Gossip
Selena Gomez sposa Benny Blanco a Santa Barbara: nozze vista oceano con Taylor Swift testimone e un abito Ralph Lauren da sogno
La cerimonia nella tenuta privata Sea Crest Nursery con vista sull’oceano Pacifico, seguita da un ricevimento all’hotel El Encanto. Tra gli ospiti Martin Short, Steve Martin, Paris Hilton e, naturalmente, la migliore amica Taylor Swift che ha fatto da testimone alla sposa.

Selena Gomez ha detto “sì” a Benny Blanco in una cerimonia elegante e piena di emozione a Santa Barbara. Dopo mesi di indiscrezioni, la coppia ha ufficializzato il loro amore nel modo più romantico: un matrimonio intimo ma ricco di ospiti illustri, celebrato sabato nella spettacolare piantagione privata Sea Crest Nursery, a Goleta, con vista diretta sull’oceano Pacifico.
La cantante e attrice 33enne, protagonista della serie Only Murders in the Building, ha scelto per l’occasione un raffinato abito color avorio firmato Ralph Lauren, con scollo a halter e una cascata di fiori di seta intorno al collo. Un look classico e al tempo stesso moderno, che ha conquistato tutti gli invitati e i social, dove le prime immagini del matrimonio sono diventate virali nel giro di poche ore.
Al suo fianco, come testimone e amica inseparabile, c’era Taylor Swift, arrivata in abito di raso color borgogna. Tra gli ospiti anche Paris Hilton, Martin Short e Steve Martin – i colleghi di Selena sul set della serie Hulu – insieme a 170 invitati tra amici, familiari e figure del mondo della musica.
La festa è iniziata la sera prima, con una cena di fidanzamento all’hotel El Encanto, uno dei resort più esclusivi della California, dove la coppia ha accolto amici e parenti in un’atmosfera rilassata e romantica. Poi, sabato, la cerimonia vera e propria, con un altare decorato da rose bianche e un tappeto di petali lungo il viale principale della tenuta.





“Questa giornata è tutto ciò che avevo sognato”, avrebbe confidato Selena agli invitati, emozionata fino alle lacrime. Il produttore Benny Blanco – elegante in un completo grigio chiaro con fiore all’occhiello coordinato all’abito della sposa – ha risposto con una dedica pubblica su Instagram: “Mia moglie nella vita reale”, scrivendo le parole che hanno mandato in visibilio i fan di entrambi.
Selena e Benny si conoscono da anni: hanno collaborato a diversi progetti musicali prima che, nel 2023, la loro amicizia si trasformasse in una storia d’amore. La proposta di matrimonio era arrivata nel dicembre 2024, durante una vacanza alle Hawaii. Da allora, i due non si sono più separati.
Ora, dopo il “sì”, la coppia si prepara a una breve luna di miele tra Big Sur e la costa di Carmel, prima di tornare a Los Angeles. Un matrimonio senza eccessi ma pieno di sentimento, proprio come la loro storia: sincera, luminosa e – a giudicare dagli sguardi complici scambiati all’altare – destinata a durare.
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Gossip
Alessandro Basciano contro Sophie Codegoni: “Ha strumentalizzato la violenza sulle donne. Con il braccialetto mi hanno già condannato”
Il dj, accusato di stalking e minacce dall’ex compagna, parla a La Zanzara: “Non sono un pericolo per nessuno, mi hanno messo alla gogna. Questo dispositivo è un marchio, non funziona e mi distrugge psicologicamente”.

