Cronaca
Nessuno sa, tutti ipotizzano: il mistero della fumata ritardataria
Il primo giorno di Conclave si chiude con la classica fumata nera. Ma stavolta il fumo è arrivato molto dopo l’orario previsto, scatenando sospetti, ironie e supposizioni: cosa è successo nelle viscere della Cappella Sistina? E perché l’attesa si è fatta così lunga da trasformarsi in suspense liturgica?
Tre ore. Tanto è passato da quell’«Extra Omnes» pronunciato poco dopo le 17,30, quando l’ultimo non-cardinale è stato gentilmente accompagnato fuori dalla Sistina e si sono chiuse le porte. Da lì, tutto secondo copione. O quasi. Alle 19 era attesa la prima fumata, quella che in genere è nera, rituale, una sorta di “prova generale” con gli abiti buoni. Ma stavolta no. Alle 19, niente. Alle 19.30, nulla. Alle 20, solo qualche luce flebile oltre i vetri, e i più ottimisti a leggere i riflessi sulle vesti dei gendarmi. Poi, alle 21 spaccate, quando ormai i turisti avevano smesso di scrutare il camino e iniziato a guardarsi attorno chiedendosi se c’erano pizzerie ancora aperte, ecco finalmente il fumo. Nero, ovviamente. Ma a quel punto, la domanda non era più “chi sarà Papa?”, bensì: “che diamine è successo là dentro?”
Nel perfetto stile di un’istituzione che ha fatto del segreto un sacramento e del silenzio una forma d’arte, non è trapelato nulla. Nessun “sussurro dalla Sistina”, nessuna talpa diplomatica, neanche un lapsus da parte di qualche monsignore troppo loquace. Ma se nessuno sa, tutti – ovviamente – ipotizzano. A cominciare dai vaticanisti, che da ore armeggiano tra taccuini, rosari e congetture.
La teoria più accreditata è quella della doppia votazione. Sì, perché se si vota e non si arriva alla maggioranza (86 voti su 128), si può votare di nuovo senza attendere il giorno dopo. E secondo molti cronisti ben informati, nella prima votazione un nome avrebbe sfiorato la soglia fatidica. Forse Parolin, forse Zuppi, o un outsider risalito all’ultimo come spesso accade. Mancavano una manciata di voti – dieci, forse meno – e i cardinali hanno deciso di battere il ferro finché era caldo, provando a consolidare il consenso. Tentativo fallito, a quanto pare. Da lì la seconda votazione e poi, solo dopo l’inevitabile fumata nera.
Un’ipotesi che non ha nulla di scandaloso, anzi: è già accaduto in passato, e fa parte della dinamica del Conclave. Ma stavolta il ritardo ha scatenato una vera sarabanda di immaginazione collettiva. I più ironici hanno suggerito che si fosse inceppato il camino: «Magari hanno finito l’accendino», scherza qualcuno su Twitter. Altri hanno tirato in ballo il malfunzionamento del fumogeno: “Sapete, da quando hanno digitalizzato tutto, anche il camino va a software”. Per non parlare dell’ipotesi più morettiana: come in Habemus Papam, il Papa sarebbe già stato eletto… ma poi avrebbe rifiutato. E si sarebbe perso tempo a cercare di convincere il cardinale riluttante. Senza successo. Fantapolitica? Certamente sì.
L’altra possibilità, meno spettacolare ma plausibile, è che la meditazione iniziale proposta dal predicatore del Papa, padre Raniero Cantalamessa, sia stata particolarmente lunga. Non sarebbe la prima volta che le parole del cappuccino – noto per la profondità teologica e l’amore per i tempi distesi – si dilungano oltre i limiti del timer. Qualcuno ha suggerito, con garbo, che il cognome “Cantalamessa” sia una garanzia: se canta, messa sarà lunga.
Qualunque sia la verità, probabilmente non la sapremo mai. Il Conclave è, per definizione, un evento blindato. I cardinali elettori sono tenuti al silenzio assoluto, le comunicazioni esterne sono vietate e le sanzioni canoniche sono tra le più severe. Nessun microfono, nessuna fuga di notizie, nessun selfie dal conclave (almeno per ora). Il che, se da un lato garantisce la serietà del processo, dall’altro alimenta il fascino misterioso di questo rito antico.
