Arte e mostre
Arte e panettone, la festa che unisce Milano per creatività e solidarietà. Ornella Piluso: «L’arte deve trasmettere segnali positivi, soprattutto ai giovani»
Un viaggio emozionante tra libri d’artista, performance e dolci prelibatezze che celebra la tradizione milanese e l’arte più autentica. L’edizione promette di essere un evento unico, in cui oltre 150 artisti e il maestro pasticcere Luigi Biasetto si uniscono per creare un’esperienza culturale e conviviale senza precedenti
Quando l’arte incontra la tradizione, il risultato è un evento che lascia il segno: è questo lo spirito che anima la 25ª edizione del Panettone Party, la festa d’arte più attesa della città, ideata dall’Associazione e Movimento di Pensiero Arte da mangiare mangiare Arte, e fortemente voluto dal fondatore e direttore artistico, Ornella Piluso, in arte Topylabrys, che è una artista e creativa italiana nota per il suo approccio innovativo nell’arte visiva. La sua ricerca spazia tra diverse discipline, inclusi il video, la performance, l’installazione e la scultura, ma è conosciuta per i temi legati alla memoria, all’identità e alla trasformazione, spesso utilizzando oggetti quotidiani e materiali riciclati per creare opere che riflettono sulla relazione tra l’individuo e la società. La sua produzione artistica è caratterizzata da un forte impatto visivo che invita lo spettatore a riflettere sulla propria percezione del mondo. L’artista ha esposto in numerosi eventi e mostre in Italia e all’estero, diventando un punto di riferimento nel panorama dell’arte contemporanea.
La 25ª edizione del Panettone Party è, dunque, un evento che unisce arte, tradizione e solidarietà, ideato da Arte da Mangiare Mangiare Arte, il movimento culturale fondato da Ornella Piluso, in arte Topylabrys. Quest’anno, l’evento si svolgerà domenica 17 novembre presso la storica Libreria Bocca, un simbolo della cultura milanese, e presenterà la mostra “Lievito madre – arte del panettone per una storia milanese”, che esplora il connubio tra arte e il celebre dolce milanese. Oltre 150 artisti hanno creato libri d’artista, che saranno esposti e acquistabili in libreria. A corollario della mostra, l’asta benefica organizzata il 10 dicembre presso il Museo Bagatti Valsecchi contribuirà a raccogliere fondi per il progetto di restauro dell’impianto di illuminazione del museo. L’asta vedrà la selezione di 15 opere da esporre, con i proventi destinati alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale milanese.
Il Panettone Party non è solo un evento artistico, ma anche un momento di condivisione e convivialità, arricchito da una performance artistica e dalla degustazione di un panettone d’eccellenza, creato dal maestro pasticcere Luigi Biasetto. Un’occasione unica per celebrare Milano come capitale dell’arte contemporanea e della solidarietà, con un forte messaggio di speranza, gioia e unità.
Arte da Mangiare, curato anche da Monica Scardecchia, è un progetto culturale di grande rilevanza, che ha affrontato numerose tematiche legate all’arte, alla natura e alla sostenibilità. Un esempio emblematico del suo impegno è la creazione del MAF Museo Acqua Franca, un museo unico al mondo che si trova all’interno di uno dei depuratori d’acqua più importanti a livello globale, riconosciuto tra i tre principali, insieme a quelli di Singapore e Tokyo. Questo museo non è solo un’esposizione statica, ma un vero e proprio laboratorio di idee, che ospita costantemente nuove installazioni e progetti di artisti che vogliono confrontarsi con gli elementi naturali come terra, aria, acqua e vento. Il MAF è un progetto che esprime l’interazione tra l’arte e la natura, comprendendo non solo l’aspetto più “idilliaco” del verde, ma anche i fenomeni naturali estremi, come lo tsunami. La sua creazione, avvenuta 13 anni fa, è accompagnata anche da un festival, il Festival dei Depuratori, che celebra questa unione tra arte e ambiente. Questo evento è l’unico del suo genere al mondo e rappresenta un altro esempio della missione di Arte da Mangiare di esplorare e promuovere idee innovative attraverso l’arte, stimolando il dialogo e la riflessione sul nostro rapporto con l’ambiente naturale. Abbiamo rivolto all’artista, fondatore e direttore artistico, Ornella Piluso alcune domande riguardo l’evento.