«Sono io che ho subito una violenza». Così Alessandro Basciano, ex volto televisivo e dj, oggi indagato per stalking e minacce nei confronti dell’ex compagna Sophie Codegoni, si difende ai microfoni de La Zanzara su Radio24. Con una cavigliera elettronica alla gamba e un’indagine ancora aperta, Basciano racconta la sua versione: “Questa cavigliera è un marchio. È come se fossi già stato condannato”.
La misura cautelare prevede che debba restare a una distanza minima di cinque metri da Codegoni. Ma, a suo dire, il dispositivo “suona a caso”: «Quando sono a Mykonos con la mia nuova fidanzata, a diecimila chilometri di distanza, si accende la luce rossa e comincia a suonare. Poi invece, quando incontro Sophie per parlare del bambino, non emette alcun segnale. La questura lo sa, ma non interviene: mi hanno detto che non sono un pericolo. Allora perché costringermi a portarlo?».
L’ex gieffino sostiene di essere “diventato un capro espiatorio”: «Dieci mesi fa il giudice aveva stabilito che il reato non sussisteva. Poi il pm ha chiesto un riesame, e il 14 agosto mi hanno richiamato in Italia per mettermi il braccialetto. Ero a Mykonos per lavorare, ho dovuto rinunciare a tutto».
Durante la diretta radiofonica, il dispositivo si è attivato in diretta, scatenando l’ira del dj: «Ecco, vedete? Suona a caso. Mi distrugge psicologicamente. Uno psichiatra mi segue da mesi per i traumi che ho subito. Il braccialetto è una tortura, non una misura di sicurezza».
Sull’ex compagna, madre di sua figlia Celine, Basciano usa parole pesanti: «Sophie ha strumentalizzato la violenza sulle donne. È una cosa gravissima, perché così si toglie credibilità a chi subisce davvero abusi. Io non ho mai minacciato nessuno, non ho mai alzato le mani. Lei stessa, in passato, mi ha scritto parole d’amore che non sono certo quelle di una persona impaurita».
Cruciani gli chiede se si sente responsabile di quanto accaduto. La risposta è netta: «Assolutamente no. Era una relazione tossica, in cui ci cercavamo a fasi alterne. Ma oggi tutto scatta in automatico: basta una denuncia e scatta il codice rosso. È giusto tutelare chi ha paura, ma non è giusto distruggere chi non ha fatto nulla».
Poi rivendica di essere “una vittima del sistema mediatico”: «Mi hanno messo alla gogna. Ho perso l’80% del lavoro, molti contratti sono stati cancellati. La mia immagine è stata rovinata e per cinque mesi non ho potuto vedere mia figlia per un errore dei magistrati».
Basciano insiste: «Non voglio passare per un mostro. Voglio essere il portavoce dei padri che vivono situazioni simili alla mia, quelli che vengono puniti prima ancora che si accerti la verità».
Sul piano legale, la sua difesa continua a contestare la misura cautelare, considerandola sproporzionata rispetto alle accuse. Nel frattempo, lui cerca di mostrarsi collaborativo: «Io rispetto tutte le regole, non voglio creare problemi. Ma con questo dispositivo mi sento prigioniero di un reato che non ho commesso».
Infine, l’attacco diretto a Codegoni: «Un giorno dovrà chiedere scusa a tutte le donne che hanno davvero subito violenza, non a me. Perché chi usa la parola “violenza” come arma, ferisce due volte: la verità e chi la vive davvero».
E mentre la giustizia continua il suo corso, il caso Basciano-Codegoni resta un cortocircuito mediatico tra giustizia, sentimenti e spettacolo. In una storia dove, al di là delle versioni contrapposte, l’unica certezza è che nessuno — né lui né lei — ne uscirà indenne.
Personaggi
Felice Maniero si confessa da Fedez: “Le evasioni le rifarei subito. Pagavamo poliziotti e carabinieri”
A 71 anni, “Faccia d’Angelo” torna a parlare e riapre le ferite del Nordest criminale. Dice di aver speso tutto il suo tesoro, 33 miliardi di lire, e di non rimpiangere nulla: “Mi manca solo l’adrenalina. Il resto è passato”.

Felice Maniero, il “Faccia d’Angelo” che negli anni Ottanta dominava la mala del Nordest, è tornato a raccontarsi. Lo ha fatto nel podcast Pulp di Fedez e Mr. Marra, con la calma inquietante di chi non deve più difendersi. Mascherato all’inizio, poi a volto scoperto, oggi a 71 anni l’ex boss della Mala del Brenta parla del passato come di una lunga avventura.
«Le evasioni le rifarei subito. Il pathos che ti danno non ha eguali, soprattutto se si fugge da un carcere speciale», dice. E poi aggiunge: «Quando ho collaborato con la giustizia, nel 1994, l’ho fatto per convenienza. Amici veri? No, non mi è dispiaciuto per nessuno».
Durante la puntata interviene anche il giornalista Maurizio Dianese, che ha seguito da vicino la parabola del boss e gli ha dedicato un libro in uscita per Feltrinelli. «Mi chiamò un anno fa, era depresso, stanco. Mi disse: voglio scrivere l’ultimo libro con te», racconta. Secondo il cronista, Maniero aveva accumulato almeno 33 miliardi di lire, “che non verranno mai trovati perché li ha spesi tutti”.
Nel podcast, l’ex bandito ricorda la vita da criminale con toni quasi affettuosi. Racconta le rapine miliardarie, come quella al Casinò di Venezia: «Abbiamo preso otto, nove miliardi. Facilissimo, è andata liscia». Ma anche il colpo al treno che nel 1982 costò la vita a una ragazza di vent’anni, Cristina Pavesi: «Avevamo messo il tritolo. È esploso il vagone. È stata la cosa che mi ha segnato di più».
Maniero non nega di aver avuto legami con apparati dello Stato: «Pagavamo l’ispettore capo della polizia sei milioni al mese, quello dei carabinieri pure. E avevamo anche un colonnello dei servizi segreti».
Tra i ricordi più assurdi, i furti di forme di Parmigiano “che valevano quasi quanto una Ferrari” e le opere di Mario Schifano ricevute “in cambio della cocaina”. Un mondo di eccessi, potere e paura.
Alla fine, “Faccia d’Angelo” non chiede perdono. Dice solo di essersi stancato. «Mi manca l’adrenalina, non il resto. Il potere, i soldi, le donne… illusioni. Ma l’adrenalina era vera».
Dietro la maschera, resta un uomo che non ha mai smesso davvero di fuggire — forse non più dai carabinieri, ma da sé stesso.
Personaggi
Giampiero Mughini: la malattia, il silenzio dalla tv e la vendita della sua immensità di carta
Tra prime edizioni rare, amici che «evaporano» e risparmi quasi esauriti, Mughini si confronta con quello che definisce “gestire la vecchiaia”. La sua collezione, costruita negli anni con passione, diventa risorsa imprescindibile per mantenere dignità e autonomia.

