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Politica

Fratelli coltelli: nelle chat segrete di FdI Salvini è un “bimbominkia” e la Lega un partito “senza onore”

Nel libro Fratelli di Chat emergono le conversazioni interne di FdI tra il 2018 e il 2024: Meloni considera Salvini un opportunista da contrastare, Lollobrigida lo definisce “ridicolo” e Fazzolari lo accusa di doppiogiochismo con la Russia. Intanto Crosetto annuncia ogni anno l’arrivo di un complotto giudiziario per abbattere il partito.

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    Era scritto nero su bianco nelle chat interne di Fratelli d’Italia, ma ora è finito in un libro: “Matteo Salvini è un ministro bimbominkia, un cialtrone, ridicolo e incapace”. Se qualcuno avesse ancora dubbi su quanto amore circolasse tra i due principali partiti di governo, il volume “Fratelli di Chat” – pubblicato da PaperFirst del Fatto Quotidiano – li spazza via con la grazia di un caterpillar in retromarcia. Il testo, basato sulle conversazioni segrete dei parlamentari di Fratelli d’Italia tra il 2018 e il 2024, racconta la scalata di Giorgia Meloni al potere e svela che, dietro le strette di mano ufficiali e i sorrisi di circostanza, il clima tra FdI e Lega era più da guerra fredda che da coalizione solida.

    La stella polare dei meloniani? Contrastare Matteo Salvini, da sempre considerato una minaccia e non un alleato. “La Lega è un partito che non ha onore” sentenziava Meloni nelle chat, rincarando la dose quando si trattava delle promesse elettorali tradite: “Sulle accise Matteo vada a nascondersi”.

    Si parla di Salvini come di un inaffidabile opportunista, un leader “che fa accordi sottobanco con Renzi per il cognato Denis Verdini” e che, come un campione del trasformismo, è riuscito nell’impresa di stare al governo con il M5S, poi con Draghi e infine con Meloni, senza mai dare l’impressione di sapere davvero dove stesse andando.

    Nel 2018, quando Salvini era ancora all’Interno e giocava a fare lo sceriffo con la divisa d’ordinanza, i commenti nelle chat di FdI non erano propriamente elogiativi. “Il ministro bimbominkia colpisce ancora” scriveva Giovanbattista Fazzolari, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio, dopo che Salvini aveva deciso di complicare i rapporti diplomatici con il Libano definendo Hezbollah “terroristi islamici”.

    “È troppo ridicolo” aggiungeva Francesco Lollobrigida, oggi ministro dell’Agricoltura. Ma la ciliegina sulla torta arrivava da Guido Crosetto, che bollava l’atteggiamento di Salvini con un sintetico e lapidario: “Un atto da cialtrone superficiale”.

    E poi c’è la questione del rapporto con la Russia, un tema spinoso che ancora oggi fa sudare freddo la Lega. Quando nel 2019 scoppiò il caso Metropol, che coinvolgeva l’ex portavoce di Salvini Gianluca Savoini e sospetti finanziamenti russi, Fazzolari commentava con un misto di ironia e veleno: “La tecnica della felpa ‘Russia’ a Mosca e ‘Usa’ a Washington non è molto gradita da quei burberi dei russi e magari stanno lanciando qualche messaggio a Salvini: ‘Occhio a tradire gli amici dopo aver fatto il cosacco, che qualche bella informazione da dare ce la abbiamo’”.

    E ancora: “La Lega e Salvini sono andati a Mosca a fare i cosacchi padani e a promettere ai russi amore eterno”. Una giravolta politica che, secondo Meloni, avrebbe reso il leader leghista poco credibile a livello internazionale: “Il voltafaccia di Salvini, prima fan di Putin e poi cowboy fedele degli Usa, magari non ha ripercussioni elettorali in Italia, ma certamente ne ha a livello internazionale”.

