Connect with us

Politica

L’anno che verrà tra sfide e ritorni: Meloni solida, Schlein ambiziosa, mentre il centro scruta l’orizzonte… Berlusconi?

Il 2024 si chiude con una Meloni saldamente al comando, ma il Partito Democratico di Schlein accorcia le distanze. Nel frattempo, Conte perde terreno, la Lega barcolla e i centristi arrancano, mentre l’idea di una discesa in campo di Pier Silvio Berlusconi scuote gli equilibri.

Avatar photo

Pubblicato

il

    Il 2024 si chiude lasciando dietro di sé un panorama politico italiano complesso ma tutto sommato stabile, almeno per i principali protagonisti. Ma cosa porterà all’Italia e agli italiani l’anno che verrà? Il 2025 sarà un anno complicato dal secondo avvento di Trump che – secondo molti analisti – avrà conseguenti pesanti per un’economia europea già in crisi. E le guerre che incendiano il pianeta non sembrano avviarsi a un lieto fine a tempi brevi.

    A Roma gli equilibri non si sono spostati in modo drammatico, ma alcune dinamiche promettono di rendere il prossimo un anno decisivo. Giorgia Meloni guida un esecutivo che, contro molte previsioni, ha mantenuto salda la fiducia di un elettorato fedele nonostante le difficoltà del secondo anno di governo. Ma il Partito Democratico, con una Elly Schlein in crescita, si avvicina sempre più, riducendo il divario e aprendo uno spiraglio per una possibile futura alternanza.

    Intanto, il Movimento 5 Stelle continua il suo crollo, schiacciato da lotte interne e da una leadership che non sembra essere ancora in grado di invertire decisamente la rotta. Il centrodestra, tra luci e ombre, consolida il suo predominio con un risultato sorprendente per Forza Italia e una Lega che, pur barcollando, si mantiene in piedi.

    Giorgia Meloni chiude il 2024 con un consenso stabile al 28,8%. Una percentuale che, dopo due anni di governo, è più che rispettabile e conferma la capacità di Meloni di parlare al suo elettorato senza subire cali significativi. Questo risultato, però, non è privo di insidie. La premier ha dovuto navigare tra crisi economiche, tensioni sociali e un’opposizione che, almeno in parte, ha iniziato a trovare una voce più incisiva.

    La sfida per il 2025 sarà consolidare questo consenso, evitando che le difficoltà di governo e i primi segnali di malcontento sociale si trasformino in un’erosione significativa del suo zoccolo duro. Tuttavia, la distanza sempre più ridotta con il Partito Democratico potrebbe spingere Meloni a cambiare approccio, cercando di ampliare la sua base elettorale oltre i confini dell’attuale coalizione.

    Spingendosi al centro? Difficile dirlo, ma potrebbe essere la strategia vincente per una leader che ambisce a consolidarsi anche all’estero togliendosi ogni patina residua di “underdog”.

    Se il 2024 è stato l’anno della conferma per Meloni, per Elly Schlein rappresenta una svolta. Il Partito Democratico guadagna 4 punti percentuali, arrivando al 23,5%. Una crescita che non solo lo consolida come principale forza di opposizione, ma che lo avvicina sensibilmente a Fratelli d’Italia, riducendo il divario a poco più di 5 punti. Schlein ha saputo costruire un messaggio politico capace di intercettare il malcontento di un elettorato progressista che si era sentito trascurato negli ultimi anni.

    La sua agenda, fortemente orientata ai temi sociali, ambientali e dei diritti civili, con la bussola puntata su sanità e lavoro, ha fatto breccia soprattutto tra i giovani e nelle grandi città. Il 2025 rappresenterà per lei una sfida cruciale: mantenere questa crescita e, soprattutto, trasformare il consenso in una strategia politica in grado di competere realmente con il centrodestra.

    Se c’è un partito che esce malconcio dal 2024, questo è il Movimento 5 Stelle. Sotto la guida di Giuseppe Conte, il M5S ha perso 5 punti percentuali, scendendo all’11,4%. Un risultato che testimonia una crisi profonda, aggravata dalla fuoriuscita burrascosa del fondatore Beppe Grillo e da un’identità politica sempre più confusa. Conte, pur riuscendo a consolidare il suo controllo interno, non è riuscito a convincere l’elettorato. Le battaglie simboliche del passato sembrano ormai lontane, e il Movimento fatica a proporre una visione chiara e coerente. La sfida per il 2025 sarà quella di reinventarsi, ma senza una strategia forte e una leadership carismatica, il rischio è di scivolare ulteriormente verso l’irrilevanza.

