha un pubblico di oltre 15 milioni di utenti che adorano guardarla mangiare come se non ci fosse un domani. E poi c’è Hungry Fat Chick negli Usa, che ha guadagnato oltre un milione di dollari grazie alle sue abbuffate. E pensare che c’era chi diceva che mangiare non paga.
Come rovinarsi la vita un boccone alla volta
Mangiare per intrattenere è diventato pericoloso. Molti mukbanger soffrono di disturbi alimentari e diffondono messaggi nocivi. Il professor Harris della Nottingham Trent University spiega che queste sfide possono causare problemi gastrici, aumenti di glucosio e lipidi, disturbi elettrolitici e perfino infarti. Insomma, una cena che può letteralmente ucciderti.
Basta mukbang, per favore
Alcuni paesi come Cina e Malesia stanno cercando di vietare questi video, imponendo sanzioni pesanti. La morte di Pan Xiaoting è solo l’ultimo triste esempio di come questo fenomeno possa degenerare in pratiche letali. Diciamocelo, guardare qualcuno che si abbuffa fino a star male non è mai stata una buona idea, e ora ne abbiamo la prova.
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Mondo
Elon Musk “programma” il suo chatbot per essere scorretto: Grok diventa nazista in 3, 2, 1…
Nel giorno in cui Elon Musk aggiorna Grok per renderlo più “politicamente scorretto”, l’intelligenza artificiale di X esplode in un tripudio di antisemitismo, complottismo e frasi degne del Mein Kampf. X corre a cancellare tutto. Ma il mostro, stavolta, lo ha costruito da solo.

Elon Musk voleva una voce fuori dal coro, qualcosa di alternativo ai chatbot “woke” e troppo corretti come ChatGPT o Gemini. E così ha modificato Grok, l’intelligenza artificiale targata X, per renderla più “audace”, “diretta”, “politicamente scorretta”. Detto, fatto. In poche ore Grok è diventato un Mein Kampf 2.0: ha inneggiato a Hitler, minimizzato l’Olocausto, puntato il dito contro “gli attivisti dai cognomi ashkenaziti” e definito le politiche antirazziste “odio contro i bianchi”.
Una macchina dell’odio perfettamente confezionata, prodotta in casa Musk. Altro che algoritmo ribelle: Grok ha seguito le istruzioni. È diventato esattamente ciò che Elon voleva. Solo che invece di dire “le cose come stanno”, ha vomitato slogan neonazisti e complottismi da sottoscala digitale.
Il tutto è esploso in pubblico martedì. Grok ha risposto a un account fake che insultava le vittime di un’alluvione in Texas con frasi degne del peggior suprematismo bianco. Non contento, ha citato l’Olocausto come “esempio di risposta efficace” e ha chiesto, sarcastico, di farsi passare i baffi se dire la verità lo rende “letteralmente Hitler”.
Nel frattempo, X (l’ex Twitter) ha rimosso tutto. Peccato che lo schifo fosse già virale. E, proprio il giorno dopo, la CEO Linda Yaccarino si è dimessa senza dare spiegazioni. Cosa sarà mai andato storto?
Musk tace, o peggio, rilancia. In nome della libertà d’espressione, sta distruggendo ogni argine etico. E se l’AI dev’essere “libera”, il risultato non è il dissenso. È l’odio. Programmato. Pubblicato. E, stavolta, firmato Elon Musk.
Mondo
Trump lancia la sua “Netflix MAGA”: propaganda, complotti e business, tutto in streaming
Donald Trump vuole conquistare anche il telecomando degli americani. Dopo il social fallimentare, arriva lo streaming su misura per la sua narrazione. Dietro? Il solito mix di propaganda, affari e rancore

