Personaggi
Elettra Lamborghini, battaglia legale per il cognome che fa sognare il mondo
La cantante e influencer vuole registrare il proprio nome come marchio, ma la casa automobilistica non ci sta: il brand Lamborghini è uno dei simboli globali del lusso e dell’ingegneria italiana.
Un cognome che evoca velocità, lusso e potenza. Ma anche un campo di battaglia legale.
Elettra Lamborghini, cantante, personaggio televisivo e imprenditrice digitale, è al centro di una contesa con Automobili Lamborghini Spa per la registrazione del proprio nome come marchio commerciale. L’artista, nota per i suoi tormentoni pop e per l’attività di influencer, aveva tentato di proteggere “Elettra Lamborghini” come brand destinato a una linea di moda e beauty. Una strategia in linea con i trend delle celebrity internazionali, sempre più orientate a trasformare la loro immagine in business.
Il no della casa automobilistica
Il problema, però, è racchiuso proprio in quel cognome che porta il peso di una storia industriale. Lamborghini, infatti, è un marchio globale legato alle supercar di lusso, controllato dal 1998 dal gruppo Audi-Volkswagen. L’azienda emiliana, gelosa della propria identità, ha immediatamente opposto resistenza, temendo il rischio di confusione per i consumatori e la dispersione di un brand consolidato e riconosciuto in tutto il mondo.
Già in passato l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi aveva respinto la richiesta di registrazione avanzata da Elettra. La Commissione dei Ricorsi, però, aveva successivamente ribaltato la decisione, sostenendo che la notorietà dell’artista fosse sufficiente a giustificare un’eccezione. Un precedente europeo sembrava darle ragione: Lionel Messi, in un caso analogo, aveva ottenuto l’ok per il suo marchio personale nonostante l’opposizione di un’azienda di articoli sportivi con nome simile (“Massi”).
La decisione della Cassazione
Il colpo di scena è arrivato con la Cassazione, chiamata a valutare la disputa. Secondo i giudici, la fama televisiva e musicale di Elettra Lamborghini non basta a superare i diritti consolidati di un marchio storico come quello automobilistico. Il rischio di confusione rimane troppo elevato: chi vedesse il nome “Lamborghini” su un prodotto potrebbe collegarlo automaticamente al mondo delle supercar e non alla popstar.
La Corte ha quindi chiesto alla Commissione una nuova valutazione, stabilendo criteri più rigidi: l’uso del marchio personale dovrà essere continuativo, autentico, non contestato e soprattutto basato sulla buona fede. Una verifica che potrebbe diventare un banco di prova per il futuro equilibrio tra identità individuale e tutela dei brand industriali.
Un cognome, una storia
Dietro questa vicenda c’è anche un nodo familiare. Il nonno di Elettra, Ferruccio Lamborghini, fu il fondatore dell’azienda di Sant’Agata Bolognese negli anni Sessanta, prima di perderne il controllo per vicende societarie e finanziarie. Oggi la famiglia non ha più alcun ruolo nella gestione della casa automobilistica, che appartiene a un colosso internazionale. Per Elettra, dunque, l’uso del cognome è legittimo come dato anagrafico, ma non automaticamente come marchio da sfruttare commercialmente.
Gli avvocati in campo
La cantante è difesa dagli avvocati Alessia Rizzoli e Vittorio Costa, mentre Automobili Lamborghini ha schierato un team di legali composto da Paolo Lazzarino, Guido Gino Bartalini e Angelo Anglani dello studio ADVANT Nctm. Una partita ancora aperta, che potrebbe creare un precedente importante nel rapporto tra celebrità e diritti sui marchi.
Il futuro della contesa
Al momento, la questione resta in sospeso. Se da una parte Elettra Lamborghini rivendica il diritto di utilizzare pienamente il proprio nome, dall’altra Automobili Lamborghini difende un marchio che vale miliardi ed è tra i simboli del “Made in Italy” più riconosciuti a livello globale.
Quel cognome che per Elettra rappresenta la sua identità artistica e familiare, per l’azienda resta un patrimonio industriale da proteggere. In mezzo, la giustizia italiana, chiamata a decidere se i due mondi possano convivere o se uno dei due debba cedere.
