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Il Boss del rock tuona: Donald Trump è pericoloso, il mio voto a Kamala (VIDEO)

Un altro grandissimo nome della musica americana si aggiunge alla lista di personaggi eccellenti che si sono apertamente schierati dalla parte di Kamala Harris, in totale opposizione con le idee di Trump. Si tratta di una leggenda vivente del rock: Bruce “The Boss” Springsteen.

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    Taylor Swift, Barbra Streisand, Jennifer Lopez… e l’elenco potrebbe andare avanti per un bel pezzo, aggiungendo una grande quantità di nomi. Sono tutti star della musica che hanno ufficializzato il loro sostegno alla candidata democratica Kamala Harris. Una lista di illustri vip dello star system a 7 note che ora si allunga ulteriormente con il 74enne Bruce Springsteen, attualmente ancora nel pieno dell’attività artistica. “Me lo chiedono in tanti, ora rispondo: voterò Kamala Harris, Donald Trump è pericoloso”. Così il Boss del rock made in USA in un video sul suo account Instagram – girato dentro un diner, un tipico ristorante-caffetteria visto in tanti film – dichiara al mondo il suo sostegno ufficiale.

    L’America deve rimanere libera

    D’altronde le simpatie del rocker per i democratici non rappresentano certo una novità. Grande amico di Barack Obama, la sua opinione sull’ex presidente Trump somiglia a quella di tanti altri artisti, attori, scrittori americani che più o meno recentemente hanno detto la loro sul tycoon. Ma le parole di Springsteen, rispetto ad altri, suonano maggiormente dirette e articolate, appellandosi a una visione ideale dell’America come terra di libertà. Un concetto più volte espresso in alcune sue leggendarie canzoni, anche se resta da vedere quanto possano effettivamente incidere nello spostamento dei voti dei cosiddetti “indecisi”.

    Senza mezzi termini

    “Amici, fan e giornalisti mi chiedono chi sostengo in questa elezione cruciale” ha dichiarato l’artista The Boss “e sapendo che la mia opinione non è più o meno importante di quella dei miei concittadini comunque la risposta è la seguente: sostengo Kamala Harris come presidente e Tim Walz come vicepresidente e sono contro Donald Trump e JD Vance”. Preciso, diretto, inequivocabile.

    Una elezione tra le più importanti della storia americana di sempre

    Argomentando ulteriormente la sua scelta di campo: “Ecco perché. Siamo alla vigilia di una delle elezioni più importanti della storia americana, forse dall’epoca della Guerra Civile. Questo grande paese si sente politicamente, spiritualmente, emotivamente spaccato. Ma non è obbligatorio che sia così. I valori comuni, la storia condivisa che fanno di noi un grande paese unito aspettano di essere riscoperti e ridetti una volta di più. Ci vorrà del tempo, intelligenza, lavoro duro, fede, donne e uomini guidati nel cuore dall’interesse nazionale”.

    In passato a favore di Obama

    Springsteen fu tra i primi protagonisti della musica pop-rock statunitense ad appoggiare Barack Obama nella campagna elettorale del 2008, quella che portò alla vittoria del candidato democratico. L’autore di Born in the USA prese parte anche ad alcuni incontri pubblici e suonò pure al concerto tenuto dopo l’insediamento di Obama, esibendosi insieme al leggendario Pete Seeger in This land is your land.

    Premiato per il suo apporto culturale al sogno americano

    La vittoria di Obama gli ispirò in parte l’album Working on a dream del 2009, in cui il sogno era incarnato proprio dalla figura del presidente neo eletto. Quell’anno Obama – tra le altre cose grande amante di musica – decise di assegnare all’amico rocker uno speciale riconoscimento attribuito dal governo statunitense agli artisti che si distinguono nella diffusione della cultura a stelle e strisce. Durante la cerimonia che si svolse il 6 dicembre, il presidente presentò scherzosamente Springsteen utilizzando il suo soprannome: “I’m the president, but he’s the Boss”, “Io sono il presidente, ma lui è il Boss”.