Il Panettone Party compie 25 anni e ogni edizione è un connubio tra arte e tradizione. Cosa ti ha spinto a ideare questo evento e quale messaggio vorresti che i partecipanti portassero a casa?
«Ho deciso di ideare questo evento principalmente per la gioia di fare festa. Spesso, l’arte è dedicata a temi sociali e alla denuncia delle problematiche che affliggono l’uomo, e questo è un aspetto che va sicuramente portato avanti. Tuttavia, credo che non dobbiamo limitarci a esprimerci sempre attraverso il dolore o la sofferenza. È importante anche tirare fuori la nostra gioia, magari con un po’ di ironia, e creare momenti in cui possiamo dire “alleluia”, celebrare la vita. Arte da Mangiare Mangiare Arte ha sempre abbracciato tematiche sociali, ma ha anche messo in evidenza l’importanza della gioia e della festa come parte integrante della società. La gente ha bisogno di momenti di felicità e segnali positivi, e l’ho capito già 25 anni fa. Da allora, questa visione è sempre andata avanti».
La tua ricerca artistica si concentra su temi come memoria, identità e trasformazione. Come vedi il ruolo dell’arte oggi nel creare connessioni tra le persone e nel rafforzare la solidarietà, come accade durante eventi come questo?
«La mia ricerca artistica si concentra su temi come memoria, identità e trasformazione. Oggi, vedo l’arte come uno strumento potente per creare connessioni reali tra le persone e rafforzare la solidarietà, come accade durante eventi come questo. Questo evento, in particolare, è legato alla gioia, un aspetto che considero fondamentale nella mia ricerca artistica, anche come scultrice. Non voglio che l’arte sia solo legata alla tragedia o al dolore, ma anche ai momenti di serenità e speranza, soprattutto in un periodo di incertezze come quello che stiamo vivendo. È importante che l’arte possa trasmettere segnali positivi, in particolare ai giovani. Perché l’arte deve essere solo triste? Noi, come artisti, abbiamo la possibilità di raccontare anche la nostra storia, la nostra memoria e identità. Inoltre, possiamo reinterpretare il passato in modo che cresca e si trasformi, offrendo visioni più interessanti e attuali. Ecco, in questo contesto, il Panettone Party diventa un’opportunità per celebrare questi valori».
Quest’anno il Panettone Party si arricchisce della collaborazione con il Museo Bagatti Valsecchi e con l’asta benefica per il progetto “Illumina il Museo”. Qual è il valore che attribuisci all’arte come strumento di supporto e valorizzazione del patrimonio culturale?
«Quest’anno, il Panettone Party si arricchisce della presenza del Museo Bagatti Valsecchi, un’iniziativa che ci entusiasma molto. Anche in passato abbiamo collaborato con musei come la Permanente, ma quest’anno abbiamo deciso di supportare il museo Bagatti Valsecchi, che ha chiesto aiuto per raccogliere fondi necessari per aggiornare l’illuminazione del museo, un luogo davvero speciale. Grazie alla generosità degli artisti, più di 150 hanno aderito a questo progetto, portando la loro energia positiva e contribuendo con le loro opere a rendere l’evento ancora più significativo. L’arte, in questo contesto, è un modo per rilassarsi e vedere il mondo con occhi diversi. Milano ha sempre avuto una vocazione di accoglienza e di aiuto, e spingere la cultura verso l’alto è fondamentale. Gli artisti, con la loro visione, sono i veri protagonisti di questo processo. Spero che anche in futuro altre categorie di artisti, come musicisti o teatranti, possano unirsi a noi per sostenere iniziative come quella del Museo Bagatti Valsecchi. Milano, nel Novecento, è stata il cuore dell’arte contemporanea italiana e anche oggi, nonostante la vivacità culturale, è difficile che emergano le realtà che vengono dal basso. Molto spesso, infatti, il sistema dell’arte si lega a circuiti commerciali che non rispecchiano la vera essenza culturale. Con Arte da Mangiare, invece, siamo nati 29 anni fa con lo spirito di dare voce a questa vitalità nascosta. Da quando abbiamo lanciato l’appello per il Panettone Party, la risposta degli artisti è stata incredibile: hanno risposto con grande entusiasmo, creando opere anche in modi innovativi e generosi. Questo è lo spirito che ha sempre animato Arte da Mangiare.