    Il centrodestra, nel suo complesso, regge bene, ma al suo interno emergono dinamiche contrastanti. Forza Italia sorprende tutti con una crescita dal 7,5% al 9,1%, dimostrando di aver superato con successo la scomparsa di Silvio Berlusconi. Sotto la leadership di Antonio Tajani, il partito ha saputo posizionarsi come il volto moderato della coalizione, raccogliendo consensi soprattutto tra gli elettori centristi e più anziani.

    La Lega, invece, continua a vivere un periodo difficile. Matteo Salvini si mantiene stabile all’8,8%, ma il partito soffre di una crisi di identità e di una fronda interna sempre più rumorosa. L’ingombrante figura di Roberto Vannacci, che rappresenta una destra più radicale, rischia di sottrarre ulteriori consensi a Salvini, mettendo in discussione la sua leadership.

    Il centro politico chiude il 2024 in una situazione di stallo. Azione e Italia Viva registrano cali significativi, rispettivamente al 2,7% e al 2,3%. La fusione tra i due partiti non sembra aver prodotto i risultati sperati, mentre nuove figure emergono all’orizzonte. Paolo Gentiloni e Ernesto Maria Ruffini rappresentano due potenziali leader per un centro che guarda alla tradizione della Margherita, ma la strada per ricostruire una proposta politica credibile appare ancora lunga. Luigi Marattin, con il suo progetto di un nuovo partito liberale, cerca di attrarre l’elettorato disilluso, ma la frammentazione interna e la mancanza di una visione unitaria rischiano di rendere il centro sempre più marginale nel panorama politico italiano.

    Da parte loro i Berlusconi (Marina e Pier Silvio) continuano a smentire la loro possibile discesa in campo. Ma le voci sono sempre più insistenti e da qualche settimana si vocifera anche una data, tra aprile e giugno, che arriverebbe in contemporanea con un eventuale referendum sull’autonomia differenziata che – se perso dal centrodestra – metterebbe Salvini e la Lega al palo. Ma come si muoverebbe la nuova Forza Italia ancora con un Berlusconi al timone?

    Resterebbe nel centrodestra o punterebbe al centro spiazzando tutti gli altri tentativi e provando a ricreare una grande forza popolare e democratica lontana da populismi deleteri e improbabili?

    Con il nuovo anno, lo scenario politico italiano si prepara a nuove sfide. Il Partito Democratico punta a consolidare la sua crescita e a sfidare seriamente Giorgia Meloni, mentre il Movimento 5 Stelle dovrà affrontare la sua crisi esistenziale. Il centrodestra, pur mantenendo una posizione di forza, dovrà gestire le tensioni interne, soprattutto nella Lega.

    Il 2025 sarà un anno di svolta, in cui ogni partito sarà chiamato a dimostrare non solo la propria capacità di attrarre consensi, ma anche di tradurli in un progetto politico credibile e duraturo. Le carte sono sul tavolo, e la partita è ancora tutta da giocare.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Politica

      Bengasi chiude i cancelli: la figuraccia internazionale di Piantedosi (e dell’Europa)

      Missione saltata, delegazione espulsa, onta pubblica: la trasferta del Viminale in Libia orientale si trasforma in un boomerang diplomatico. E Bengasi lancia un messaggio chiarissimo: “Qui comandiamo noi”.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

        Atterrano, si guardano intorno, pronti per stringere mani, scattare foto e pronunciare le solite frasi fatte tipo “collaborazione fruttuosa”, “dialogo costruttivo”, “fronte comune sui flussi migratori”. E invece… “Preparatevi a ripartire”. No, non è l’incipit di un racconto comico, ma la sintesi cruda della missione (fallita) del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e della delegazione Ue a Bengasi. Una scena da film, solo che il genere è commedia nera: atterrati a Benina, dichiarati personae non gratae e gentilmente accompagnati alla porta d’imbarco. Game over in meno di un’ora.

        Per la cronaca, con Piantedosi c’erano anche i ministri dell’Interno di Grecia e Malta, oltre al Commissario europeo alle Migrazioni, Margaritis Schinas. Un bel team. Una missione “strategica”. Un disastro annunciato.

