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Storie vere

Quando sgomberi la cantina e, a sorpresa, salta fuori un Picasso

Un ritrovamento inaspettato in casa rivela una firma importante: quella di Pablo Picasso. Ma ci vorranno anni e anni di valutazioni e di perizie prima di poter dire che si tratta di un dipinto autentico.

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    Una storia vera, tra quelle che spesso vi raccontiamo, che inizia agli albori degli anni ’60. Esattamente quando un rigattiere di Pompei, scova e recupera una tela arrotolata durante la pulizia di una cantina di una villa a Capri. Un dipinto che reca la figura distorta e asimmetrica di una donna. Nell’angolo superiore sinistro, una firma in corsivo, “Picasso”, che per il giovane robivecchi non ha nessun significato.

    Appeso in soggiorno

    Quando si dice “avere fra le mani un tesoro”… e non saperlo. Portatolo a casa, dopo averlo sommariamente incorniciato, lo appende alla parete del soggiorno dove rimarrà per quasi cinquant’anni. Testimone silenzioso del quotidiano di una modesta famiglia come tante altre, in cui i genitori lavorano duramente e i figli si dedicano agli studi. L’artista responsabile di tale opera è naturalmente quel Pablo Picasso, maestro del cubismo e autore di un capolavoro leggendario come Guernica, proprio lui!

    E’ uguale a quella del mio libro!

    Il figlio più grande è il primo a sospettare qualcosa. Una figura vista in un suo libro di scuola gli evoca l’insolito volto del quadro appeso in salotto. E fa partecipe del sospetto la sua famiglia. Chiaramente la questione viene archiviata sotto il nome “riproduzione”. Ma il dubbio resta: cosa succederebbe se fosse proprio il Picasso citato nel suo libro scolastico? Se fosse così, il corso della loro vita sarebbe stravolto. Un’idea che, col tempo, diventa sempre più persistente, fino a trasformarsi in un’urgente necessità di ricerca, alimentata anche dai pareri positivi di varie persone terze. E’ necessario eliminare ogni incertezza prima di conoscere la verità, investendo anche denato, poiché le stime necessarie comportano un costo e c’è anche la possibilità di essere truffati. Ma ne potrebbe valere la pena…

    Il ritratto della sua compagna per nove anni

    Le analisi chimiche dei materiali, i raffronti con altre opere, le ricerche storiche convergono a focalizzare l’idea che il dipinto di Capri sia uno dei molti ritratti di Dora Maar, poeta e fotografa francese. Compagna e musa privata del celebre artista di Malaga per nove anni, prima di venire abbandonata. L’opera abbandonata può essere databile tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50.

    Con il prezioso aiuto di Luca Gentile Canal Marcante, cacciatore di arte nascosta

    Quindi il mistero parrebbe risolto. Niente affatto! Per esserne sicuri al 100% ci vogliono prove ben più irrefutabili, con una serie di ulteriori problemi dietro l’angolo. Il primo è l’inaspettata confisca per sospetta appropriazione indebita, una supposizione che si dissipa ancor più rapidamente, restituendo il bene ai suoi proprietari. L’ultimo è il muro di gomma eretto proprio dalla Fondazione Picasso. In aiuto della famiglia che detiene l’opera interviene la Fondazione Arcadia, con il presidente onorario Luca Gentile Canal Marcante, amante d’arte e cacciatore di tesori nascosti. E’ lui a farsi carico della situazione.

    La fondazione dell’artista non si pronuncia

    Viene coinvolto il massimo esperto in analisi chimico-scientifiche di opere d’arte, che va a sommarsi a precedenti stime da parte di esperti di pregio, tra i più prerstigiosi in circolazione. Dalla datazione esatta alla valutazione di carattere artistico, dai materiali alla “conformità”: tutto alimenta un corposo dossier che la fondazione parigina gestita dai figli di Picasso sembra non voler esaminare. Perchè mai? Il padre ha realizzato più di 14mila opere e riceve 700 richieste simili al giorno, ma non così dettagliate. Il punto fondamentale è comunque un altro: nel catalogo ufficiale di Picasso c’è un quadro apparentemente identico, il Buste de femme Dora Maar.

    Anche la forma lo conferma

    “Entrambi potrebbero essere originali”, dice l’ultimo degli esperti convocati, “ e probabilmente si tratta di due diversi ritratti del medesimo soggetto, dipinti da Picasso in tempi diversi. Una cosa però è certa: l’opera trovata a Capri e ora conservata a Milano è autentica”. Il risultato dell’ultima perizia eseguita sulla firma, lo conferma, attribuendola alla mano del maestro stesso. Questo è il tassello mancante che completa il quadro, effettivamente classificando l’opera esaminata tra i ritratti femminili di Picasso.

    Un valore che potrebbe aumentare se riconosciuto anche da Parigi

    “Porteremo questo studio insieme a tutti gli altri alla Fondazione di Parigi”, dichiara la famiglia, “in modo che possa essere riconosciuto come una delle opere di Picasso e inserito nel suo catalogo”. Anche se una tale attribuzione è di valore inestimabile per gli amanti dell’arte, questo potrebbe aumentarne il valore commerciale fino a 10-12 milioni di euro, rispetto ai sei attuali.

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      Tavola calda, anzi bollente! Da cena tra amici a orgia su WhatsApp: sesso, foto hot e un notaio nei guai a Bogliasco

      A Bogliasco, provincia di Genova, una cena tra un medico, un notaio e una donna si trasforma in un after-dinner a luci rosse con titolare del ristorante e cameriera. Qualche giorno dopo, le foto della serata finiscono su WhatsApp: la donna denuncia e la procura apre un fascicolo bollente.

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        A Bogliasco l’estate si è scaldata prima del previsto. Altro che spaghetti allo scoglio e bianco fresco: la cena tra amici si è trasformata in un post-serata da film vietato ai minori e, come se non bastasse, pure in un caso di revenge porn finito in Procura.

        Tutto comincia ai primi di giugno, quando una donna accetta l’invito di un amico medico per una cena tranquilla. Tranquilla, si fa per dire. Alla tavolata si aggiunge un notaio che lei non conosce. Location: un ristorantino della riviera, vista mare, di proprietà di un imprenditore amico del gruppetto. Si mangia, si beve, si chiacchiera. Bottiglie di vino scorrono allegre, il clima è quello del “qui e ora” tipico delle serate che promettono di finire male.

        Il titolare, tra un piatto di trofie al pesto e un sorso di Vermentino, ogni tanto si siede al tavolo. La complicità cresce, l’alcol aiuta, e quando scende la sera la cena diventa un after-dinner decisamente privato. Saracinesca abbassata, porta chiusa, e alla comitiva si unisce anche la cameriera, che è pure la compagna del ristoratore. Da quel momento, la cronaca si tinge di rosa, ma più fucsia acceso: effusioni, carezze, baci rubati, e in men che non si dica la tavola calda diventa un set a luci rosse improvvisato.

        La donna, tra stupore e incoscienza da calici di troppo, si ritrova tra le braccia della cameriera. Poi entrano in gioco i tre uomini: medico, notaio e titolare. La scena, degna di una commedia all’italiana versione hard, si consuma fino a notte fonda. Alle due del mattino, la compagnia si scioglie: il dottore e la donna danno un passaggio al notaio, poi la serata si chiude a casa di lei.

        Due giorni dopo, la doccia fredda. La donna si presenta nello studio del medico per un’ecografia programmata e lì riceve la notizia che cambia tutto: sul cellulare dell’amico ci sono foto della serata hot. Lui non sa spiegarsi come siano arrivate. Peccato che, nel frattempo, le stesse immagini abbiano già iniziato a girare su WhatsApp, in particolare dalle mani del notaio. E qui si passa dal peccato alla pena: la donna scopre che scatti molto espliciti della nottata sono finiti in chat tra colleghi e amici del professionista.

        Lei lo chiama, furiosa, chiedendogli di cancellare tutto. Il notaio, con la leggerezza di chi non ha capito la gravità della situazione, ammette di averle già inoltrate e propone un incontro “per sistemare la cosa”. La donna, a quel punto, decide di non andare e sceglie la via legale. Contatta l’avvocato Salvatore Calandra, prepara una querela dettagliata e si rivolge alla Procura di Genova.

        Sulla scrivania della sostituta procuratrice Daniela Pischetola arriva così un fascicolo da manuale del gossip giudiziario: sesso di gruppo, foto piccanti non autorizzate e un potenziale caso di revenge porn. Gli investigatori della polizia di Stato vengono incaricati di sentire tutti i protagonisti e, tra le prime informazioni raccolte, spunta anche l’ombra della droga per uso personale.

        Ora tocca alla Procura ricomporre i pezzi di questa tavola calda, anzi caldissima, che dalla Riviera ligure è finita dritta nel registro delle indagini. Intanto, in paese, la storia corre più veloce delle chat: c’è chi giura di aver visto le foto, chi di aver sentito gli audio. E al ristorante, tra una focaccia e una bottiglia di bianco, le prenotazioni calano. Perché un conto è mangiare in un locale “accogliente”, un altro è rischiare che la cena finisca in prima serata… su WhatsApp.

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          Clausura a luci rosse: suora beccata online, la badessa la richiama e finisce rimossa

          Una suora sorpresa su siti erotici, una badessa che invita alla castità, una lettera anonima al Vaticano e dodici religiose in fuga. A Vittorio Veneto le suore di clausura si sono divise tra obbedienza e ribellione, tra convento e villa segreta. Ma il convento, ora, non è più lo stesso.

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            C’era una volta un convento silenzioso, raccolto tra le colline venete, dove dodici monache di clausura vivevano nella quiete, tra litanie e rosari. Fino a quando il diavolo — o forse solo la connessione internet — non ci mise la coda. E a Vittorio Veneto scoppiò il finimondo tra le suore.

            A raccontare l’ultima novena della discordia è una delle religiose fuggite: «Una delle consorelle era stata scoperta dalla badessa Aline su siti erotici. L’aveva invitata con delicatezza a rispettare il voto di castità. Ma da lì — guarda un po’ — è partita la lettera anonima al Papa», spiega oggi, con voce non proprio da confessionale.

            La famosa missiva, indirizzata a Papa Francesco e firmata da quattro sorelle, accusava suor Aline di autoritarismo e gestione dispotica. Peccato che, secondo la versione delle “fuggiasche”, la questione sarebbe iniziata per tutt’altri motivi. Ovvero, per la voglia repressa di una sorella un po’ troppo curiosa.

            Suor Aline, per molti un punto di riferimento spirituale e disciplinare, è stata rimossa dal Vaticano dopo l’esplosione del caso. Al suo posto è arrivata suor Martha Driscoll. Ma a quel punto, il clima dentro il convento era già da apocalisse: tensioni, ispezioni, sguardi storti nei corridoi e, dicono, pure qualche porta sbattuta più forte del dovuto.

            Così, dodici suore hanno preso il velo (metaforicamente) e se ne sono andate. Ora vivono in una villa segreta, donata da un benefattore devoto e, immaginiamo, discretamente incuriosito. Temono “ritorsioni”, dicono. Non si sa da chi, ma si sa che preferiscono mantenere l’anonimato, anche se ormai — nel paese — il convento è diventato la nuova telenovela del dopomessa.

            «Invece di affrontare le criticità, è stata rimossa la badessa. E tutti i soldi sono rimasti nel monastero», raccontano. Le suore in fuga vivono oggi con uno stipendio, una pensione e qualche offerta della comunità. Ma la vera eredità, quella che arde tra incensi e pettegolezzi, è un convento spaccato in due.

            Una sola certezza rimane: anche tra le mura della clausura, le passioni umane battono più forte del silenzio. E dove non arrivano gli spiriti santi, arriva la fibra ottica.

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              Padova, rifiuta l’orale alla maturità: “È solo una sciocchezza”

              Aveva già i crediti per il diploma e ha scelto di non presentarsi all’orale come forma di protesta: “Il sistema scolastico genera solo stress e competizione”. Dopo un confronto coi docenti, ha accettato di rispondere ad alcune domande.

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                Gianmaria Favaretto, 19 anni, studente del liceo scientifico Fermi di Padova, ha deciso di voltare le spalle all’esame orale della maturità. Non per un ripensamento dell’ultimo minuto o per paura del confronto, ma per protesta. La mattina del colloquio, con un tono fermo e garbato, ha firmato il registro, ha ringraziato la commissione ed è uscito dall’aula. «Grazie di tutto, ma io questo colloquio non lo voglio sostenere», ha detto. E se n’è andato.

                La sua non è stata una fuga, ma una decisione meditata: “Avevo maturato questa scelta nel corso dell’anno. Con i 31 crediti accumulati nel triennio e i 31 ottenuti con le prove scritte, ero già a quota 62. Quindi avevo la sufficienza per il diploma”. Ma soprattutto, per lui, l’orale non aveva alcun valore. “È solo una formalità inutile – ha spiegato – un numero che pretende di misurare la persona, ma che non dice nulla sul suo valore reale”.

                Favaretto ha criticato duramente l’intero impianto della scuola italiana, e in particolare la pressione legata al voto: “C’è troppa competizione in classe. Ho visto compagni diventare cattivi per mezzo punto. Questa ossessione per il giudizio numerico soffoca la crescita e mina il benessere degli studenti”. Secondo lui, l’attuale sistema scolastico genera solo ansia e frustrazione, trasformando la maturità in una gara più che in un momento di riflessione o di passaggio.

                Di fronte alla sua scelta, la presidente di commissione ha reagito con fermezza: “Mi ha detto che stavo mancando di rispetto al lavoro dei docenti che avevano corretto i miei scritti”. Ma, dopo un confronto più sereno con gli insegnanti interni, è stato trovato un compromesso: Gianmaria ha risposto ad alcune domande di programma, guadagnando 3 punti che hanno portato il suo voto finale a 65 su 100.

                Un gesto forte, il suo, che non si limita a una protesta personale ma solleva interrogativi più ampi sul senso e sull’efficacia dell’esame di Stato. “Sono probabilmente il primo a fare una cosa del genere al Fermi”, ha detto. E forse anche uno dei pochi ad aver trasformato l’esame in un’occasione di denuncia.

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