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Politica

La dichiarazione dei redditi di Marta Fascina: centomila euro nel 2023 e un appartamento a Milano 2 per lei e Dudù

L’ex compagna di Silvio Berlusconi continua a vivere ad Arcore insieme al barboncino Dudù, con un reddito di oltre centomila euro e una nuova proprietà a Segrate.

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    Marta Fascina, deputata di Forza Italia e ultima compagna di Silvio Berlusconi, scomparso il 12 giugno 2023, ha recentemente presentato la sua dichiarazione dei redditi relativa al 2023, dichiarando un reddito di 101.811 euro, in linea con l’anno precedente. La parlamentare mantiene il suo domicilio fiscale a Villa San Martino, storica residenza berlusconiana ad Arcore, dove riposano anche le ceneri del Cavaliere nel mausoleo di Cascella.

    Un appartamento a Milano 2

    Nel 2024, Fascina ha acquistato un appartamento di 250 metri quadrati con box e cantina a Milano 2, quartiere residenziale costruito negli anni Settanta da Berlusconi. L’acquisto, del valore di 1,2 milioni di euro, è stato formalizzato il 22 luglio 2024 presso Villa San Martino, alla presenza del notaio Arrigo Roveda, storico professionista di fiducia della famiglia Berlusconi.

    Ci vive il fratello

    L’immobile, situato nella via principale che attraversa Milano 2, comprende un ingresso, soggiorno-sala da pranzo, cucina, quattro camere, uno studio, quattro bagni, un terrazzo, due balconi, un box di 45 metri quadrati e una cantina. Nonostante l’acquisto, Fascina non risiede nell’appartamento, che è invece occupato dal fratello Claudio, dipendente di Publitalia, società del gruppo Mediaset.

    Cento milioni di euro

    In seguito alla scomparsa di Berlusconi, il testamento ha disposto un lascito di 100 milioni di euro a favore di Fascina. La prima delle tre o quattro tranche del lascito è stata versata dai figli di Berlusconi a novembre 2023. Tuttavia, non vi è traccia di questa donazione nella dichiarazione dei redditi, poiché non vi è obbligo di riportarla nella documentazione fiscale.

    Per quanto riguarda la residenza ad Arcore, la legge Cirinnà stabilisce che il convivente superstite può continuare ad abitare nella stessa casa per un periodo di tempo pari a quello della convivenza, con un minimo di due e un massimo di cinque anni. Considerando che Fascina e Berlusconi hanno convissuto per tre anni, la deputata avrà tempo fino al 2026 per trovare una nuova abitazione.

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      Politica

      Fratelli coltelli: nelle chat segrete di FdI Salvini è un “bimbominkia” e la Lega un partito “senza onore”

      Nel libro Fratelli di Chat emergono le conversazioni interne di FdI tra il 2018 e il 2024: Meloni considera Salvini un opportunista da contrastare, Lollobrigida lo definisce “ridicolo” e Fazzolari lo accusa di doppiogiochismo con la Russia. Intanto Crosetto annuncia ogni anno l’arrivo di un complotto giudiziario per abbattere il partito.

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        Era scritto nero su bianco nelle chat interne di Fratelli d’Italia, ma ora è finito in un libro: “Matteo Salvini è un ministro bimbominkia, un cialtrone, ridicolo e incapace”. Se qualcuno avesse ancora dubbi su quanto amore circolasse tra i due principali partiti di governo, il volume “Fratelli di Chat” – pubblicato da PaperFirst del Fatto Quotidiano – li spazza via con la grazia di un caterpillar in retromarcia. Il testo, basato sulle conversazioni segrete dei parlamentari di Fratelli d’Italia tra il 2018 e il 2024, racconta la scalata di Giorgia Meloni al potere e svela che, dietro le strette di mano ufficiali e i sorrisi di circostanza, il clima tra FdI e Lega era più da guerra fredda che da coalizione solida.

        La stella polare dei meloniani? Contrastare Matteo Salvini, da sempre considerato una minaccia e non un alleato. “La Lega è un partito che non ha onore” sentenziava Meloni nelle chat, rincarando la dose quando si trattava delle promesse elettorali tradite: “Sulle accise Matteo vada a nascondersi”.

        Si parla di Salvini come di un inaffidabile opportunista, un leader “che fa accordi sottobanco con Renzi per il cognato Denis Verdini” e che, come un campione del trasformismo, è riuscito nell’impresa di stare al governo con il M5S, poi con Draghi e infine con Meloni, senza mai dare l’impressione di sapere davvero dove stesse andando.

        Nel 2018, quando Salvini era ancora all’Interno e giocava a fare lo sceriffo con la divisa d’ordinanza, i commenti nelle chat di FdI non erano propriamente elogiativi. “Il ministro bimbominkia colpisce ancora” scriveva Giovanbattista Fazzolari, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio, dopo che Salvini aveva deciso di complicare i rapporti diplomatici con il Libano definendo Hezbollah “terroristi islamici”.