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      Personaggi

      Ferragni alla maturità (ma in Tunisia): dal pandoro-gate ai banchi d’esame

      Lo scandalo del pandoro, la perdita di credibilità, le scuse social e la fuga dei brand: tutto inserito nella prova di inglese per la maturità tunisina. Altro che imprenditrice digitale: qui si studia il tracollo di un brand come esempio da manuale

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        Altro che “power couple”, altro che regina dell’imprenditoria digitale. Chiara Ferragni ormai è ufficialmente diventata un caso da manuale. Non di marketing, ma di come bruciare in pochi mesi un impero costruito a colpi di selfie e collab. E la conferma non arriva da un podcast, da Selvaggia Lucarelli o da qualche saggio universitario italiano. No, arriva dritta da un’aula scolastica tunisina, dove in questi giorni si svolgono gli esami di maturità.

        Nella sezione Economia della prova scritta di lingua inglese, il Ministero dell’Istruzione tunisino ha infilato una traccia che suona come una condanna: “Analizzate il caso Chiara Ferragni alla luce dell’articolo pubblicato dal The Guardian il 13 gennaio 2024”. Una vera e propria autopsia dell’operazione-pandoro, a partire dall’accordo con Balocco da un milione di euro fino alle multe dell’Antitrust. Nessun filtro bellezza. Solo numeri, contratti e cadute.

        A rilanciare la notizia è stata la pagina social tunisina Lyceena, specializzata in temi scolastici. Il che ci dice una cosa molto chiara: la fama della Ferragni è talmente globale che anche dall’altra parte del Mediterraneo è diventata un caso di studio. Peccato che lo sia non per meriti imprenditoriali, ma per il contrario.

        Gli studenti tunisini devono ora analizzare, in inglese, come un’operazione di marketing possa trasformarsi in boomerang. Il testo del Guardian non risparmia nulla: il video di scuse postato da Chiara con la triste musica di sottofondo, il gelo calato sulle collaborazioni con brand come Coca-Cola, l’effetto domino sulla reputazione del marchio. L’articolo si concentra soprattutto sull’impatto economico della vicenda, mostrando come la fiducia in un brand, una volta tradita, può essere quasi impossibile da riconquistare.

        Ironia della sorte, in Italia il dibattito è finito nel frullatore dell’opinione pubblica e della satira. In Tunisia, invece, Ferragni è diventata materia d’esame. Gli studenti devono capirne le cause, analizzare gli errori, valutare le conseguenze. Insomma, imparare dal fallimento di un’influencer globale per evitare gli stessi errori.

        A volte la realtà supera l’ironia. E se fino a ieri il nome di Chiara Ferragni faceva curriculum, oggi fa lezione. Ma in Tunisia.

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          Personaggi

          Chiara Ferragni in crisi: Fenice Retail chiude con 1,2 milioni di perdite e i soci si scontrano

          Dopo la chiusura dello store romano, la società legata agli store fisici di Ferragni finisce in liquidazione. I soci contestano la gestione e chiedono chiarezza sui conti

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            Chiara Ferragni si trova ad affrontare l’ennesima sfida in un periodo già complesso della sua vita pubblica e imprenditoriale. Dopo la confessione sulle violenze psicologiche e verbali subite, l’imprenditrice e influencer deve ora fare i conti con la chiusura di Fenice Retail Srl, società che gestiva gli store fisici legati al suo marchio. La decisione di mettere in liquidazione la società è arrivata dopo la chiusura dello store romano di via del Babuino, a cui si era già aggiunta la serrata del punto vendita milanese.

            I numeri parlano chiaro: Fenice Retail ha accumulato perdite per 1,21 milioni di euro nel biennio 2023-2024. Una situazione che ha portato a un inevitabile ridimensionamento dell’ambizioso progetto retail del brand Ferragni, costringendo la società a mettere in stand-by la sua presenza nei negozi fisici. Un colpo che segna un passo indietro rispetto ai piani di espansione e che riapre vecchie ferite nella gestione societaria.