Nasciamo a Milano, dove la Società Umanitaria ha ospitato le nostre prime iniziative. Non siamo mai stati parte del “sistema”, ma siamo sempre stati un punto di riferimento per quegli artisti che vogliono mettersi alla prova con grande generosità, attraverso installazioni, sculture e opere uniche. E continueremo a farlo, sperando che quest’energia e questo spirito possano crescere sempre di più».
Per dettagli sull’evento e per acquistare i libri d’artista in mostra: Arte da mangiare mangiare Arte // Email: info@artedamangiare.it / Tel. 340 3406871 – Sponsor: Luigi Biasetto – Maestro pasticcere

INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
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Regina Rania tra piramidi e couture: fuochi, stelle e un Dolce&Gabbana da favola per l’inaugurazione del Grand Egyptian Museum al Cairo
Il Cairo accende i riflettori sul Grand Egyptian Museum, maxi tempio dell’antichità e nuova vetrina geopolitica del Paese. Alla serata inaugurale, una parata di reali e teste coronate: regina Rania in abito couture, il re Felipe di Spagna e il re Philippe del Belgio applaudono fuochi, performance e acrobati. L’Egitto prova a rilanciare immagine e turismo puntando su cultura, glamour e soft power.
Fuochi d’artificio che illuminano il deserto, fasci di luce che baciano le piramidi, coreografie tra danza contemporanea e folklore faraonico. Il Cairo ha scelto l’effetto “meraviglia totale” per l’inaugurazione del Grand Egyptian Museum, il colosso culturale affacciato su Giza destinato a custodire, tra gli altri tesori, l’intero corredo di Tutankhamon. Una notte spettacolare, studiata per restare nella memoria e — dettaglio non secondario — nei feed del mondo.
Tra gli ospiti, la più fotografata è lei: la regina Rania di Giordania. Eleganza magnetica, sorriso calibrato e un abito Dolce&Gabbana che sembrava cucito per incarnare l’idea stessa di regalità mediorientale moderna. Linee pulite, luminosità couture, il giusto equilibrio tra tradizione e glamour internazionale. Il suo ingresso ha cristallizzato gli obiettivi e, per un istante, quasi rubato la scena alla maestosa scalinata del museo.
Accanto a lei, altri monarchi di peso. Re Felipe VI di Spagna, impeccabile accanto alle piramidi illuminate. Re Philippe del Belgio, discreto ma presente in prima fila. Un parterre che sa di diplomazia soft, di nuove alleanze e di cultura come chiave geopolitica. Perché qui non si parlava solo di statue millenarie o reperti inestimabili: questa è una mossa d’immagine potente, un messaggio al turismo globale e al panorama internazionale.
L’Egitto punta a riposizionarsi al centro della mappa culturale e turistica mondiale, e lo fa con una struttura monumentale e una regia scenica che sembra uscita da un colossal hollywoodiano. Luci che disegnano i profili di Giza come fossero un set, musiche epiche, troupe di ballerini e performer. Una celebrazione dell’identità faraonica in versione XXI secolo, dove archeologia e spettacolo convivono senza imbarazzi.
In platea diplomatici, invitati selezionati, intellettuali e influencer culturali. Tutti pronti a immortalare la notte in cui l’Egitto ha deciso di raccontarsi non solo attraverso i suoi tesori antichi, ma anche attraverso stile, presenza internazionale e una modernità rivendicata.