Da quando ha avuto problemi di salute, Giampiero Mughini racconta che tutto è cambiato: non più ospitate televisive, quasi nessuno che lo chiami, afferma. È una condizione che ha portato uno dei più noti intellettuali italiani degli ultimi decenni a prendere una decisione sofferta: vendere gran parte della sua biblioteca privata. Sono tra 20.000 e 25.000 volumi, dice, raccolti in una vita di letture, scambi, scoperte — ma oggi diventati anche fonte di sollievo economico.
La salute e il silenzio mediatico
Mughini spiega che le difficoltà fisiche non sono scomparse: «Ho avuto problemi di salute. Ora sto bene — afferma — ma camminare fino al bagno, per esempio, lo faccio con fatica». Ha 85 anni e un medico gli avrebbe detto che è arrivato il momento di “gestire la vecchiaia”. Come se fosse un’operazione nuova, da apprendere ogni giorno.
Contestualmente, lamenta che dal suo malore il suo volto sia sparito dalla tv. Non lo chiamano più — anche amici “evaporati”, definisce — e quelle opportunità che un tempo erano frequenti ora non esistono più. Sono venute meno entrambe le fonti: visibilità e ricavi.
La biblioteca: tesoro, problema, risorsa
La biblioteca di Mughini non è soltanto molto grande, è anche particolarmente pregiata. Volumi originali, prime edizioni di autori come Pavese, Calvino, Campana, Gadda, Sciascia, Fenoglio, Pirandello, Bassani, Moravia, Bianciardi, Montale, Ungaretti fanno parte di quel patrimonio.
Non tutti i libri però possono essere venduti per lui: ci sono pezzi che considera sacri. Non cedibili, come le tre opere di Italo Svevo, i libri di Umberto Saba per il legame con Trieste e poi Carlo Dossi, con cui dice di sentirsi affine.
Una parte dei volumi è già stata affidata al libraio milanese Pontremoli, un vecchio amico, per la vendita. Ma la selezione dei libri da cedere viene accompagnata da dolore: «È un colpo al cuore», dice. Una sofferenza necessaria, perché ormai il criterio è il bisogno.
Economia, dignità, resistenza
Mughini afferma che non ha risparmi consistenti: le sue entrate televisive, un tempo importanti, sono cessate quasi del tutto. L’unico lavoro stabile che ancora fa è un articolo che pubblica ogni martedì su Il Foglio. Con quel compenso “cammina” tra le spese quotidiane, afferma.
Non cede però alla disperazione: dice che prendersi cura della propria vecchiaia è una decisione di dignità — non un cedimento. E che, pur nel bisogno, alcune tappe del suo percorso personale non si possono abbandonare. Restano i libri che non vende, restano i valori, e resta, per quanto possibile, la voce attraverso la scrittura.
Conclusione: un’eredità viva
Quella di Mughini non è solo una storia di difficoltà: è anche un racconto che invita a riflettere sul valore del patrimonio culturale privato, sull’identità che gli oggetti accumulati nel tempo assumono e su come la cultura possa diventare, nei momenti critici, risorsa concreta.
Cedere parte dei suoi libri è, per lui, rinunciare a frammenti della propria anima, ma è anche un modo di continuare a esistere in pubblico, attraverso le parole che restano — negli articoli, nei pezzi che non vende, nella memoria collettiva che quei testi hanno contribuito a costruire.
In fondo, la biblioteca non è solo «ciò che mi resta» ma ciò che può ancora dire al mondo chi è stato, chi è, e chi vorrà essere.
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