Storie vere
Chi era il bimbo del cioccolato Kinder Ferrero? Il modello Matteo Farneti dice basta: “Sono io quel bambino, non rubatemi l’immagine!”
Non basta sorridere accanto a una scatola di cioccolato per diventare il volto Kinder. Ma chi è il bimbo di quell’immagine?
Ce lo ricordiamo un po’ tutti anche quelli che non consumavano le barrette della Kinder. Occhi azzurri, capelli biondi, sorriso rassicurante, era quel bimbo la cui immagine troneggiava su tutte le confezioni del cioccolato made in Ferrero. Per anni il suo volto è entrato nelle case di milioni di famiglie con le barrette della merenda. Una vera e propria icona. Dal 2004 al 2019, quello sguardo apparteneva a Matteo Farneti, oggi modello di Castel Maggiore (Bologna). Il cruccio di Farneti è il fatto che praticamente ogni giorno si trova a dover difendere la sua identità contro una schiera di usurpatori, millantatori e “pretendenti al trono” del bambino della Kinder. E tra questi troviamo anche il modello e attore Alessandro Egger, concorrente della trasmissione La Talpa.
La conferma ufficiale della Ferrero: “Il bambino è Farneti!”
A certificare la verità ci pensa la stessa multinazionale con sede ad Alba (Cn), che ha redatto e condiviso una nota ufficiale: “Possiamo confermare che il volto del bambino rappresentato sulle confezioni di Kinder Cioccolato dal 2004 al 2019 è stato quello di Matteo Farneti“. Eppure nonostante la dichiarazione, Farneti deve fronteggiare una situazione che definisce snervante. “Vedere persone che usano la mia immagine e si vantano di essere quel bambino è frustrante. Io devo giustificarmi per una cosa assurda: sono io il vero bambino Kinder, dovrebbero essere loro a spiegarsi!“. E incalza “Se davvero Egger ha lavorato per la Kinder, lo dimostri e usi una sua foto invece della mia! È spiacevole vedere la propria immagine in mano ad altri“.
Il caso Egger che si vende come Kinder-boy
La questione più spinosa riguarda Alessandro Egger, volto noto della televisione e dei social. Nel 2019, Egger ha pubblicato una foto su Instagram con una scatola di Kinder Cioccolato, lasciando intendere di essere lui il celebre bambino. Anche se non lo ha mai detto esplicitamente, i commenti sotto il post lo hanno immediatamente consacrato come l’ex bimbo Kinder, senza sapere, senza conoscere. Senza informarsi. Le dichiarazioni di Farneti del resto trovano un fondamento, considerando che Ferrero ha incluso il modello in un video ufficiale per celebrare il “ritiro” del volto dalla confezione, confermando ancora una volta la sua identità. Oggi Matteo lavora come modello e partecipa a campagne pubblicitarie, ma la confusione sull’iconico ruolo di bambino delle barrette non è senza conseguenze. Le false affermazioni lo hanno reso vulnerabile anche sul posto di lavoro. Ma come non era tutto chiarito? “Purtroppo nel mondo della moda e dello spettacolo qualcuno mi considera un bugiardo e questo mi danneggia professionalmente. È una storia che mi segue ovunque e mi costringe a giustificarmi continuamente“.
INSTAGRAM.COM/LACITY_MAGAZINE
Storie vere
Amore e fede: il coraggio di seguire il cuore contro le regole del celibato. Don Daniele non è il primo e non sarà l’ultimo…
Sta facendo il giro del web la storia di don Daniele Fregonese in servizio presso la Diocesi di Treviso che lascia il sacerdozio per andare a vivere con una parrocchiana.
Caro Don Daniele non stia in ansia. Il suo caso non è il primo e siamo certi che non sarà l’utimo caso di un sacerdote che lascia il suo incarico perchè si innamora di una parrocchiana e abbandona il celibato. La scelta di Daniele Fregonese, ex sacerdote della diocesi di Treviso – 51 anni originario di Fossalta di Piave – di lasciare il sacerdozio per vivere un amore nato con una donna che frequentava la sua parrocchia, ha acceso il dibattito su una questione complessa. E antica. Ovvero il celibato obbligatorio per i sacerdoti. Sebbene unico per l’attenzione mediatica ricevuta, il caso, come tutti sappiamo, non è isolato. Quello di Don Daniele è una storia nata con una collega in uno dei gruppi scout in cui era attivo da ormai diversi anni nel comune di Spresiano (Treviso).
Don Daniele e i tanti ruoli ricoperti
E pensare che il Don ricopriva diversi ruoli nelle diocesi di Treviso. Oltre che svolgere la finzione di parroco era anche vice cancelliere e direttore delle comunicazioni sociali. Le sue competenze in diritto canonico, inoltre, gli avevano permesso di assicurarsi un ruolo di docenza all’Istituto Superiore di Scienze Religiose Giovanni Paolo I. Ma qualche mese fa ha richiesto la riduzione allo stato laicale.
Celibato dei preti: una “disciplina rivedibile”
Tra gli episodi più recenti, si segnala Don Antonio Romano di Avellino, che dopo 23 anni di servizio ha rinunciato al ministero, annunciando su Facebook di aver trovato l’amore con una donna e di voler continuare il suo cammino di fede come missionario laico. Anche Don Tomas Hlavaty, parroco nella diocesi di Alba, ha fatto una scelta simile, abbandonando la tonaca per costruire una vita familiare e diventare papà. Questi episodi riflettono un crescente malessere che coinvolge molti sacerdoti. Le loro scelte non sono solo personali ma sollevano interrogativi sulla regola del celibato, definita da Papa Francesco una “disciplina” rivedibile. Mentre le Chiese ortodosse e alcune tradizioni cattoliche orientali permettono il matrimonio ai sacerdoti, il dibattito nella Chiesa occidentale rimane acceso, anche per fronteggiare il calo delle vocazioni. Storie che sollevano domande cruciali sul rapporto tra amore, fede e servizio spirituale.