E mentre il finale esplodeva in un tripudio di fuochi e applausi, una cosa appariva chiara: il Grand Egyptian Museum non vuole essere solo un museo, ma un simbolo. Un ponte tra passato e futuro. E, giudicando dagli sguardi incantati dei presenti — e dall’impeccabile apparizione di Rania — la missione, almeno per una notte, è riuscita.
Arte e mostre
Il water d’oro di Cattelan all’asta per 10 milioni: “Ricchi o poveri, in bagno siamo tutti uguali”
Il wc d’oro di Maurizio Cattelan, già installato al Guggenheim e poi rubato nella versione esposta nella casa natale di Churchill, torna protagonista: base da 10 milioni di dollari, pagabili anche in criptovalute. “Un cortocircuito tra oggetto comune e simbolo di potere: confondiamo valore e prezzo”, dice l’artista.
Da provocazione pop a reliquia del mercato dell’arte. “America”, il water in oro a 18 carati di Maurizio Cattelan, è pronto a tornare sotto i riflettori. Sotheby’s lo batterà all’asta il 18 novembre a New York, nella The Now and Contemporary Evening Auction, con una base che sfiora i 10 milioni di dollari. Non una cifra casuale: il peso dell’opera, 101,2 chili di oro massiccio, parla da sé.
È l’unico esemplare oggi esistente: l’altro, quello collocato nel 2019 a Blenheim Palace — residenza storica inglese e casa natale di Winston Churchill — fu trafugato nella notte del 14 settembre e mai più ritrovato. Prima ancora, nel 2016, l’opera aveva fatto scalpore al Guggenheim di New York: un wc funzionante, accessibile al pubblico, che oltre centomila persone utilizzarono in un’esperienza definita dal museo “intimità senza precedenti con un’opera d’arte”.
Arte, satira e filosofia da bagno
Cattelan spiega così la genesi dell’opera: “In un museo ci sono molti spazi sacri e solo uno che non lo è mai: il bagno. Ho preso il water dal museo, l’abbiamo mandato in fonderia, l’abbiamo fuso in oro e riportato esattamente nello stesso posto”. Per installarlo, non curatori ma idraulici; per pulirlo, niente guanti bianchi ma guanti di gomma e anticalcare. Alta e bassa cultura, potere e quotidianità che si incontrano “nell’angolo meno nobile del museo”.
E poi la frase che è già manifesto: “Che siate ricchi o poveri, che abbiate mangiato un hamburger del McDonald’s o una cena stellata Michelin, il risultato non cambia. È il ritratto di un’epoca che confonde valore e prezzo”.
Dal jet dorato di Trump alla satira sociale
L’opera, concepita prima dell’era Trump ma inevitabilmente riletta alla luce della sua estetica dorata, diventa simbolo di un mondo dove lo splendore sostituisce la sostanza. “Cattelan è un consumato provocatore mondiale”, osserva David Galperin, responsabile dell’arte contemporanea di Sotheby’s. Accostamenti inevitabili con Duchamp e la sua “Fountain”, ma qui il gesto è portato all’estremo: il monumento al potere, trasformato in toilette pubblica.
Il successo di mercato non stupisce: l’artista ha già toccato i 17 milioni di dollari per “Him” e oltre sei per “Comedian”, la celebre banana attaccata al muro. Ora, per chi vorrà aggiudicarsi questo simbolo del contemporaneo, resta un dubbio: non tanto se valga dieci milioni, ma se sia possibile acquistare — e portarsi a casa — una satira feroce su ricchezza e vanità. In oro massiccio, naturalmente.
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Torino inaugura il Serial Killer Museum: un viaggio nella mente dell’orrore
Ha aperto i battenti a Torino il Serial Killer Museum, uno spazio che promette di incuriosire e inquietare al tempo stesso. L’iniziativa, ospitata nel centro della città, si propone come un percorso educativo e psicologico nel cuore più oscuro della mente umana, raccontando le vicende di dieci assassini seriali che hanno lasciato un segno nella storia della criminalità mondiale.