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Personaggi
Amanda Lear torna a parlare di Dalí: «Era innamorato pazzo di me, ma non poteva soddisfarmi né aiutarmi»
Amanda Lear riporta alla luce aneddoti del suo legame con Salvador Dalí: un rapporto fatto di ossessioni eleganti, formalità infinite e confessioni inattese. «Mi adorava, ma restava prigioniero della religione e della moglie», racconta la musa, che svela come il pittore vivesse in un tempo tutto suo, tra aristocratici immaginari, tabù cattolici e il rifiuto categorico che lei fosse vista come un’amante.
Amanda Lear non smette mai di ritornare sul suo capitolo più iconico: Salvador Dalí. E questa volta lo fa con una serie di pillole che riportano il pubblico direttamente negli anni in cui la diva era la musa più misteriosa d’Europa. «Dalí era innamorato pazzo di me», dice, con quella naturalezza che solo lei può permettersi. Un innamoramento strano, quasi metafisico, perché il pittore sapeva perfettamente di non poterla “soddisfare”, come confessa Amanda con un sorriso tagliente.
Un amore fuori dal tempo
Lear racconta un Dalí che parlava e si muoveva come un aristocratico del Settecento. «A lui piacevano le contesse, le principesse», spiegando come il maestro avesse un’attrazione quasi teatrale per tutto ciò che odorava di nobiltà. Il rapporto tra loro era intimo ma formalissimo: «Ci siamo sempre dati del lei», rivela, come se anche nella privacy ci fosse una scenografia da rispettare.
Cattolico, geloso e rigidissimo
La diva rivela un tratto meno noto dell’artista: la sua religiosità. «Era religiosissimo, tradizionale. Non eravamo sposati e non gli piaceva l’idea che si pensasse fossi la sua amante». Un’improvvisa pruderie che stride con l’immagine del genio eccentrico e libertino che il mondo conosce. Dalí, invece, con Amanda si muoveva come un uomo d’altri tempi, timoroso del giudizio e legato a un rigore quasi clericale.
La verità su soldi, gelosie e limiti
Lear aggiunge un dettaglio che colpisce: «Sapeva che non avevo soldi, ma mi diceva: “Piccola Amanda, vorrei aiutarla, ma non posso. Ho una moglie e sono cattolico”». Una frase che vale più di mille biografie, perché mostra un Dalí incapace di rompere la gabbia delle proprie regole. Un uomo combattuto tra fascinazione e moralismi, tra la sua musa e Gala, la compagna di una vita.
E Amanda, ancora una volta, glielo perdona con eleganza.
Personaggi
Joe Bastianich: “Da povero e ciccione a imprenditore con tremila dipendenti. La fame era vera, ma mi ha dato la spinta”
Ristoratore, musicista, personaggio tv e ora protagonista di uno spettacolo autobiografico, Joe Bastianich ripercorre il suo cammino dal Queens a New York: “Consegnavo giornali per nove dollari a settimana. Abbiamo scongelato tonnellate di alette di pollo, ma quella fame mi ha insegnato tutto”.
“Da piccolo mi snobbavano perché povero, sfigato e ciccione. A scuola mi indicavano come quello che portava a merenda gli avanzi della cena. Quella rabbia ce l’ho ancora dentro.” Così Joe Bastianich racconta la sua infanzia nel Queens, nel nuovo spettacolo Money – Il bilancio di una vita, in scena al Teatro Carcano di Milano. “La fame a casa era vera, eravamo i migranti poveri. Ogni giorno c’era gente che guardava i miei dall’alto in basso e ci diceva: ‘Valete meno di noi’.”
Le origini della fame
Figlio di emigrati friulani, Bastianich non dimentica gli anni in cui la famiglia serviva piatti italiani in un ristorante di periferia. “Abbiamo scongelato tonnellate di alette di pollo, non potevamo permetterci di meglio. Poi i miei sono riusciti a spostarsi a Manhattan e da lì è iniziata la scalata.” Già a dieci anni consegnava giornali per nove dollari a settimana, poi lavorò in un panificio: “Arrivai a guadagnare 18 dollari. Non mi vergogno, anzi: è lì che ho imparato il valore del lavoro.”