Storie vere
Il coraggio di Matteo: dopo lo squalo, rinasce con una protesi e sogna l’Australia
Ritrovarsi in mezzo agli squali una seconda volta, con una protesi al posto della gamba, è un’esperienza che pochi riuscirebbero anche solo a immaginare.
Per molti, sopravvivere a un attacco di squalo sarebbe un trauma insuperabile. Per Matteo Mariotti, parmense ed ex studente dell’istituto Mandela di Castelnovo Monti, è diventato il punto di partenza per una straordinaria sfida personale. Attaccato in Australia, Matteo ha perso la gamba sinistra, ma non la sua voglia di vivere. Tre mesi dopo, si è tuffato di nuovo in mare, circondato dagli squali, per affrontare il proprio destino a testa alta e dimostrare a sé stesso che nulla può fermarlo.
Riconciliazione con il mare e lo squalo
Per Matteo è stato come chiudere un cerchio. “Prima di tuffarmi avevo ansia, ma una volta lì sotto mi sono sentito calmo, come riconciliato con quella parte di me e del mare. Trovarsi in mezzo agli squali dopo l’attacco è un’esperienza indescrivibile, ma era un passo necessario per andare avanti“. Il desiderio di continuare a vivere appieno ha spinto Matteo a un progetto ambizioso: creare protesi che gli permettano di praticare sport estremi come arrampicata, motocross, wakeboard e kitesurf. Non trovando sul mercato soluzioni adeguate, Matteo, insieme a un amico e con l’aiuto di ingegneri, ha deciso di costruire le protesi lui stesso.
“Voglio che queste protesi siano il mezzo per tornare a essere me stesso e, magari, aiutare altre persone nella mia situazione“, spiega. “Per me, questo incidente è solo un contrattempo. Non voglio limitarmi a sopravvivere, voglio vivere al massimo“.
Il ritorno in Australia con la sua protesi
Per Matteo, l’Australia non è solo il luogo dell’incidente, ma una terra di opportunità. “Qui a Monchio sto bene, ma sono limitato. Lì, lo stile di vita mi permette di crescere e vivere come desidero. Voglio riprendere in mano la mia vita e continuare a inseguire i miei sogni“. Tra questi, c’è anche la possibilità di completare il percorso in biologia marina che aveva iniziato prima di subire l’attacco dello squalo.
Storie vere
Si chiama Alen, il giovane eroe della Bassa Padana che salva una vita sulle Rive del Po
Un giovane autista di una ditta di Verona, lunedì mattina mentre era diretto a Dosolo per una consegna, ha notato qualcosa di strano…
Questa storia si svolge nella quiete apparentemente immutabile della Bassa Padana, a due passi dal fiume Po, tra campi di nebbia e paesaggi che sembrano usciti dalle storie di Don Camillo e Peppone. Lì si è consumato un dramma che avrebbe potuto finire in tragedia. È solo grazie al coraggio di Alen Halilovic, un giovane di 21 anni originario della Bosnia ma cresciuto in Italia, che quella giornata a Guastalla non si è trasformata in un altro tragico racconto di cronaca nera.
L’inizio di un atto eroico
E’ successo che lunedì mattina, lungo una strada solitaria che costeggia i campi umidi vicino al ponte sul Po, Alen, autista per una ditta di Verona, era diretto a una consegna. All’incrocio con la provinciale, una BMW bianca ferma con le portiere aperte ha attirato la sua attenzione. Avvicinandosi, ha visto qualcosa che lo ha fatto fermare di colpo: un uomo corpulento era a cavalcioni su una donna, la picchiava e brandiva un coltello. Senza pensarci, Alen ha invertito la marcia, si è piazzato dietro la vettura e, con il cellulare in mano, ha iniziato a filmare la scena mentre urlava per distrarre l’aggressore.
Alen: faccia a faccia con il pericolo
L’uomo della BMW, alto quasi un metro e novanta, si è girato verso di lui, il coltello sporco di sangue nella mano destra. “Aveva gli occhi spalancati e le labbra bianche, sembrava fuori di sé“, racconta Alen. Nonostante il timore, il giovane non si è tirato indietro: ha continuato a distrarlo e, quando l’uomo ha cercato di trascinare la donna in auto, si è lanciato contro di lui, riuscendo a mettersi in mezzo e a bloccarlo.
Una lotta contro il tempo
La donna, ferita al collo, si è aggrappata alla gamba di Alen, disperata. “Mi diceva: sto morendo, aiutami, non vedo e non sento più niente“, ricorda il ragazzo. Nel frattempo, il destino ha mandato un aiuto insperato: un’ambulanza della Croce Rossa, che passava per caso, si è fermata per prestare soccorso. Alen, con una lucidità straordinaria, ha persino chiamato la madre della donna per rassicurarla e raccontarle quanto accaduto. Nel frattempo, l’aggressore è fuggito, ma il giovane aveva già ripreso tutto con il cellulare, fornendo così alle autorità preziose prove per identificarlo.
Alen un eroe alla Guareschi…
“Tanta gente si volta dall’altra parte“, ha detto Alen con amarezza. “Io ho pensato che quella donna poteva essere una mia amica, mia sorella o mia madre. Non ci ho pensato un secondo: dovevo intervenire“.
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