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Politica

Artisti contro Trump: chi ha vietato l’uso delle proprie canzoni nella campagna elettorale del tycoon

Trump, in corsa per diventare il 47esimo presidente degli Stati Uniti, ha incontrato la resistenza di numerosi artisti che non vogliono vedere la loro musica associata alla sua candidatura. Nel frattempo, Kamala Harris ottiene l’appoggio di Taylor Swift.

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    Le elezioni per il 47° presidente degli Stati Uniti si avvicinano a grandi passi, con Donald Trump in corsa per il Partito Repubblicano e Kamala Harris come rappresentante dei Democratici. Entrambi i candidati stanno intensificando i loro sforzi per guadagnare consensi, facendo leva su dibattiti, social media e il sostegno delle celebrità. Taylor Swift, ad esempio, ha dichiarato apertamente il suo sostegno a Harris. Tuttavia, sul fronte musicale, Trump si è trovato spesso in contrasto con diversi artisti che hanno vietato l’uso delle loro canzoni durante la sua campagna elettorale.

    La denuncia di Neil Young e altri artisti contrari

    Oltre ai numerosi artisti già noti per essersi opposti all’uso della loro musica, tra cui The Rolling Stones, Rihanna, Adele, Queen ed Elton John, anche Neil Young ha intrapreso azioni legali contro Trump, chiedendogli 150 mila dollari di risarcimento. Young ha presentato una denuncia in cui si legge: «Questa denuncia non intende mancare di rispetto ai diritti e alle opinioni di cittadini americani, liberi di scegliere il loro candidato preferito. Tuttavia, il querelante in buona coscienza non può tollerare che la sua musica sia usata come tema per una campagna di ignoranza e odio, che mira a dividere e che non riflette i valori dell’America».

    Jack White e la reazione a “Seven Nation Army”

    Anche Jack White, leader dei White Stripes, ha espresso il suo disappunto, vietando a Trump di utilizzare le sue canzoni. Dopo aver visto un video postato sui social in cui Trump saliva su un aereo con in sottofondo Seven Nation Army, White ha reagito duramente sui social media, scrivendo: «Non pensateci nemmeno di usare la mia musica, fascisti. C’è in arrivo una denuncia dai miei avvocati per questo».

    ABBA, Aerosmith e Rolling Stones in lotta con Trump

    Il gruppo svedese ABBA ha diffidato Trump dopo l’uso non autorizzato delle loro hit Dancing Queen, Money, Money, Money e The Winner Takes It All durante un comizio. Anche gli Aerosmith sono da tempo in contrasto con Trump. Dal 2015, Steven Tyler ha ripetutamente chiesto di non utilizzare i loro brani a scopo politico, e in un post su X ha scritto: «La nostra musica è per le cause delle persone, non per le campagne politiche».

    Infine, i Rolling Stones potrebbero portare Trump in tribunale per l’uso non autorizzato delle loro canzoni, nonostante i vari ammonimenti. La band inglese, come molti altri, non vuole essere associata alla propaganda del magnate.

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      Politica

      Tajani sorride, i Berlusconi comandano: Forza Italia a Cologno fra consigli, statuti e voglia di rinnovamento

      Antonio Tajani arriva a Cologno Monzese per un incontro “tra amici”, ma la regia politica di Forza Italia è ormai tutta nelle mani degli eredi del Cav. Pier Silvio parla di “rinnovamento”, e il segretario obbedisce: nuovo statuto, nuova comunicazione, stesso sorriso forzato.

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        «Parleremo di tutto, del futuro e anche di Forza Italia». Antonio Tajani prova a recitare il copione del leader saldo, mentre si presenta alla villa di Marina Berlusconi a Cologno Monzese. Lo accompagna il mantra di sempre: «Li conosco da quando sono ragazzi, questi incontri li abbiamo sempre fatti». Ma dietro le parole di circostanza, la fotografia è chiara: chi comanda davvero sono gli eredi del Cavaliere.

        A tavola con lui ci sono Marina e Pier Silvio, veri azionisti politici e finanziari del partito – il loro credito verso Forza Italia sfiora i 90 milioni di euro – e Gianni Letta, garante della liturgia familiare. L’incontro era stato rinviato due settimane fa tra voci di malumori, ora torna come se nulla fosse: «Un incontro tra amici», dice Tajani, cercando di smussare i rumors su un partito percepito come troppo appiattito sugli alleati e incapace di ritagliarsi uno spazio proprio.

        La realtà è che basta una frase di Pier Silvio Berlusconi per orientare la rotta: quando ha parlato di “rinnovamento”, Tajani ha eseguito. In pochi giorni è arrivato il nuovo statuto, è stato scelto Simone Baldelli come coordinatore della comunicazione e si è dato il via a un lifting silenzioso della catena di comando. Tutto senza clamori, ma con un messaggio inequivocabile: Forza Italia è un marchio di famiglia, e chi la gestisce in politica lo fa in affitto.