Dal Queens ai riflettori
Oggi Bastianich guida più di venti ristoranti nel mondo, ha tremila dipendenti e una serie di aziende tra Stati Uniti e Italia. “Le opportunità che ho avuto io le offro anche agli altri. Mi arrabbio quando vedo chi tratta male i camerieri: mi ricorda quando lo facevano con me.”
La vita oltre il business
In tv, da Masterchef alle Iene, non ha mai nascosto le sue esperienze più forti. “Negli anni Ottanta tutti si drogavano: io ho provato per moda, ma ho capito presto che era una forma di autodistruzione. Ho smesso quando ho capito che la mia vera droga era il palco.” Poi l’esperienza mistica con l’ayahuasca in Perù: “È stata pazzesca, mi ha aiutato a conoscermi e ho pure smesso di fumare. Non è per tutti, ma se usata nel modo giusto può aprirti la mente.”
Oggi, tra una chitarra e un investimento, Joe si gode la sua rinascita. “Money per me non è solo denaro. È tutto ciò che ho guadagnato, perso e imparato nella vita. E ogni tanto guardo indietro, al ragazzo con gli avanzi del giorno prima, e gli dico: ne è valsa la pena.”
Personaggi
Sara Tommasi ricompare con un post surreale sdraiata sul letto in impermeabile animalier e calze nere tira in ballo la Canalis
Ogni tanto Sara Tommasi riappare con post imprevedibili e irresistibilmente spontanei. L’ultimo: una foto in cui è distesa sul letto, calze nere, impermeabile animalier e una didascalia che ha già fatto storia. Tra ironia, tenerezza e meme, il suo ritorno social diventa virale in poche ore.
Quando Sara Tommasi decide di fare capolino sui social, il risultato è sempre lo stesso: il web si ferma un attimo, guarda, sorride e ricondivide. L’ultimo episodio arriva direttamente da Facebook, dove la showgirl è tornata con uno scatto talmente improbabile da trasformarsi in un piccolo cult istantaneo.



Lo scatto che manda in tilt Facebook
La foto è semplice, quasi casalinga: Sara è sdraiata sul letto, avvolta in un impermeabile animalier lucido, alle gambe un paio di calze nere che sembrano uscite da un servizio fotografico degli anni Duemila. Ma è la didascalia a far esplodere tutto: «Non sembro la Canalis». Nessun punto di domanda, nessuna ironia dichiarata, solo un confronto impossibile che ha acceso like, commenti e una pioggia di meme.
La spontaneità che conquista sempre
Negli ultimi anni la Tommasi ha ridotto drasticamente le sue apparizioni mediatiche, ma quando ricompare lo fa con una sincerità che buca lo schermo. La sua presenza sui social è un mix di ingenuità, autoironia involontaria e lampi di surrealismo che ricordano i primi tempi del web. È proprio questa spontaneità, così lontana dalle pose costruite da influencer e celebrity, a renderla ancora un personaggio amatissimo.
L’effetto nostalgia: un ritorno che fa parlare
Il post ha subito scatenato la nostalgia dei fan, che ricordano gli anni in cui Sara Tommasi era ovunque: tv, cinema, gossip, serate, copertine. Oggi appare completamente diversa, più defilata, più domestica, con un look che oscilla tra il vintage e l’improvvisato. Ma c’è un filo rosso che non cambia: quella capacità di catturare l’attenzione anche con una sola frase improbabile.
“Non sembro la Canalis”: frase destinata a diventare tormentone
Tra i commenti spunta di tutto: chi ride, chi la incoraggia, chi cita la mitica Elisabetta Canalis come se fosse una categoria estetica a sé. E il fatto che Sara abbia scritto la frase senza interrogativo — come un’affermazione solenne, definitiva, quasi filosofica — rende il tutto ancora più spiazzante.
In un mondo in cui i social sono pieni di filtri, strategie e post studiati a tavolino, Sara Tommasi arriva, posta una foto in impermeabile leopardato e lascia tutti senza parole. Alla fine, il suo segreto è quello di sempre: essere totalmente imprevedibile. E per questo, irresistibile.
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