        “È troppo ridicolo” aggiungeva Francesco Lollobrigida, oggi ministro dell’Agricoltura. Ma la ciliegina sulla torta arrivava da Guido Crosetto, che bollava l’atteggiamento di Salvini con un sintetico e lapidario: “Un atto da cialtrone superficiale”.

        E poi c’è la questione del rapporto con la Russia, un tema spinoso che ancora oggi fa sudare freddo la Lega. Quando nel 2019 scoppiò il caso Metropol, che coinvolgeva l’ex portavoce di Salvini Gianluca Savoini e sospetti finanziamenti russi, Fazzolari commentava con un misto di ironia e veleno: “La tecnica della felpa ‘Russia’ a Mosca e ‘Usa’ a Washington non è molto gradita da quei burberi dei russi e magari stanno lanciando qualche messaggio a Salvini: ‘Occhio a tradire gli amici dopo aver fatto il cosacco, che qualche bella informazione da dare ce la abbiamo’”.

        E ancora: “La Lega e Salvini sono andati a Mosca a fare i cosacchi padani e a promettere ai russi amore eterno”. Una giravolta politica che, secondo Meloni, avrebbe reso il leader leghista poco credibile a livello internazionale: “Il voltafaccia di Salvini, prima fan di Putin e poi cowboy fedele degli Usa, magari non ha ripercussioni elettorali in Italia, ma certamente ne ha a livello internazionale”.

        Ma attenzione, perché il libro non è solo una raccolta di insulti a Salvini. C’è anche un’interessante sezione sul complottismo meloniano. Guido Crosetto, oggi ministro della Difesa, vedeva ombre ovunque e avvertiva i suoi compagni di partito che “l’attacco del braccio armato giudiziario” era imminente. Lo ripeteva come un mantra nel 2021, poi di nuovo nel 2022, fino alla vigilia delle elezioni. Un’ossessione che, a detta degli stessi interlocutori di Crosetto, rasentava il delirio persecutorio. Eppure, per il co-fondatore di Fratelli d’Italia, la giustizia italiana si muoveva con un preciso intento politico, con lo scopo di colpire il partito della Meloni nel momento cruciale della sua ascesa.

        L’argomento ritorna ciclicamente, a gennaio 2022, dopo la rielezione di Mattarella: “Noi, gli unici ‘antisistema’ dobbiamo essere eliminati, espulsi, uccisi, eliminati. Senza pietà. Come solo la sx dc sa fare. I fronti saranno molti. Intanto da oggi l’ordine di scuderia al braccio armato giudiziario”. Il linguaggio non lascia spazio a interpretazioni: Crosetto parlava di un’operazione premeditata per schiacciare FdI con l’arma della magistratura, in perfetta continuità con l’idea che la sinistra usi i giudici come un corpo speciale di combattimento politico.

        Ad agosto 2022, in piena campagna elettorale, l’allarme si ripresenta: “Nei prossimi 40 giorni faranno di tutto. Anche perché stanno aspettando la cavalleria che è ancora in vacanza: la magistratura”. Replica ironica dell’europarlamentare Nicola Procaccini: “No no, so’ tutti in ufficio”. Ma Crosetto non molla e rincara la dose: “E te pareva. Beati voi che avete l’immunità!”. Un mix tra convinzione e paranoia che oggi, a distanza di due anni, si ripresenta puntualmente ogni volta che FdI si trova sotto i riflettori delle inchieste giudiziarie.

        La strategia di Crosetto e FdI è chiara: ogni accusa, ogni indagine, ogni avviso di garanzia non è mai un atto dovuto, ma una macchinazione di poteri oscuri. Un meccanismo che funziona, specialmente agli occhi dell’elettorato di Fratelli d’Italia, sempre più incline a credere alle narrazioni dei “poteri forti” che tramano contro il governo della destra. Ma se il passato ha insegnato qualcosa, è che il vittimismo funziona solo fino a quando la realtà non lo smentisce. E le chat interne, ora alla luce del sole, sembrano confermare che dietro l’apparente compattezza della coalizione si nasconda un campo minato di rivalità, sfiducia e calcoli politici.

        Le rivelazioni di “Fratelli di Chat” dipingono uno scenario piuttosto esplosivo: da un lato una Giorgia Meloni pronta a tutto pur di far fuori politicamente Salvini, dall’altro una Lega che, a quanto pare, non ha mai avuto il minimo dubbio su quanto fosse amata dai suoi alleati di governo. Oggi, mentre i due siedono fianco a fianco in Consiglio dei ministri, si può solo immaginare con che serenità e fiducia reciproca lavorino insieme. Dopo tutto, come diceva Fazzolari, “i cosacchi padani” non sono mai stati famosi per la loro affidabilità.