        Intanto, le voci di insofferenza per il segretario crescono: la linea prudente di Tajani, fatta di piccoli compromessi e temi secondari come lo Ius scholae, convince poco i custodi del brand berlusconiano. «Ascolto i consigli che arrivano dagli amici», ripete lui, ma gli amici hanno appena deciso quali note dovrà suonare.

        Per ora Tajani sorride e incassa. La regia resta a Cologno, la bacchetta pure.

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          Politica

          Pier Silvio, lo sapevamo! E ora se ne accorge anche Elon Musk…

          È bastato un sondaggio su X per confermare quello che in pochi osavano dire ad alta voce: l’aria attorno a Pier Silvio si è fatta politica. E i segnali, per chi li sa leggere, c’erano già tutti.

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            Che Pier Silvio Berlusconi si stia preparando al grande salto, lo diciamo da mesi. Altro che operazione estemporanea, altro che voce di corridoio estiva. Chi ha seguito davvero l’evoluzione di questo “uomo nuovo” della galassia berlusconiana — il figlio silenzioso, manageriale, quasi allergico ai riflettori — sa bene che certi segnali non arrivano mai per caso. Ora a certificare l’odore di politica è anche Andrea Stroppa, l’uomo-ombra di Elon Musk in Italia, che da X lancia l’endorsement più bizzarro dell’estate: “Pier Silvio in politica sarebbe positivo. E divertente”. In tempi normali, verrebbe da sorridere. Ma qui si parla della piattaforma social preferita dai potenti, e di un nome che, con tutto il suo low profile, fa tremare ancora qualche sismografo.

            Stroppa, senza un partito né un programma, si spinge a dichiarare che un eventuale movimento guidato da Pier Silvio sarebbe già intorno al 15%. Con che base, non si sa. Ma il messaggio è chiaro: da oltreoceano l’ipotesi piace. E quando Musk fiuta qualcosa, anche solo per gioco, c’è sempre qualcuno che prende nota. A partire da chi ha interesse a vedere cambiare volto (e stile) al centrodestra.

            Certo, ufficialmente Pier Silvio continua a dirsi estraneo alla politica. Ma intanto ha ripulito Mediaset, ha imposto una nuova linea editoriale, ha tagliato le unghie al trash di partito, ha ricostruito un’identità aziendale fatta di ordine e sobrietà. E ora viene celebrato da quelli che — a parole — odiano la “casta”, ma in fondo cercano proprio un nuovo principe ereditario a cui aggrapparsi.

            Non serve che parli, per essere ascoltato. Non serve che si candidi, per fare paura. Pier Silvio c’è, eccome. E chi lo ha capito in tempo, oggi non ha bisogno di sondaggi per fiutare dove tira il vento.

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              Politica

              Meloni sul Time: dalla fiamma al glamour, ora Giorgia conquista la copertina del magazine americano.

              Giorgia Meloni è la nuova star del Time: “Figura interessante d’Europa”. Il profilo elogia la sua ascesa, il pragmatismo e la postura internazionale. Ma tra omissioni, ambiguità e scatti patinati, l’operazione profuma più di rebranding che di rivoluzione politica.

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                Altro che l’Italia degli spaghetti e mandolino: ora ci sono i tacchi, i dossier sottobraccio e le copertine patinate. Giorgia Meloni si prende il Time. E non un trafiletto laterale: la copertina. “Una delle figure più interessanti d’Europa”, scrive il magazine. Tradotto: la destra in tailleur è finalmente presentabile anche in salotto, purché non urli troppo.

                Il ritratto firmato da Massimo Calabresi è lungo, curato, levigato. E racconta una Meloni capace di sorprendere: meno barricadera di quanto i suoi stessi elettori forse speravano, più atlantista di molti centristi in doppiopetto. Una premier che affascina Washington, piace a Bruxelles, si fa fotografare in posa riflessiva mentre promette riforme “presidenziali” con un occhio a Mattarella e l’altro a Trump.

                Ma il punto non è chi l’ha intervistata. È chi ha scelto di dimenticare. Perché nel ritratto non c’è traccia di certi provvedimenti sgraziati, né delle leggi che strizzano l’occhio al voto nostalgico. Scompare magicamente il piglio muscolare sui migranti, l’offensiva contro la stampa, i sussurri autoritari che sanno tanto di passato che non passa mai. E il pragmatismo? Viene scambiato per democrazia, come se bastasse non salire su un balcone per essere Churchill.

                Certo, l’articolo ricorda che Biden l’aveva presa con le molle. Ma oggi la benedice, come fanno Von der Leyen e i repubblicani Usa. Tutti affascinati da una leader che parla chiaro, cammina dritta e non fa troppe onde. In fondo, Meloni non rompe con Bruxelles: cerca solo di renderla un po’ più FdI-friendly. Altro che rivoluzione: è la normalizzazione del post-fascismo a colpi di selfie e parole misurate.

                E se oggi il mondo applaude Giorgia, è anche perché fa comodo una destra “gestibile” nel cuore dell’Europa. Una che non alza la voce, ma tiene saldo il timone. E soprattutto non si vergogna di portare in copertina la fiamma del MSI, pur illuminata da un riflettore americano.

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