            La messa in liquidazione ha infatti generato forti tensioni all’interno di Fenice Srl, la holding che controlla al 100% Fenice Retail. Qui il confronto è diventato acceso tra l’amministratore unico Claudio Calabi e il socio di minoranza Pasquale Morgese. Durante l’assemblea di marzo, il legale di Morgese ha contestato la mancanza di documenti messi a disposizione, in particolare il bilancio di Fenice Retail. Una mancanza che, secondo il socio di minoranza, impedisce di capire se la liquidazione fosse davvero l’unica strada possibile o un passo affrettato.

            Morgese, che detiene lo 0,2% di Fenice Srl a fronte del 99,8% in mano alla stessa Ferragni (dopo l’ultimo aumento di capitale interamente versato dall’influencer), ha chiesto maggiore chiarezza e trasparenza, sottolineando come “in assenza di una previsione di chiusura dettagliata, i soci non hanno elementi per capire se la liquidazione sia davvero necessaria”. Dal canto suo, Claudio Calabi ha difeso la decisione, affermando che si è trattato di un’operazione inevitabile per traghettare la società verso una liquidazione “in bonis”, cioè in regola e senza ulteriori rischi economici.

            Il caso Fenice Retail si inserisce così in un quadro già delicato per Chiara Ferragni, che in queste settimane è al centro di una riflessione più ampia sul suo futuro imprenditoriale e sulla gestione delle sue attività commerciali. La chiusura dei negozi fisici segna la fine – almeno per ora – di un progetto ambizioso che aveva portato la regina dei social ad affacciarsi anche nel mondo del retail tradizionale. Resta ora da capire se questa sia solo una battuta d’arresto o l’inizio di una nuova fase, più attenta ai conti e ai rischi di un mercato in continua evoluzione.

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              Guai con il fisco per Angelo Duro: 150mila euro di presunta evasione

              Il comico palermitano, noto per il suo stile provocatorio, è al centro di un’indagine della Procura di Roma per presunto risparmio illecito d’imposta.

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                Angelo Duro, attore e comico dal linguaggio tagliente e senza filtri, è finito sotto la lente della Guardia di Finanza per una presunta evasione fiscale da 150mila euro. Secondo le indiscrezioni riportate da La Repubblica, l’indagine, ancora a carico di ignoti, punta a verificare la gestione fiscale dell’artista e il presunto utilizzo di uno schema societario per ridurre il carico fiscale. La Procura di Roma, guidata dal procuratore aggiunto Stefano Pesci, sta accertando se Duro abbia aggirato la transizione dal regime forfettario a quello ordinario, creando una società per continuare a incassare i compensi pagando l’Ires invece dell’Irpef, con un risparmio fiscale che gli inquirenti stimano intorno ai 150mila euro.

                Come si difende il comico

                L’artista ha affidato la sua difesa a un team legale che punta a dimostrare l’assenza di intento fraudolento e la legittimità della struttura societaria utilizzata. Secondo gli avvocati, non si tratterebbe di una strategia evasiva, bensì di scelte tecniche e contabili per gestire le proprie attività professionali. I magistrati dovranno ora stabilire se la società creata da Duro servisse realmente per sviluppare un’attività economica autonoma, oppure se fosse un semplice escamotage per versare meno tasse.

                Chi è Angelo Duro?

                Nato a Palermo, Angelo Duro ha conquistato il pubblico con un umorismo provocatorio e politicamente scorretto, diventando un nome di riferimento nel mondo dello spettacolo. Dopo il successo con Le Iene, ha portato i suoi monologhi in teatri sold out in tutta Italia, conquistando una platea affezionata grazie al suo stile diretto e dissacrante. Nel 2023 ha partecipato a Sanremo, mentre nel 2024 ha debuttato al cinema con il film Io sono la fine del mondo, ottenendo ottimi risultati al botteghino.

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