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Politica

Grillo verso l’azione legale per riprendersi simbolo e nome del M5s, sfida a Conte

Beppe Grillo si prepara a una battaglia legale per riprendersi il simbolo e il nome del Movimento 5 Stelle. Dopo l’abolizione del suo ruolo di garante, il comico genovese vuole rilanciare la sfida a Conte e rivendicare la paternità del progetto pentastellato.

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    Beppe Grillo dichiara guerra al Movimento 5 Stelle. Anzi, a quello che resta del progetto politico che lui stesso aveva creato insieme a Gianroberto Casaleggio nel 2009. Il comico genovese, estromesso di fatto dal ruolo di garante con la riforma dello statuto approvata a fine 2024, non intende restare a guardare: secondo fonti a lui vicine, Grillo avrebbe già dato mandato ai suoi legali per “riappropriarsi del simbolo e del nome del M5s”. Una mossa che potrebbe riaprire le fratture tra l’ideatore e l’attuale leader, Giuseppe Conte.

    Il simbolo e il nome del M5s, registrati nel 2012 come marchio dell’associazione con sede a Genova, rappresentano un tesoro politico e comunicativo. Non a caso, Grillo avrebbe commentato così la situazione dopo la Costituente: “Vedere questo simbolo rappresentato da queste persone mi dà un senso di disagio. Fatevi un altro simbolo. Il Movimento è stramorto, ma l’humus che c’è dentro no”. Parole che lasciano poco spazio ai dubbi: il fondatore sente ancora come suo il cuore del Movimento e ritiene che la nuova gestione lo stia tradendo.

    La scintilla che ha fatto scattare l’azione legale è stata la modifica dello statuto voluta da Conte. Il ruolo di garante, che per anni aveva permesso a Grillo di supervisionare le scelte e gli orientamenti del Movimento, è stato eliminato lo scorso novembre, sancendo la rottura definitiva tra le due anime del M5s. Non solo: Grillo non ha mai digerito la decisione di abolire il limite dei due mandati, considerato un pilastro della visione originaria. “L’abolizione del limite di due mandati è una sconfitta dei nostri valori”, aveva detto. E ora sembra pronto a far valere in tribunale le sue ragioni.

    L’azione legale potrebbe aprire un nuovo capitolo nella saga pentastellata. Se Grillo dovesse ottenere un pronunciamento a suo favore, Conte e il nuovo corso del Movimento si troverebbero costretti a rinunciare a simbolo e nome, rischiando di perdere il legame con la storia e l’identità originaria del partito. Un’ipotesi che agiterebbe ancora di più le acque già tumultuose della politica grillina.

    Dietro questa sfida legale si intravede anche la volontà di Grillo di non restare nell’ombra. Nonostante la sua attività politica sia ormai più defilata e il legame con i vertici del Movimento sia ai minimi termini, il comico genovese non ha mai smesso di far sentire la sua voce. Anche di recente, dal suo blog e dalle apparizioni pubbliche, ha continuato a ribadire la sua visione di un Movimento “libero e leggero, non schiavo delle poltrone e delle mediazioni”.

    Le prossime settimane saranno decisive per capire se l’azione legale verrà formalmente avviata e quali saranno le conseguenze per Giuseppe Conte e per il gruppo dirigente del M5s. Per ora, l’unica certezza è che Grillo non intende lasciare in silenzio il simbolo e il nome del Movimento che aveva fondato e che considera ancora il frutto più importante del suo impegno politico.

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      Politica

      Grillo torna in tv (da solo): dopo l’addio al M5S, prepara un docufilm e rispolvera la satira

      Beppe Grillo si prepara a tornare in scena. Non in politica, ma nel ruolo che conosce meglio: quello del comico. Dopo la rottura definitiva con Giuseppe Conte e la fine del suo ruolo da garante, il fondatore del M5S lavora a un docufilm. Pochi dettagli sul progetto, ma l’intenzione è chiara: voltare pagina. A modo suo

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        Beppe Grillo torna alle origini. Dopo anni passati a dettare la linea politica (o a sabotarla, secondo qualcuno), l’ex comico genovese è pronto a rientrare là dove tutto è cominciato: in tv, sul palco, davanti a un microfono, magari con le maniche rimboccate e una verità scomoda da urlare.

        Della politica, almeno per ora, non vuole più sentir parlare. Dopo mesi di frizioni con Giuseppe Conte, culminati nella rottura ufficiale e nell’estromissione dal Movimento 5 Stelle, Grillo ha deciso di cambiare registro. Sta lavorando – si mormora – a un docufilm. Non si sa ancora molto, se non che potrebbe mescolare materiale d’archivio dei suoi spettacoli storici e scene di vita privata, inedite e più intime. Un progetto che segna un distacco definitivo dal Movimento. E forse anche una rivendicazione simbolica: la sua voce, stavolta, senza filtri politici né contratti da 300mila euro.