        La Libia, lo sanno anche i sassi, è un Paese spaccato in due: a ovest il governo riconosciuto da ONU e amici, a est il blocco filorussissimo della Cirenaica, che ha già fatto capire più volte che l’Europa può bussare, ma a porte chiuse. E invece la delegazione Ue è arrivata come se nulla fosse, con la delicatezza di un elefante in una cristalleria tribale. Risultato: tutti a casa, senza passare dal via.

        Il comunicato del governo libico orientale è stato più esplicito di una testata diplomatica: “Violazioni delle procedure”, “mancanza di rispetto delle leggi libiche”, “sovranità nazionale calpestata”. E, ciliegina sulla torta, la definizione lapidaria: “persona non grata”. Tradotto: “non ci servite, non vi vogliamo, non fate finta che sia un incidente. Non è un incidente. È un messaggio”.

        E che messaggio. Dietro il linguaggio istituzionale c’è una verità politicamente scottante: la Libia non è più terreno neutro, ma un campo minato dove le missioni europee entrano a proprio rischio e pericolo. E in questo caso, senza nemmeno il rischio: solo il pericolo, concretizzato in una figuraccia mondiale.

        Il Viminale, che già non brilla per agilità diplomatica, ora dovrà spiegare come mai una missione internazionale sia stata gestita con tanta leggerezza, come se Bengasi fosse un quartiere periferico di Roma e non una roccaforte semi-autonoma in mano a milizie e potentati locali. Ma soprattutto, dovrà spiegare perché si continui a credere che basti l’etichetta “Unione Europea” per farsi spalancare tutte le frontiere. Siamo nel 2025: quella stagione è finita.

        E l’Europa? Zitta. Come al solito. O, nella migliore delle ipotesi, affaccendata a trovare una frase abbastanza vuota da suonare importante e abbastanza ambigua da non dare fastidio a nessuno. Un comunicato stampa in corpo 10, senza firme né conseguenze. Diplomazia 2.0: quando prendi schiaffi, fai finta di non sentirli.

        Intanto, dal lato libico, il premier della Cirenaica Osama Saad Hammad gongola. Ha umiliato mezza Europa con una nota stampa e un cambio di gate. E ha fatto passare un messaggio chiaro: “la Libia orientale non è vostra alleata, né vostra cliente”. Potete mandarci soldi, droni, corsi di formazione per la guardia costiera, ma non vi illudete di comandare. Quello l’abbiamo già fatto noi, con voi sulla pista d’atterraggio.

        Il paradosso? Piantedosi era andato in missione per parlare – manco a dirlo – di migranti. Tema che in Libia è una questione di potere, milizie, traffici, porti. Cioè esattamente tutto ciò che l’Europa continua a fingere di non vedere. E in cambio, si becca l’ennesimo no secco, urlato a voce bassissima ma risuonante fino a Roma.

        In un mondo normale, questa debacle avrebbe provocato dimissioni, interrogazioni, crisi diplomatiche. Invece, probabilmente, finirà con qualche riga sui giornali e un’altra missione “strategica” già programmata tra un mese. Magari stavolta a Tripoli. O a Tobruk. Basta che si apra la porta. E che qualcuno, almeno una volta, controlli prima chi c’è dietro.

          Continua a leggere

          Politica

          Lollobrigida e la bresaola yankee: il ministro e la teoria della carne ormonata “di scambio”

          Francesco Lollobrigida tenta il colpo diplomatico: “Facciamo la bresaola con la loro carne ormonata, ma solo per il loro mercato”. L’idea, presentata al forum di Bruno Vespa, scatena l’ironia dei social. E c’è chi parla di “bresaola sconsigliata” e salumi con la retromarcia.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            Francesco Lollobrigida ha parlato. E quando lo fa, il made in Italy trema. Al forum in Masseria di Bruno Vespa, il ministro dell’Agricoltura ha rivelato la sua arma segreta per convincere Donald Trump a rivedere i dazi: vendere agli americani bresaola fatta con la loro carne, piena di ormoni, secondo il loro “modello alimentare”. Sì, avete letto bene. Perché, come spiega lo stesso ministro con slancio acrobatico, “tanto già importiamo il 90% della carne per fare la bresaola”. E allora, perché non prenderla direttamente dagli USA? Magari infilandoci un fiocco tricolore, per poi rivendergliela “secondo i loro standard”, aggiunge lui, “anche se io la sconsiglio”. Una trovata geniale, quasi da Premio IgNobel.