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          Politica

          “Meloni, la bugiarda del secolo”: il PD attacca sui social e infiamma lo scontro politico

          Il Partito Democratico alza i toni con un post che definisce Giorgia Meloni “la bugiarda del secolo”, accusandola di aver falsato la narrazione sul caso Almasri. Il premier risponde parlando di un mandato di arresto della Corte penale internazionale. Ma il dibattito si accende e la politica italiana si spacca ancora una volta.

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            Il clima politico in Italia è sempre più rovente. Questa volta a incendiare il dibattito è un post pubblicato sui social dal Partito Democratico, che accusa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni di aver mentito sul caso Almasri, definendola senza mezzi termini “la bugiarda del secolo”. Un attacco frontale che ha subito scatenato polemiche, non solo per il tono utilizzato, ma anche per la grafica scelta dai Dem, che richiama la copertina di M. Il figlio del secolo, il libro di Antonio Scurati su Benito Mussolini.

            L’accusa del PD è chiara: Meloni avrebbe mentito sulle comunicazioni relative all’indagine che la coinvolge, in particolare sulle informazioni ricevute dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Secondo il partito di Elly Schlein, il governo era stato ripetutamente sollecitato sul caso, ma ha cercato di minimizzare la vicenda. La polemica riguarda anche la terminologia usata dalla destra: il governo ha parlato di avviso di garanzia, quando in realtà si trattava di una semplice comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati, un atto che non implica automaticamente un’incriminazione formale.

            La risposta del premier non si è fatta attendere. Con un videomessaggio, Meloni ha respinto le accuse, spostando l’attenzione sul contesto internazionale. Ha ricordato che la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del capo della polizia giudiziaria di Tripoli, proprio mentre l’uomo si trovava in procinto di entrare in Italia, dopo aver trascorso giorni in altri Paesi europei. Secondo Meloni, la tempistica del provvedimento solleva più di un interrogativo e apre scenari complessi sul piano diplomatico.

            Le tensioni in Parlamento sono alle stelle. Matteo Orfini, tra i volti più critici dell’opposizione, ha ribadito che il governo non ha mai chiarito del tutto la propria posizione e che le dichiarazioni di Meloni servono solo a confondere l’opinione pubblica. Il PD, infatti, insiste sul fatto che il caso non sia una “rappresaglia” contro la premier, come insinuato dalla destra, ma un atto dovuto in seguito a un esposto.

            Ma lo scontro non si limita ai contenuti. Anche la forma scelta dal PD per lanciare il suo attacco ha fatto discutere. L’accostamento tra Meloni e Mussolini, per quanto graficamente evocativo, ha sollevato dubbi sull’efficacia della strategia comunicativa Dem. Da destra, si parla di “ossessione antifascista fine a sé stessa”, mentre alcuni osservatori ritengono che si tratti solo di una provocazione studiata per polarizzare il dibattito.

            In un clima già teso, la vicenda si aggiunge a una lunga lista di scontri istituzionali e politici che hanno caratterizzato gli ultimi mesi. Il governo Meloni resiste agli attacchi, ma il PD non sembra intenzionato ad abbassare il tiro. E, ancora una volta, l’Italia si ritrova con una politica sempre più infiammata, dove la dialettica si gioca più sui social che nelle sedi istituzionali.

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              Politica

              Meloni indagata: avviso di garanzia per il caso Almasri, coinvolti anche Nordio, Piantedosi e Mantovano

              La premier denuncia un’azione politica contro il governo: “Lo stesso pm del processo a Salvini”.

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                La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato di aver ricevuto un avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato in relazione al rimpatrio del cittadino Almasri. Il provvedimento è stato firmato dal procuratore della Repubblica Francesco Lovoi. Noto per aver seguito il processo per sequestro di persona contro Matteo Salvini, poi conclusosi con un nulla di fatto – è stato notificato anche ai ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano.

                Indagine innescata dal penalista Luigi Ligotti

                Secondo Meloni, l’indagine sarebbe stata avviata a seguito di una denuncia presentata dall’avvocato Luigi Ligotti. Si tratta del noto penalista ed ex politico di sinistra, vicino a Romano Prodi. Ligotti è conosciuto anche per aver difeso pentiti di peso come Tommaso Buscetta e Giovanni Brusca.

                Per la Meloni è un attacco al governo

                L’annuncio della premier è arrivato tramite un video, in cui ha denunciato l’azione della magistratura come un tentativo di colpire il governo. La vicenda si inserisce in un clima già teso tra esecutivo e toghe, con la giustizia sempre più al centro dello scontro politico.

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