        L’idea, raccontano persone a lui vicine, non è di lanciare nuovi partiti né sigle alternative. Niente cause legali per il simbolo, almeno per ora. Grillo vuole tornare a occuparsi delle sue “passioni”: il palco, la televisione, il blog. Ed è proprio lì, sul blog, che ha ricominciato a scrivere. Con toni meno incendiari del passato, ma con l’intenzione evidente di non sparire. “Quando sarà il momento, Beppe parlerà”, assicurano dal suo entourage. “Si è isolato, ma non è scomparso. E resta inarrestabile”.

        Il rapporto con Conte era andato in frantumi già da mesi. Grillo aveva accusato l’ex premier di aver svuotato il Movimento dei suoi valori fondanti, ironizzando – nemmeno troppo velatamente – sul crollo nei consensi e su una leadership che definiva “anonima”. Lo scontro era diventato insanabile dopo le europee, con punzecchiature pubbliche, sfoghi social e comunicati incrociati.

        La rottura definitiva è arrivata a ottobre, quando Conte ha annunciato la fine del contratto con Grillo, accusandolo di aver trasformato la sua attività di comunicazione in una forma di sabotaggio. Grillo ha contestato l’estromissione appellandosi allo Statuto, ma l’Assemblea del Movimento ha confermato la destituzione a dicembre. Da lì, il silenzio.

        Un silenzio solo apparente. Perché dietro le quinte, Grillo sta scrivendo un nuovo copione, e stavolta è uno show tutto suo. Forse un racconto autobiografico. Forse un ultimo assolo. O semplicemente il modo migliore per rientrare nel radar dell’opinione pubblica, senza passare dalla porta stretta della politica.

        Il finale, per ora, è sospeso. Ma nel dubbio, lui lo ha già recitato: “Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buona sera e buona notte”.

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          Politica

          Genova e Ravenna, doppio colpo del campo largo: vince al primo turno

          Le elezioni comunali premiano le alleanze progressiste nei due capoluoghi. A Genova Silvia Salis conquista la poltrona da sindaca con otto punti in più di affluenza e uno scarto netto sul rivale Piciocchi. A Ravenna De Pascale vince di nuovo. Esulta Schlein, soddisfatta anche la M5s: “Risultati importanti, continuiamo a radicarci sul territorio”.

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            Il primo turno delle amministrative regala due segnali chiari: a Genova e a Ravenna, il campo largo funziona. E vince. Senza neppure passare dal ballottaggio. A Genova Silvia Salis, ex vicepresidente del Coni e volto civico sostenuto da centrosinistra e Movimento 5 Stelle, strappa la poltrona di sindaco al centrodestra con un secco 52% dei voti, staccando di misura il rivale Pietro Piciocchi.

            “La città aveva bisogno di scrollarsi di dosso anni ed eventi che ci avevano portati agli onori delle cronache”, ha detto Salis, riferendosi all’inchiesta dello scorso anno che ha portato ai domiciliari l’ex governatore ligure Giovanni Toti. Ma soprattutto, ha rivendicato la forza del progetto progressista unito: “Quando ci si mette insieme e si confrontano le classi dirigenti, non c’è paragone. La nostra è migliore e non ha paura di nessuna elezione”.

            A certificare il clima positivo è anche l’affluenza: nel capoluogo ligure ha votato l’8% in più rispetto al 2022.

            Un risultato che fa esultare anche i vertici del Movimento 5 Stelle. “La vittoria con un margine così ampio e ottenuta al primo turno è la dimostrazione che i progetti nati dal basso, inclusivi delle proposte della società civile, sono percepiti come più vicini ai cittadini”, ha dichiarato Giuseppe Conte. “Abbiamo migliorato i risultati rispetto alla scorsa tornata e ottenuto anche la presidenza nei due municipi dove eravamo in campo: segno che il radicamento sul territorio sta funzionando”.

            Meno entusiasta, ovviamente, l’analisi del centrodestra. “Ci dispiace, ma il centrodestra cresce”, ha provato a smorzare il colpo Giovanni Donzelli di Fratelli d’Italia. Più netto, invece, il commento di Piciocchi: “È una sconfitta che ci amareggia. Non è stata una campagna facile, ma ho cercato di servire la città con orgoglio. Lascio con gratitudine e senza rimpianti”.

            Anche a Ravenna il centrosinistra incassa una vittoria piena, con Michele De Pascale riconfermato sindaco. Ed Elly Schlein commenta a modo suo: “La destra guarda ai sondaggi. Noi vinciamo”.

            Una battuta? Forse. O forse una sintesi piuttosto lucida dell’umore, oggi, dalle parti del Nazareno.

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              Politica

              I conti (mai) in ordine di Daniela Santanchè: Visibilia bocciata dal revisore, bilancio “falsato” e azienda a rischio

              Il revisore contabile dà un giudizio negativo sul bilancio di Visibilia Editore, società controllata per il 90% da Daniela Santanchè. “Manca una rappresentazione veritiera e corretta della situazione finanziaria”. Un intrigo societario che somiglia molto a quello per cui la ministra è già sotto processo per falso in bilancio.