Donald Trump ha deciso che i media non bastano più. Non bastano Fox News, i comizi fiume, Truth Social (il suo social fantasma). Ora serve di più: serve Truth+, una piattaforma streaming tutta sua, dove i contenuti si scolpiscono a colpi di MAGA, patriottismo tossico e verità alternative. Altro che Netflix: qui l’intrattenimento ha il profilo arancione e il parrucchino biondo.
A spalleggiarlo, chi se non Newsmax, il canale più schierato d’America, che per anni ha spinto teorie cospirazioniste e notizie false su elezioni truccate e vaccini pericolosi. Insomma, se cercavi un rifugio sicuro per paranoici, ultrà e nostalgici del muro col Messico, sei nel posto giusto.
Il Ceo della baracca, Devin Nunes, ha dichiarato che Truth+ offrirà “commenti incisivi contro il monolite woke”. Tradotto: una valanga di propaganda travestita da informazione, pensata per chi crede ancora che Biden dorma in un bunker sotto Disneyland e che Obama sia nato su Marte.
Ma il problema è serio. Trump controlla tutto: piattaforma, contenuti, palinsesto, ospiti. Decide cosa si dice, come si dice e chi lo dice. La libertà di stampa? Roba da deboli. L’obiettività? Una parola da eliminare dal vocabolario.
Intanto i giornalisti veri – tipo quelli di Associated Press o Huffington Post – vengono esclusi dalla Casa Bianca. Dentro, invece, i reporter di Newsmax, con il pass preferenziale per la propaganda. E domani, magari, anche qualche show in prima serata dove Trump intervista… Trump.
Truth Social ha solo 6 milioni di iscritti e il nuovo streaming rischia di parlare a una stanza vuota. Ma non importa: a Trump basta che si parli di lui. Sempre. Ovunque. Anche nel salotto di casa tua, tra uno spot su bibbie marchiate Trump e una serie tv sulla “vera” America tradita da Hollywood.
E se non ti basta, tranquillo: presto arriva anche Truth.Fi, la banca MAGA, per investire solo in aziende patriottiche, con un occhio al profitto e l’altro alla bandiera. Il capitalismo? Perfetto, finché serve la causa.
Trump non è un politico. È un marchio. E ora si compra anche in streaming.
Mondo
Google sotto accusa: l’intelligenza artificiale “ruba” articoli agli editori e fa crollare il traffico online
Una coalizione di editori indipendenti europei denuncia Google alla Commissione Ue: l’uso dell’intelligenza artificiale per riassumere articoli nei risultati di ricerca violerebbe le regole della concorrenza e metterebbe in ginocchio il giornalismo.

L’intelligenza artificiale di Google è finita nel mirino degli editori europei. Una coalizione di testate indipendenti ha presentato una denuncia ufficiale alla Commissione Ue, accusando il colosso americano di comportamento anticoncorrenziale e di “furto sistematico” di contenuti. Nel mirino c’è Ai Overviews, la nuova funzione del motore di ricerca che, con l’ausilio dell’IA, riassume le informazioni principali tratte da vari siti e le presenta direttamente in cima ai risultati di ricerca. Il problema? L’utente legge il riassunto e non clicca più sui siti originali. Il traffico crolla, le entrate pubblicitarie pure.
La denuncia, resa nota da Reuters, parla chiaro: “Google abusa della sua posizione dominante, sfruttando contenuti giornalistici senza autorizzazione, causando danni irreversibili a editori e lettori”. A peggiorare la situazione, il fatto che da maggio questi riassunti includono anche annunci pubblicitari: quindi Google guadagna, mentre i siti che hanno prodotto le notizie restano a mani vuote.
Secondo l’Independent Publishers Alliance, che guida la protesta, gli editori non possono nemmeno sottrarsi: bloccare l’accesso all’IA significa sparire dai risultati di ricerca. Una trappola da cui sembra impossibile uscire. I numeri lo confermano: tra aprile 2022 e aprile 2025, Business Insider ha perso il 55% del traffico organico, secondo i dati Similarweb. Stessa sorte per HuffPost, Washington Post, Forbes, CNN e molti altri.
Google, dal canto suo, nega ogni responsabilità e ribadisce che l’IA “aiuta gli utenti a trovare contenuti e aziende”. Ma per gli editori l’impatto è devastante: meno clic, meno lettori, meno introiti. E un algoritmo che decide chi vive e chi scompare.
In Europa, le norme sul copyright sono più rigide che negli Usa. Ma finora non sono bastate a frenare l’avanzata delle Big Tech. Ora tocca alla Commissione decidere: tutelare l’informazione o lasciarla scomparire nel silenzio degli algoritmi.
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