    Ma attenzione, perché il libro non è solo una raccolta di insulti a Salvini. C’è anche un’interessante sezione sul complottismo meloniano. Guido Crosetto, oggi ministro della Difesa, vedeva ombre ovunque e avvertiva i suoi compagni di partito che “l’attacco del braccio armato giudiziario” era imminente. Lo ripeteva come un mantra nel 2021, poi di nuovo nel 2022, fino alla vigilia delle elezioni. Un’ossessione che, a detta degli stessi interlocutori di Crosetto, rasentava il delirio persecutorio. Eppure, per il co-fondatore di Fratelli d’Italia, la giustizia italiana si muoveva con un preciso intento politico, con lo scopo di colpire il partito della Meloni nel momento cruciale della sua ascesa.

    L’argomento ritorna ciclicamente, a gennaio 2022, dopo la rielezione di Mattarella: “Noi, gli unici ‘antisistema’ dobbiamo essere eliminati, espulsi, uccisi, eliminati. Senza pietà. Come solo la sx dc sa fare. I fronti saranno molti. Intanto da oggi l’ordine di scuderia al braccio armato giudiziario”. Il linguaggio non lascia spazio a interpretazioni: Crosetto parlava di un’operazione premeditata per schiacciare FdI con l’arma della magistratura, in perfetta continuità con l’idea che la sinistra usi i giudici come un corpo speciale di combattimento politico.

    Ad agosto 2022, in piena campagna elettorale, l’allarme si ripresenta: “Nei prossimi 40 giorni faranno di tutto. Anche perché stanno aspettando la cavalleria che è ancora in vacanza: la magistratura”. Replica ironica dell’europarlamentare Nicola Procaccini: “No no, so’ tutti in ufficio”. Ma Crosetto non molla e rincara la dose: “E te pareva. Beati voi che avete l’immunità!”. Un mix tra convinzione e paranoia che oggi, a distanza di due anni, si ripresenta puntualmente ogni volta che FdI si trova sotto i riflettori delle inchieste giudiziarie.

    La strategia di Crosetto e FdI è chiara: ogni accusa, ogni indagine, ogni avviso di garanzia non è mai un atto dovuto, ma una macchinazione di poteri oscuri. Un meccanismo che funziona, specialmente agli occhi dell’elettorato di Fratelli d’Italia, sempre più incline a credere alle narrazioni dei “poteri forti” che tramano contro il governo della destra. Ma se il passato ha insegnato qualcosa, è che il vittimismo funziona solo fino a quando la realtà non lo smentisce. E le chat interne, ora alla luce del sole, sembrano confermare che dietro l’apparente compattezza della coalizione si nasconda un campo minato di rivalità, sfiducia e calcoli politici.

    Le rivelazioni di “Fratelli di Chat” dipingono uno scenario piuttosto esplosivo: da un lato una Giorgia Meloni pronta a tutto pur di far fuori politicamente Salvini, dall’altro una Lega che, a quanto pare, non ha mai avuto il minimo dubbio su quanto fosse amata dai suoi alleati di governo. Oggi, mentre i due siedono fianco a fianco in Consiglio dei ministri, si può solo immaginare con che serenità e fiducia reciproca lavorino insieme. Dopo tutto, come diceva Fazzolari, “i cosacchi padani” non sono mai stati famosi per la loro affidabilità.

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      Politica

      Meloni show a Libero: baci a Trump, schiaffi alla sinistra

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        Giorgia Meloni si collega da remoto, ma conquista il palco come se fosse in prima fila. Venti minuti in videocollegamento per celebrare i 25 anni di Libero, ma sembrava un comizio con microfono aperto. Il pubblico in sala applaude, Mario Sechi sorride, Vittorio Feltri si dichiara “innamorato” della premier. Lei ringrazia e parte col repertorio.

        Il pezzo forte? Il solito vecchio Donald. “Trump è un leader coraggioso, schietto, determinato. Ci capiamo bene anche quando non siamo d’accordo”, dichiara fiera. Dazi, guerre commerciali e instabilità globale passano in secondo piano: quello che conta è l’intesa tra sovranisti. “Difende i suoi interessi nazionali, io faccio lo stesso”, rivendica, come se il mondo fosse diviso tra chi “tiene famiglia” e chi no.