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                C’è chi nei bilanci trova equilibrio. E chi, come Daniela Santanchè, continua a trovarci solo guai. L’ultima batosta arriva dai revisori contabili: il bilancio d’esercizio e quello consolidato 2024 di Visibilia Editore, la società controllata indirettamente dalla ministra del Turismo per quasi il 90%, è stato formalmente bocciato. Anzi, stroncato: secondo la relazione firmata da Luca Pulli (RSM), quei documenti non forniscono una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società. E a quanto pare, i numeri non sono l’unica cosa a non tornare.

                Sotto processo a Milano

                Alla presidenza del cda c’è Lorenzo Mazzaro, figlio di Santanchè, mentre attorno ruota un dedalo di rapporti incrociati tra controllate e controllanti che rendono difficile capire dove finisce l’azienda e dove comincia l’illusione. Proprio come accade in un altro capitolo aperto della storia giudiziaria della ministra, quello per cui è attualmente sotto processo a Milano con l’accusa di falso in bilancio.

                Un castello di carta

                Le relazioni di revisione, rese pubbliche il 29 aprile, raccontano un disastro annunciato. Il cuore del problema è l’intricato rapporto tra Visibilia Editore e le sue controllate, a cominciare da Visibilia Editrice, considerata dal revisore “l’unico asset” della holding. Ma Editrice non è autonoma: vive grazie ad Athena Pubblicità, società anch’essa legata a Visibilia e principale cliente per la raccolta pubblicitaria. Uno schema che, secondo Pulli, rende l’intero gruppo vulnerabile, esposto ai capricci interni e privo di qualsiasi diversificazione.

                La stessa continuità aziendale – cioè la possibilità che la società resti in piedi nei prossimi 12 mesi – viene messa in dubbio. Non ci sono, lamenta RSM, “analisi puntuali degli scenari futuri” né piani di ristrutturazione (salvo uno già vecchio e superato), né indicazioni su trattative in corso con banche o fornitori. Insomma, il lettore del bilancio viene lasciato al buio.

                E il cda, invece di fare chiarezza, secondo il revisore sottace i rischi, fornendo un’informazione “carente e pervasiva” tale da compromettere la capacità di giudizio degli stakeholder.

                Una finanziaria fantasma e i conti “fantasma”

                Al 31 dicembre 2024, Visibilia Editore aveva già perso 4,47 milioni di euro: oltre un terzo del capitale sociale. I flussi di cassa erano negativi e la società è stata tenuta in piedi solo grazie a un prestito infruttifero concesso da Athena. Anche questo intervento, però, non era previsto nel piano industriale.

                Eppure il cda ha continuato ad accreditare Visibilia Editrice per 558 mila euro e ha valutato la partecipazione a 317 mila euro. Per Pulli, quei valori sono gonfiati e vanno svalutati integralmente. Risultato: l’intero patrimonio netto risulterebbe in rosso di 875 mila euro. Un disastro. Che implicherebbe un’urgente ripatrimonializzazione, molto più consistente di quella contemplata dalla governance attuale.

                E tutto questo mentre la cessione di Visibilia alla sconosciuta finanziaria svizzera WIP è stata bloccata. Di chi sia questa WIP e quali garanzie possa offrire, resta un mistero.

                La risposta del cda? Un rigetto stizzito

                Il consiglio di amministrazione – cioè il figlio della ministra e gli altri membri – ha reagito con una nota che respinge in toto le conclusioni dei revisori: “I rilievi sono in parte non corretti, in parte non motivati”. Una difesa che però suona più come una negazione stizzita che come una replica nel merito. E che, per chi osserva la situazione da fuori, non fa che alimentare i dubbi su una gestione che da anni sembra muoversi su un crinale pericolosamente vicino alla bancarotta pilotata.

                Il problema non è solo tecnico. È politico. Perché una ministra in carica, titolare di un dicastero importante come quello del Turismo, non può permettersi di avere alle spalle una rete societaria che traballa a ogni verifica contabile. Soprattutto se è già coinvolta in un processo per falso in bilancio. Soprattutto se a presiedere il consiglio di amministrazione è il figlio. Soprattutto se i revisori non si limitano a un giudizio critico, ma parlano di assenza di verità.

                Il Truman Show della trasparenza

                A questo punto la domanda sorge spontanea: come può Daniela Santanchè continuare a fare la ministra ignorando le accuse che pendono su di lei e i crolli delle sue società come se nulla fosse? E come può farlo un governo che ha fatto della legalità e del rigore amministrativo la propria bandiera? La risposta, forse, sta proprio in quel Truman Show di scatole cinesi, sigle opache, crediti incrociati e patrimoni di cartapesta che da anni Visibilia rappresenta.

                Con una sola certezza: i conti – economici, politici e morali – non tornano mai.

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