Nel frattempo, fuori dal Vaticano, si osserva. I turisti affollano Piazza San Pietro sperando nella prossima fumata; i giornalisti si alternano nelle dirette, ciascuno con il suo parco di esperti e di “probabili papabili”; e l’opinione pubblica, tra serietà e leggerezza, segue con curiosità questo esercizio teologico di diplomazia e votazione.
Il nome di Pietro Parolin resta tra i favoriti: profilo basso, esperienza internazionale, fedeltà a Bergoglio ma capacità di dialogo con tutte le anime della Chiesa. Ma nulla è scontato. Nel 2005, tutti dicevano Ratzinger ed è arrivato Ratzinger. Nel 2013, nessuno diceva Bergoglio ed è arrivato Bergoglio. Stavolta? Il Conclave ha appena cominciato, e la partita è più aperta che mai.
Dunque, domani si riprende. Due votazioni al mattino, due al pomeriggio. Sempre che non intervenga qualche nuovo colpo di scena, una meditazione monastica o un altro “problema tecnico” al camino. Del resto, come scrisse Manzoni: “Ai posteri l’ardua sentenza”. O forse, al prossimo giro di schede.
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Cronaca Nera
Doppia curva, nelle motivazioni spunta il “progetto economico” tra Luca Lucci e Fedez: cosa scrive la giudice
Non è una trama da serie tv, ma un passaggio nero su bianco nelle motivazioni della sentenza sul caso “doppia curva”. La gup di Milano Rossana Mongiardo descrive un sistema di affari, violenze e collegamenti: tra “progetti economici”, bodyguard e la vicenda Iovino, con i distinguo sulle posizioni giudiziarie.
A volte basta una riga in una motivazione per far esplodere una storia fuori dal tribunale, dritta nella conversazione pubblica. Nel caso “doppia curva”, la gup di Milano Rossana Mongiardo mette in fila un quadro che non parla solo di tifo organizzato, ma di “strategie” del gruppo ultrà, business e una “inquietante vocazione all’aggressione”. E in quel quadro compaiono anche nomi che con lo stadio, almeno in apparenza, c’entrano poco: Fedez, Emis Killa, Cristian Rosiello, Cristiano Iovino.
Dalle curve allo showbusiness: il “progetto economico”
Secondo quanto riportato nelle motivazioni, tra l’ormai ex capo della Curva Sud milanista, Luca Lucci, e il rapper Fedez ci sarebbe stato un “legame” legato a un “progetto economico”, descritto come parte di una strategia del gruppo. Nello stesso contesto si parla di collegamenti con “persone del mondo dello spettacolo”, anche attraverso servizi da guardia del corpo offerti a personaggi noti.
Il nodo Iovino e il ruolo dell’ex bodyguard
La giudice cita anche la vicenda, contenuta nelle imputazioni, della “spedizione punitiva” e del pestaggio del 22 aprile 2024 ai danni del personal trainer Cristiano Iovino, a cui “partecipavano” Fedez e Cristian Rosiello, ultrà rossonero indicato “in veste di suo bodyguard”. Fedez, viene ricordato, non è indagato nell’inchiesta “doppia curva” e ha ottenuto l’archiviazione nel procedimento per rissa. In aula, inoltre, Lucci avrebbe riconosciuto di intrattenere affari con Fedez anche in relazione alla discoteca Old Fashion di Milano e di aver favorito una soluzione transattiva sull’episodio Iovino, che non denunciò.
Barberie, affari e infiltrazioni: la cornice più ampia
Nel racconto delle motivazioni, il “prestigio” conquistato con la violenza da Lucci, detto “Il Toro”, avrebbe potuto favorire gli affari suoi e del gruppo. Tra i tasselli compare anche la catena di barberia Italian Ink: uno dei negozi, viene riportato, era gestito da Emiliano Giambelli, in arte Emis Killa, indicato come indagato in un filone ancora aperto. Sullo sfondo, nelle quasi 300 pagine citate, c’è il capitolo più pesante: le “infiltrazioni della ’ndrangheta” nel tifo organizzato, visto come terreno fertile per produrre introiti, con business che vanno dal bagarinaggio ai parcheggi, fino a merchandising e altre attività.