Il progetto nasce con l’intento di esplorare la genesi del male, non per celebrarlo ma per comprenderlo. L’obiettivo dichiarato dagli organizzatori è quello di offrire un punto di vista “storico, criminologico e umano” su figure che hanno alimentato paure, incubi e ossessioni collettive.
Un viaggio immersivo tra cronaca e psiche
L’esposizione è strutturata come un percorso multisensoriale. Attraverso audioguide, scenografie realistiche e installazioni digitali, il visitatore si trova a camminare tra dossier investigativi, oggetti autentici, fotografie e ricostruzioni di ambienti legati ai casi trattati. Ogni sezione è dedicata a un diverso protagonista della cronaca nera: da Ed Gein, il “macellaio di Plainfield” che ispirò Psycho, a Ted Bundy, il killer dal fascino ingannevole che terrorizzò l’America negli anni Settanta.
Non mancano i riferimenti italiani, come la “saponificatrice di Correggio” Leonarda Cianciulli, responsabile di tre efferati omicidi tra il 1939 e il 1940. Ogni sala alterna documentazione storica e interpretazioni psicologiche, per indagare il confine sottile tra follia e consapevolezza criminale.
L’allestimento, realizzato con la consulenza di esperti di criminologia e psichiatria forense, mira a stimolare una riflessione etica sul tema della violenza, invitando il pubblico a interrogarsi sul perché la società resti così attratta dal male.
La fascinazione del pubblico per i “mostri”
L’apertura del museo si inserisce in un fenomeno ormai globale: la serial killer culture, una vera e propria corrente culturale alimentata da serie TV, documentari e podcast di successo. Dai casi di Dahmer su Netflix a Mindhunter, il pubblico sembra non stancarsi mai di esplorare le vite dei criminali più spietati, cercando in esse risposte e brividi.
Una curiosità che, in alcuni casi, può sfociare in morbosità. Gli esperti parlano di ibristofilia, una condizione psicologica che porta alcune persone a provare attrazione o empatia verso chi ha commesso delitti efferati. Fenomeni simili si sono già visti in passato, basti pensare alle lettere d’amore ricevute da Ted Bundy o da Charles Manson durante la detenzione.
Proprio per questo motivo, i curatori del Serial Killer Museum hanno voluto chiarire sin dall’inaugurazione che l’intento non è quello di mitizzare, ma di analizzare. L’obiettivo è capire come nascono certe menti criminali, cosa le accomuna e come la società risponde a questi casi estremi.
Tra cultura, etica e voyeurismo
Nonostante il rigore dichiarato dell’approccio, il museo ha già acceso il dibattito. C’è chi lo considera un esperimento culturale coraggioso, capace di affrontare il male con strumenti di studio, e chi lo accusa di trasformare il dolore in intrattenimento.
I responsabili dell’iniziativa difendono la scelta, spiegando che l’allestimento punta sull’impatto emotivo ma con un fine educativo: “Raccontare l’orrore serve a riconoscerlo e a non dimenticare le sue vittime”, si legge nella presentazione ufficiale.
La scelta di Torino come sede non è casuale: la città, da sempre legata alla simbologia esoterica e alla cultura psicologica grazie all’Università e al Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”, si conferma un luogo ideale per riflettere sul rapporto tra scienza e mistero.
Il male come specchio della società
In definitiva, il Serial Killer Museum è molto più di una curiosità turistica. È uno specchio dei tempi, un luogo dove il confine tra cultura, morbosità e introspezione diventa sempre più sfumato.
Per alcuni visitatori sarà un viaggio nell’orrore, per altri un modo per comprendere meglio la natura umana. In ogni caso, nessuno uscirà indifferente: perché guardare negli occhi il male, anche solo attraverso una teca di vetro, significa interrogarsi su quanto di oscuro, a volte, abiti anche dentro di noi.
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