            Il popolo dei social si è scatenato. C’è chi scrive che “persino il criceto che ha in testa si dissocia” e chi invoca il ritiro del passaporto alimentare italiano. Ma il ministro non indietreggia. Dopo aver difeso il vino con la celebre frase “anche l’abuso di acqua può portare alla morte”, ora prova a far passare l’idea che la bresaola ormonata americana sia una brillante strategia diplomatica. Più che un baratto commerciale, un compromesso al sapore di contraddizione.

            Dietro l’azzardo, c’è l’ansia da trattativa. Trump minaccia dazi fino al 17% su prodotti europei e Lollobrigida, di ritorno da una missione americana, si aggrappa a ogni leva possibile: dalla bresaola “made in USA” alla soia. “La compriamo quasi tutta da Brasile e Argentina”, dice, “solo un sesto dagli Stati Uniti”. Quindi? Un’ulteriore offerta sul piatto per “riequilibrare” una bilancia commerciale che ci vede esportare verso Washington per 8 miliardi, contro appena 1,7 importati.

            E così, pur ribadendo che la carne americana non rispetta i nostri standard sanitari, il ministro si mostra pronto a trasformarla in salumi “per loro”. Con la logica contorta del “noi non la mangiamo, ma se la vogliono loro…”, si spalanca un nuovo fronte gastronomico-diplomatico, dove la salute pubblica si mescola alla geopolitica commerciale.

            A Manduria, dove si teneva il forum, tra un calice di Primitivo e l’altro, qualcuno deve aver pensato che fosse uno sketch. Invece no. È la nuova frontiera del made in Italy, versione Lollobrigida: noi ci teniamo i salumi buoni, agli altri vendiamo la bresaola sconsigliata. E speriamo che Trump abbocchi.

              Continua a leggere

              Politica

              Mangiano bene, incassano meglio: la mensa della Camera è un affare d’oro

              La “Cd Servizi spa”, creata per gestire pulizie, parcheggi e ristorazione alla Camera, chiude l’anno con quasi mezzo milione di euro di utile. A fare la differenza? Il cibo: materie prime da 723 mila euro, incassi per 2,4 milioni. E intanto l’organico esplode: 257 dipendenti in quattro mesi

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                Altro che austerity: a Montecitorio si mangia bene, si spende poco e si guadagna parecchio. La nuova creatura dell’amministrazione della Camera, la Cd Servizi spa, ha chiuso il suo primo bilancio con un utile netto di 448.022 euro, a fronte di ricavi complessivi per 5,34 milioni. Non male per una società nata ufficialmente il primo settembre 2024 e operativa per appena quattro mesi.

                La spa, voluta dall’ufficio di presidenza guidato da Lorenzo Fontana, ha assorbito una serie di servizi prima affidati all’esterno: pulizie, giardinaggio, gestione dei dati interni, facchinaggio, parcheggio dei deputati, ma soprattutto la ristorazione. Ed è proprio tra i tavoli del ristorante e della mensa parlamentare che il bilancio ha trovato il suo piatto forte.

                I numeri sono lampanti: materie prime alimentari acquistate per 723.015 euro, a fronte di ricavi per 2,485 milioni. Un moltiplicatore generoso, se si considera che i famigerati “prezzi politici” rendono i pasti a Montecitorio decisamente più convenienti rispetto al mercato. Ma il volume – si sa – può far miracoli.

                Subito dietro, tra le voci che più contribuiscono al fatturato, ci sono i servizi di pulizia (1,63 milioni), la gestione dati (669 mila) e il facchinaggio (485 mila). In tutto, la macchina ha ingranato subito, anche grazie all’assorbimento del personale: oltre 256 dipendenti medi, tra cui un dirigente, due quadri, quasi 40 impiegati e più di 215 operai.

                Il costo del personale ha toccato 3,43 milioni di euro. Ma nonostante le spese, il bilancio resta positivo. Tra le curiosità: l’acquisto di un’auto intestata alla società per 53.500 euro e una consulenza da quasi 29mila euro per un medico del lavoro, definito tecnicamente “medico competente”.

                I conti, insomma, tornano eccome. E se è vero che l’obiettivo dichiarato era l’efficienza e la trasparenza, è altrettanto vero che la gestione “in house” si sta rivelando un investimento tutt’altro che in perdita.

                Sarà interessante vedere cosa succederà nel prossimo esercizio, quando la società sarà attiva per l’intero anno. Per ora, però, una cosa è certa: a Montecitorio non solo si mangia bene, ma si guadagna pure, e con contorni decisamente appetitosi.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù