Gossip
Cesara Buonamici: «Cristina Parodi? Insieme, non rivali»!
Cesara Buonamici, una delle figure più riconoscibili e amate del giornalismo televisivo italiano, ha spesso raccontato diversi aneddoti legati al periodo degli esordi. Ma uno dei più significativi riguarda la sua amicizia con Cristina Parodi, con cui esordì al Tg5 il 12 gennaio 1992. Questo esordio rappresentò non solo l’inizio di una nuova avventura professionale, ma anche l’inizio di una collaborazione e amicizia che durò nel tempo.

Cesara Buonamici svela aneddoti e riflessioni su una carriera che l’ha resa uno dei volti più noti del giornalismo italiano. Dall’infanzia serena e agiata trascorsa in una villa a Fiesole, circondata da affetti familiari, alla scoperta casuale del mondo del giornalismo. Un’avventura iniziata a Tele Libera Firenze, dove una giovane Cesara, con il suo inconfondibile stile, ha conquistato il pubblico. Un ritratto a tutto tondo di una donna forte, determinata e appassionata del suo lavoro.
“Ho trascorso l’infanzia in una villa a Fiesole in una famiglia “allargata, con due zie “signorine”, sorelle di papà, e la mia tata carmelitana”.
“L’esordio nel giornalismo, a Tele Libera, è avvenuto un po’ per caso, erano gli anni delle tivù libere. Cercavano ragazzi per i provini: presi la mia Mini e andai in una di queste, con un kilt e un golf blu. Fui spigliata e mi chiamarono per un secondo provino. Proprio perché non me ne fregava nulla”.
Il passaggio a Fininvest segnò un momento cruciale nella sua carriera. Ed è qui che inizia l’amicizia con Cristina Parodi.
Cesara e Cristina si trovavano a lavorare insieme in un contesto nuovo e stimolante, dove la competizione e la passione per il giornalismo erano ai massimi livelli. L’esperienza del Tg5 le vide protagoniste di una sfida importante: quella di creare un telegiornale che potesse competere con i colossi dell’informazione dell’epoca, in particolare con il Tg1 della Rai.
Cesara Buonamici ha raccontato che il rapporto con Cristina Parodi era tutt’altro che caratterizzato da rivalità. Le due giornaliste, infatti, non solo condividevano la passione per il lavoro, ma anche il tempo libero e ha rivelato che a Roma vivevano praticamente insieme, alimentando un’amicizia che andava ben oltre la semplice collaborazione professionale.


“Macché, ci è stata costruita addosso” – ha detto Cesara a proposito delle voci di rivalità con Cristina. Ha poi aggiunto che la vita quotidiana insieme era fatta di momenti semplici e condivisi: mentre Cristina suonava la chitarra e cantava, Cesara si dedicava a preparare da mangiare. Nonostante avessero case minuscole, riuscivano comunque a riunire molte persone, rendendo quei momenti conviviali e indimenticabili.
Quindi, clima di familiarità e amicizia regnava tra i giornalisti del Tg5, ma anche l’atmosfera informale e complice che caratterizzava il loro rapporto.
Un insegnamento fondamentale di Mentana, che la Buonamici ricorda chiaramente, riguardava l’importanza del linguaggio. Mentana insisteva sul fatto che bisognava essere semplici, ma non banali, mantenendo un linguaggio comprensibile e colloquiale. Questo approccio rifletteva la visione di Mentana per il Tg5, che considerava come un piccolo vascello pronto a cambiare rotta in qualsiasi momento. “Di fare attenzione al linguaggio. Essere semplici, ma non poveri, comprensibili e colloquiali”.
La Buonamici ha descritto Mentana come una persona dalla forte personalità, con momenti di intensa determinazione che possono spaventare chi gli sta intorno: “Con Mentana, quando gli vengono i famosi cinque minuti, conviene scappare – ha detto, sottolineando il suo carattere deciso.
Infine, a proposito della querelle tra Lilli Gruber ed Enrico Mentana, avvenuta di recente, la Buonamici ha evidenziando il contributo fondamentale che Mentana ha portato a La7, ha illuminato la rete.
Credit foto – Cristina Parodi IG
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Gossip
Belen lancia la maschera vulvare a forma di farfallina: “Anche quella va idratata” (e il web esplode)
Si chiama “Mia Libre” ed è l’ultima trovata della Rodriguez per prendersi cura delle parti intime. Una maschera vulvare, a forma di farfalla, che si applica là dove non batte il sole. Il video di lancio ha fatto il pieno di commenti: tra ironia, entusiasmo e doppi sensi, l’estate beauty non è mai stata così bollente

«Ti sembrerà troppo. È esattamente il punto». Belen Rodriguez non ha bisogno di mezze misure: per lanciare la sua nuova maschera vulvare, parte subito col botto. E infatti il web è esploso. La maschera si chiama “Mia Libre”, è a forma di farfalla (ma dai?) e si applica sulla zona vulvare per quindici minuti. Promette idratazione, freschezza e uno svecchiamento “lì sotto” che – parole sue – “tutte meritano”.
Il video di lancio, postato su Instagram sia dalla showgirl sia dal marchio Rebeya, la mostra mentre spiega con serietà chirurgica i benefici della maschera per la “parte più dimenticata del corpo femminile”. Una zona che, secondo Belen, “va curata tanto quanto curiamo il viso”. Tradotto: anche la farfallina vuole la sua dose di collagene, acido ialuronico e postbiotici Skinbac. E poco importa se qualcuno storce il naso: il prezzo è democratico (20 euro a maschera) e il trattamento è raccomandato tre volte a settimana. Altro che scrub.
Il popolo dei social, ovviamente, si è scatenato. Tra chi scrive “finalmente qualcuno che dice le cose come stanno” e chi commenta “quindi da farfalla torna a crisalide?”, il dibattito si fa rovente. Una follower chiede: “Ma le babbione possono usarla o serve il permesso della ginecologa?”. Un’altra giura: “La provo e poi vi aggiorno, magari la mia pussy ringiovanisce più di me”.
Belen, intanto, sorride e incassa. La missione è compiuta: si parla di lei ovunque, la maschera è sold out nel primo giorno e Rebeya vola nei trend. In fondo, l’ha sempre detto: se c’è da provocare, meglio farlo bene. E con stile. Anche se si tratta di skincare… molto intimo.
Interviste
Ema Stokholma: «Mia madre mi picchiava, mio padre spariva per anni. Ora sogno solo tranquillità»
«Sono al quarantesimo trasloco, ho venduto il mio primo quadro a cinquemila euro, sogno una casa silenziosa e niente figli. Ma ho la mia famiglia stile Friends, e va bene così». Ema Stokholma, nome d’arte di Morwenn Moguerou, si racconta con sincerità assoluta: «Papà diceva: torno lunedì. Poi spariva per quattro anni».

Morwenn Moguerou si sente ancora Morwenn, anche se dal 2009 tutti la chiamano Ema Stokholma. «Capisco che si debba semplificare. Quindi Ema va bene», ammette con leggerezza. La voce di Radio2, vincitrice del Premio Bancarella con Per il mio bene, DJ, pittrice e ora anche poetessa in erba, ha alle spalle una storia dura, ma non rinnega nulla: «Sono una donna che lavora. E che fa cose bellissime. Approfitto del fatto che me le lascino fare».
Nel memoir ha raccontato la violenza subita da bambina. «Il primo ricordo brutto? Quando mia madre mi picchiò in auto, avevo quattro anni». Ma anche tra quelle ombre, qualche luce: «I ricordi belli sono quelli a scuola. Era bellissimo vivere una vita normale. In mensa finivo sempre i piatti degli altri: ero affamatissima».
Anche oggi, ammette, l’appetito è collegato all’umore. «Forse rifiutavo tutto quello che arrivava da lei, sto ancora cercando di capirlo». Ma chiarisce subito: «Io non sono mai giù di corda. Magari mi arrabbio, ma mi passa dopo dieci minuti. E poi, non so resistere alle chips!».
La figura del padre è un’altra ferita aperta. «Persino mio padre mi diceva “ci vediamo lunedì”, e poi ricompariva dopo quattro anni… Ogni tanto mi manda un messaggio, ma è tutto lì». Più saldo il legame con il fratello Gwendal: «Ci vediamo 5-6 volte l’anno, l’ultima volta un mese fa a Parigi. I proventi del libro li divido con lui: è la mia storia, ma anche la sua».
Nel libro si parla anche di Stéphane, il libraio che le salvò la vita quando la madre la spinse a buttarsi nel fiume. «Avevo 9 anni. Quando sono tornata a Romans-sur-Isère, il negozio era lì, ma lui no. In vetrina c’era ancora lo stesso poster». E un amico le ha regalato un tappeto con la stampa delle iniziali sue e del fratello, un ricordo di un gesto, raro, affettuoso della madre.
Il giudizio materno sul sesso è stato pesante: «Mi colpevolizzava su cose che non capivo nemmeno. Come ho fatto a vivere la sessualità in modo positivo? E chi dice che io la viva in modo positivo?». Eppure, la femminilità non l’ha mai rifiutata. Ha fatto la modella per Fendi, Valentino, Versace. «Ma è un mestiere noioso, dove devi mostrare tutto fuori. Io ho tutto dentro».
La conquista più grande, oggi, è l’indipendenza. «La mia libertà è la cosa a cui tengo di più». E non sogna figli: «Non ho mai desiderato essere madre. Non sono cresciuta con il mito della famiglia da Mulino Bianco. Forse è l’unica cosa per cui ringrazio mia madre».
Eppure, con le figlie del suo ex compagno ha creato un legame vero. «È stata una bellissima esperienza. Spero che sappiano di poter sempre contare su di me».
Amicizie solide, progetti d’arte, analisi costante («Dal 2012 non ho mai smesso di lavorare su di me»), e una mostra su Marina Abramović vista a Londra: «Una delle artiste più importanti viventi. Mi ha invitata a Capri. Non potevo crederci».
I quadri li vende da sé: «Gino Castaldo mi ha detto: non aspettare una galleria, fai da sola. L’ultimo l’ho venduto a cinquemila euro. I miei amici li parcheggiano a casa loro finché non li vendo: a casa mia non ci stanno più».
Anche Andrea Delogu è una presenza centrale nella sua vita: «Lei è la boss. Decide tutto. Ma soprattutto, ha una cosa rara: la comprensione». E poi c’è Luca Barbarossa, «una figura importante», e Mirko Nazzaro, che le ha fatto scoprire Abramović. Quando è felice? «Quando ho venduto il mio primo quadro. E quando ho vinto il Bancarella: una compensazione assurda, in eccesso. Forse è la legge del karma».
Oggi sogna una casa silenziosa, magari fuori città. Ma intanto è al quarantesimo trasloco. «Sì, quaranta. Se contiamo anche la ristrutturazione. Ma non è ancora la mia casa definitiva. La mia natura è spostarmi». E nel frattempo, continua a togliere lentamente i tatuaggi: «È doloroso. Ma penso di aver già sofferto abbastanza».
Gossip
Elodie e Marracash: perché si torna a parlare di loro dopo le voci di crisi con Andrea Iannone
Le voci su una possibile crisi tra Elodie e Andrea Iannone riaccendono l’attenzione sul legame profondo con Marracash. Galeotta una canzone: “Niente canzoni d’amore”, eseguita da entrambi a pochi giorni di distanza. Coincidenza o messaggio nascosto?

«Nessuno sarà mai alla sua altezza». Bastò questa frase, detta da Elodie nel 2022 parlando di Marracash, per rendere chiaro a tutti che certi amori, anche se finiti, restano incollati alla pelle. E oggi, dopo voci sempre più insistenti di una crisi tra la cantante e il suo attuale compagno Andrea Iannone, il passato torna a far rumore.
I segnali? Sottili, ma abbastanza per far volare l’immaginazione dei fan. L’8 giugno, durante il concerto a San Siro, Elodie ha cantato “Niente canzoni d’amore”, brano di Marracash del 2015 che lei stessa aveva già reinterpretato nel 2020, quando erano una coppia. Un gesto che per molti è suonato come un messaggio in codice. Non è passata inosservata nemmeno la decisione del rapper di inserire lo stesso brano nella sua scaletta appena due settimane dopo, il 25 giugno. Coincidenze? Forse. Ma l’effetto nostalgia è garantito.
Nel frattempo, i riflettori si accendono su Elodie e Iannone, insieme da tre anni ma apparentemente distanti. Dopo la loro ultima apparizione pubblica — sempre al concerto di San Siro — il pilota è sparito dai radar social della cantante, e viceversa. Niente foto insieme, niente like reciproci, e nessun commento pubblico.
A soffiare sul fuoco ci ha pensato Deianira Marzano, che ha rivelato via social: «Pare che lui abbia scoperto alcuni messaggi di lei, ma non si sono lasciati». Il condizionale è d’obbligo, ma l’assenza di smentite da parte dei diretti interessati alimenta i sospetti.
C’è chi crede sia solo una fase, chi ipotizza un riavvicinamento con Marracash. In fondo, la loro storia ha avuto un impatto fortissimo anche sul piano artistico: è attraverso le canzoni che Elodie e il “King della Barona” hanno raccontato il loro amore. Ed è forse proprio lì, nella musica, che oggi qualcosa continua a vibrare. Anche se — almeno ufficialmente — non lo dicono.
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