        Poi il colpo basso sul referendum. Altro che test per il governo: “Era un referendum sulle opposizioni, e il risultato è chiaro”, dice. Traduzione: ha perso la sinistra, non io. “Se vincono, è un trionfo della democrazia. Se perdono, c’è un problema di democrazia. È sempre la stessa storia”, attacca, liquidando critiche e dubbi come capricci da salotto.

        E infatti a quelli che nei salotti ci vivono, riserva la stoccata finale. Il quesito per la cittadinanza dopo cinque anni? “Una sciocchezza”, sentenzia. “Solo chi frequenta club esclusivi può pensarlo. La legge attuale va benissimo. Ed è quella che vuole la stragrande maggioranza degli italiani”. Argomento chiuso.

        In mezzo, il solito omaggio a Berlusconi, “fiero di noi per il milione di posti di lavoro”, e l’ennesima autoassoluzione: “Noi andiamo avanti con il nostro lavoro”. Il copione non cambia. Ma ogni volta è più rodato.

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          Politica

          Francesca Pascale ironizza su Forza Italia e Fedez: «Gasparri vuole recuperare l’immagine con una trovata pop»

          Francesca Pascale, in un intervento nel programma “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, commenta l’apparizione di Fedez al congresso delle giovanili di Forza Italia e ironizza sulla strategia di Maurizio Gasparri per rilanciare l’immagine del partito.

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            Francesca Pascale non ha mai avuto peli sulla lingua e lo ha dimostrato ancora una volta. Ospite della trasmissione Donne sull’orlo di una crisi di nervi condotta da Piero Chiambretti su Rai3, l’ex compagna di Silvio Berlusconi ha commentato con tono ironico e tagliente la scelta di Forza Italia di invitare Fedez come ospite d’onore al congresso della giovanile del partito. «La prima cosa che ho pensato è stata che Gasparri vuole recuperare l’immagine con una trovata pop, perché il 3% dell’ultima tornata elettorale non è bellissimo», ha dichiarato Pascale, mettendo in dubbio la strategia dietro l’apparizione del rapper.

            Non è la prima volta che l’ex fidanzata del Cavaliere esprime perplessità sul futuro e la direzione di Forza Italia. In passato aveva dichiarato al Foglio, come riportato anche da Agi, che «il partito deve darsi una svegliata». Ma questa volta, la “sveglia” non sembra coincidere con l’arruolamento di Fedez. Pascale ha spiegato che il suo stupore non riguarda tanto la presenza del cantante in sé, quanto la logica che l’ha portata a questa ospitata: «Non ho capito Forza Italia con Fedez dove vuole andare».

            La presenza di Fedez, artista da sempre impegnato su temi sociali e politici, è stata al centro delle polemiche sin da subito. Durante il suo intervento, il rapper non ha rinunciato a provocazioni e riflessioni pungenti: «Oggi non voterei nessuno», ha detto. Poi ha criticato la sinistra, accusandola di «rifiutarsi sempre di sedersi al tavolo del dibattito». Insomma, un intervento in perfetto stile Fedez, pronto a mettere in discussione la politica tradizionale e a rivendicare la sua indipendenza.

            Nonostante le critiche a Forza Italia, Francesca Pascale ha riconosciuto al rapper una certa coerenza: «Molti hanno criticato Fedez, ma lui ha fatto il suo lavoro. Va dove lo invitano, lo fa per dialogare», ha spiegato. Una visione che riflette il carattere pragmatico dell’artista, abituato a muoversi tra provocazione e voglia di confronto.

            Ma Pascale non ha perso l’occasione per lanciare un’altra frecciata ai vertici del partito azzurro, in particolare a Maurizio Gasparri: «Forse l’idea era di far parlare di sé e rianimare un po’ di entusiasmo, ma invitare Fedez non credo basti a risolvere i problemi interni di Forza Italia», ha concluso.