Il risultato è un mosaico in cui i confini tra curva, affari e notorietà vengono descritti come molto più porosi di quanto piaccia pensare. E, una volta che i nomi finiscono su carta, smettono di essere solo chiacchiera da bar: diventano materia da leggere riga per riga.
Cose dell'altro mondo
Un erede maschio cercasi: Sir Benjamin Slade, due castelli e una figlia che “non va bene” per la discendenza
Sir Benjamin Julian Alfred Slade, proprietario terriero e aristocratico inglese, torna a far parlare di sé per una posizione che divide. Ha già una figlia, Violet, avuta con l’ex moglie Sahara Sunday Spain tramite fecondazione in vitro, ma per lui non è l’erede giusto. La ricerca di una moglie “adatta” continua.
Nel Regno Unito c’è chi difende le tradizioni con discrezione e chi, come Sir Benjamin Julian Alfred Slade, le sventola senza troppi filtri. Aristocratico eccentrico e proprietario terriero, Slade è noto per una missione personale che va avanti da anni: trovare una moglie che possa dargli un erede maschio a cui lasciare il suo patrimonio, che comprende anche due castelli.
Una ricerca che, finora, non ha dato i risultati sperati. E che continua a far discutere.
Due castelli e un’eredità “da sistemare”
Sir Benjamin Slade possiede vasti terreni e immobili storici, un patrimonio che per lui ha un destino preciso: passare a un figlio maschio. Non una preferenza romantica, ma una convinzione dichiarata, legata all’idea di continuità dinastica.
È per questo che, nonostante l’età e le numerose attenzioni mediatiche, Slade continua a presentarsi come scapolo in cerca della moglie “giusta”. Non per compagnia, almeno non solo, ma per garantire una discendenza che rispetti il suo schema.
La figlia Violet e l’ex moglie scrittrice
In realtà, Sir Benjamin non è senza figli. Dalla relazione con l’ex moglie, la scrittrice statunitense Sahara Sunday Spain, è nata Violet. La bambina è venuta al mondo grazie alla fecondazione in vitro, dettaglio che Slade non ha mai nascosto.
Il punto, però, è che Violet è una femmina. E secondo l’aristocratico questo non è sufficiente per assicurare il futuro dei suoi possedimenti. Una posizione che ha sollevato critiche e perplessità, soprattutto per il modo diretto con cui viene espressa.
Una visione che divide
L’idea che una figlia “non vada bene” per la discendenza appare fuori dal tempo, ma Slade non sembra interessato a rivedere le sue convinzioni. Anzi, le ribadisce con una franchezza che lo ha reso un personaggio discusso, spesso al centro di articoli e dibattiti.
Non si tratta di una polemica episodica, ma di una linea di pensiero che lui porta avanti da anni, senza ammorbidimenti. E che, inevitabilmente, lo espone al giudizio pubblico.
La ricerca continua
Così Sir Benjamin Julian Alfred Slade resta in attesa. La moglie giusta, l’erede maschio, la continuità della stirpe. Tutto è ancora da scrivere, mentre Violet cresce lontana da queste logiche e la storia personale dell’aristocratico continua a intrecciarsi con un’idea di nobiltà che molti considerano ormai superata.
Per ora, l’unica certezza è che la ricerca non è finita. E che, tra castelli, titoli e convinzioni granitiche, Slade non sembra intenzionato a cambiare rotta.
Mondo
Scommettere sulla guerra e sulle catastrofi: quando il conflitto diventa merce per trader
Piattaforme cripto come Polymarket e app-mappe come PolyGlobe trasformano le crisi globali in previsioni – e lucro. Ma dietro la “previsione” si nascondono opacità, conflitti etici e rischi reali.
Con l’avvento delle criptovalute, piazzare scommesse su eventi globali diventati incomprensibili — guerre, carestie, instabilità economiche — non è mai stato così semplice. Al centro di questo nuovo e controverso panorama c’è – oggi – Polymarket: una piattaforma cripto che consente di puntare su catastrofi, conflitti, elezioni e crisi, trattando il destino delle persone come merce.
Polymarket non è una semplice linea di scommesse sportive: permette di comprare e vendere “contratti di probabilità” su eventi reali, trasformando l’incertezza geopolitica in un prodotto finanziario. Alcuni definiscono questi strumenti “mercati predittivi”, altri li chiamano — senza mezzi termini — casinò digitali.