            Il commento dell’ex compagna di Berlusconi si inserisce in un momento di fermento per il partito fondato dal Cavaliere, che cerca nuove strategie e volti in grado di attrarre l’elettorato giovanile. Una scommessa rischiosa, se non altro perché – come osserva Pascale – la politica pop non può bastare a mascherare le incertezze di un partito in cerca di identità.

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              Politica

              Grillo verso l’azione legale per riprendersi simbolo e nome del M5s, sfida a Conte

              Beppe Grillo si prepara a una battaglia legale per riprendersi il simbolo e il nome del Movimento 5 Stelle. Dopo l’abolizione del suo ruolo di garante, il comico genovese vuole rilanciare la sfida a Conte e rivendicare la paternità del progetto pentastellato.

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                Beppe Grillo dichiara guerra al Movimento 5 Stelle. Anzi, a quello che resta del progetto politico che lui stesso aveva creato insieme a Gianroberto Casaleggio nel 2009. Il comico genovese, estromesso di fatto dal ruolo di garante con la riforma dello statuto approvata a fine 2024, non intende restare a guardare: secondo fonti a lui vicine, Grillo avrebbe già dato mandato ai suoi legali per “riappropriarsi del simbolo e del nome del M5s”. Una mossa che potrebbe riaprire le fratture tra l’ideatore e l’attuale leader, Giuseppe Conte.

                Il simbolo e il nome del M5s, registrati nel 2012 come marchio dell’associazione con sede a Genova, rappresentano un tesoro politico e comunicativo. Non a caso, Grillo avrebbe commentato così la situazione dopo la Costituente: “Vedere questo simbolo rappresentato da queste persone mi dà un senso di disagio. Fatevi un altro simbolo. Il Movimento è stramorto, ma l’humus che c’è dentro no”. Parole che lasciano poco spazio ai dubbi: il fondatore sente ancora come suo il cuore del Movimento e ritiene che la nuova gestione lo stia tradendo.

                La scintilla che ha fatto scattare l’azione legale è stata la modifica dello statuto voluta da Conte. Il ruolo di garante, che per anni aveva permesso a Grillo di supervisionare le scelte e gli orientamenti del Movimento, è stato eliminato lo scorso novembre, sancendo la rottura definitiva tra le due anime del M5s. Non solo: Grillo non ha mai digerito la decisione di abolire il limite dei due mandati, considerato un pilastro della visione originaria. “L’abolizione del limite di due mandati è una sconfitta dei nostri valori”, aveva detto. E ora sembra pronto a far valere in tribunale le sue ragioni.

                L’azione legale potrebbe aprire un nuovo capitolo nella saga pentastellata. Se Grillo dovesse ottenere un pronunciamento a suo favore, Conte e il nuovo corso del Movimento si troverebbero costretti a rinunciare a simbolo e nome, rischiando di perdere il legame con la storia e l’identità originaria del partito. Un’ipotesi che agiterebbe ancora di più le acque già tumultuose della politica grillina.

                Dietro questa sfida legale si intravede anche la volontà di Grillo di non restare nell’ombra. Nonostante la sua attività politica sia ormai più defilata e il legame con i vertici del Movimento sia ai minimi termini, il comico genovese non ha mai smesso di far sentire la sua voce. Anche di recente, dal suo blog e dalle apparizioni pubbliche, ha continuato a ribadire la sua visione di un Movimento “libero e leggero, non schiavo delle poltrone e delle mediazioni”.

                Le prossime settimane saranno decisive per capire se l’azione legale verrà formalmente avviata e quali saranno le conseguenze per Giuseppe Conte e per il gruppo dirigente del M5s. Per ora, l’unica certezza è che Grillo non intende lasciare in silenzio il simbolo e il nome del Movimento che aveva fondato e che considera ancora il frutto più importante del suo impegno politico.

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