Perché molti puntano sull’orrore
La logica che spinge un mercato come Polymarket è semplice: il conflitto globale, gli scenari politici instabili, gli eventi catastrofici generano incertezze. Dove c’è incertezza, c’è domanda di “previsioni”. In un mondo che consuma notizie e reazioni in tempo reale, la speculazione sulle conseguenze di guerre, elezioni, crisi economiche diventa una commodity — e un’occasione per scommettere.
Alcuni analisti spiegano che questi mercati possono — almeno in teoria — riflettere “il sentiment collettivo”, offrendo uno specchio in tempo reale delle aspettative globali.
Tuttavia il confine tra previsione e scommessa è labile, e le conseguenze etiche sono tangibili: quando si scommette su morti, distruzioni o esiti tragici, il profitto diventa direttamente collegato al dolore altrui. Critici e avvocati lo definiscono «cynical», immorale.
Dalla mappa al portafoglio: l’ascesa di PolyGlobe
Per seguire questi mercati si è diffusa recentemente un’app — PolyGlobe — pensata per “mappare” le scommesse su eventi globali. In pratica trasforma le probabilità in geo-punti visualizzabili su una mappa: così un conflitto in Ucraina, una crisi in Medio Oriente o una potenziale guerra globale diventa un’opportunità finanziaria navigabile.
Secondo i suoi sviluppatori, l’app fornisce anche dati “open source in tempo reale” (tweet, report, fonti OSINT) per seguire l’evoluzione degli eventi, e un’interfaccia con grafici che ricordano quelli di un listino azionario. Il mercato diventa immediatamente visibile, tracciabile, speculabile.
Ma quanto sono affidabili questi mercati?
Diversi esperti mettono in guardia:
- Il meccanismo di risoluzione dei contratti può essere opaco o arbitrario. Il risultato di una scommessa — su guerre, vittorie politiche o eventi economici — spesso viene deciso da comitati anonimi o token holder crittografici, non da decisioni oggettive. Questo apre a rischi di manipolazione.
- Anche in mercati “trasparenti”, basta una grande puntata iniziale di un professionista per alterare drasticamente le probabilità, creando un consenso artificiale: le probabilità non riflettono più un’opinione collettiva, ma le scelte di pochi.
- Dal punto di vista etico, scommettere su guerra, crisi o disastri significa mettere la propria posta sul destino di vite umane, deprivandolo di qualsiasi rispetto. Trasforma tragedie in grafici e numeri.
Regole, chi decide? Il quadro normativo è in bilico
Fino a poco tempo fa, in molti paesi questi mercati erano in un limbo legale. Commodity Futures Trading Commission (CFTC), autorità americana, considerava Polymarket come una piattaforma di derivati non registrata — e nel 2022 costrinse la società a bloccare gli utenti statunitensi, multandola.
Ma nel 2025 la situazione è cambiata: grazie a una acquisizione e a un nuovo accordo, Polymarket ha ottenuto il via libera per operare nuovamente negli USA come exchange regolamentato.
Questo riporta il dibattito su un terreno controverso: se da un lato si legittima il mercato predittivo, dall’altro si rafforza la critica che identifica in queste piattaforme una forma di gioco d’azzardo legalizzato, con tutte le implicazioni che ne derivano.
Mercato, ma a quale prezzo?
Mercati come Polymarket e strumenti come PolyGlobe rappresentano un’innovazione tecnologica e finanziaria: prevedere eventi, speculare sull’incertezza, raccogliere informazioni. Ma trasformare guerra, crisi e tragedie umane in scommesse e token traduce la sofferenza collettiva in profitto individuale. La promessa di “trasparenza” e “intelligenza collettiva” — per quanto seducente — non cancella il fatto che dietro ogni dato, ogni probabilità, ci siano vite reali.
E anche se oggi queste piattaforme possono essere regolamentate in alcuni paesi, il dibattito etico resta. Perché certi mercati sono costruiti non su desideri o sogni, bensì su paura, morti e disperazione. In definitiva: un “mercato predittivo” può forse anticipare eventi, ma non rende giustizia al valore della vita.
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