Cinema
La rinascita di American History X: da naziskin a ebreo ortodosso
Redenzione o stupidità umana? L’ex leader carismatico skinhead e suprematista razzista, il criminale Frank Meeink, all’anagrafe Francis Steven Bertoline, ha vissuto un cambiamento significativo nella sua vita. Lasciato il movimento, tiene conferenze contro di esso, ma solo dopo aver scoperto che gli scorre del sangue ebreo nelle vene.

«Pensavano tutti che io stessi solo attraversando una fase, quando a 13 anni mi sono presentato a casa con una svastica tatuata sul collo, ma all’epoca nessuno pensò che fosse qualcosa di più. A casa nessuno aveva tempo per me».
Così Frank Meeink, cresciuto in un quartiere difficile nel sud della Pennsylvania, all’impressionabile età di un ragazzino, scopre il movimento neonazista.
La storia di Frank Meeink
E’ un personaggio noto per essere stato un ex leader suprematista bianco skinhead negli Stati Uniti. La sua storia è stata oggetto di interesse internazionale poiché ha vissuto un percorso di trasformazione notevole, passando da un coinvolgimento radicale nell’estremismo di destra a diventare un attivista per la tolleranza e la comprensione interculturale.
American History X
Ricordate il bellissimo film con Edward Norton? Il film esce nel 1998 ed è fortemente incentrato sulla piaga sociale del razzismo. L’ispirazione per il protagonista proviene proprio da Frank Meeink: all’età di 17 anni viene arrestato per tentato omicidio, esattamente come il Derek di Norton che in American History X invece uccide due afroamericani che stanno provando a rubargli la macchina. Il carcere cambia la vita tanto a Meeink quanto a Derek, grazie agli incontri umani che fanno in prigione. Entrambi stringono amicizia con un afroamericano, e condividono la passione per la pallacanestro. E iniziano il loro percorso di redenzione.
Le ideologie dell’odio
Nato nel 1974, Meeink cresce a South Philadelphia in un ambiente segnato dalla povertà e dalla violenza. Da giovane, entra a far parte di gruppi di skinhead e di organizzazioni neonaziste, dove assume un ruolo di leadership grazie alla sua eloquenza e al suo carisma.
Diventa noto per il suo coinvolgimento in attività violente e razziste. Durante questo periodo, Meeink adotta un’ideologia estremista che promuove l’odio verso gli individui di razza diversa, in particolare gli ebrei e gli afroamericani. Si fa coinvolgere in attività criminali, tra cui aggressioni e vandalismo motivati dall’odio razziale.
In carcere per omicidio e rapimento
La svolta nella vita di Meeink avviene quando viene incarcerato per crimini legati all’estremismo di destra. Durante il suo periodo di detenzione, inizia a mettere in discussione le sue convinzioni e a esplorare nuove prospettive di vita. Trova ispirazione in persone che lo incoraggiano a superare l’odio e a cercare la redenzione.
Dopo essere uscito dal carcere, Meeink si impegna attivamente nel lavoro di prevenzione dell’estremismo e del razzismo, diventando un oratore e un attivista per la tolleranza e la comprensione interculturale. Condivide la sua esperienza personale attraverso interviste, conferenze e la pubblicazione del suo libro autobiografico intitolato “Autobiography of a Recovering Skinhead”, in cui racconta la sua storia e il suo processo di trasformazione. E che diventa la traccia per la sceneggiatura del film.
La prigione gli ha cambiato la vita
Ha incontrato persone di molte etnie diverse, diventando amico di molti prigionieri neri. In giochi come il calcio e il basket, Meeink si guadagnò il rispetto dei compagni detenuti e sentiva che lo sostenevano più degli skinhead, mentre era in prigione.
La scoperta del suo DNA ebreo
Dopo aver ricevuto un suggerimento da un amico, ha deciso di fare un test del DNA per esplorare le sue origini etniche. Il risultato ha rivelato che Meeink possiede il 2,4% di geni ebraici, che ha appreso di aver ereditato dalla sua bisnonna materna.
Il significato della sua storia di vita
La storia di Frank Meeink dimostra il potere del cambiamento personale e della redenzione. La sua esperienza serve da monito contro l’odio e l’estremismo, e ha ispirato molte persone a riflettere sulle proprie convinzioni e a cercare un mondo basato sulla tolleranza, il rispetto e la comprensione reciprocaInizio modulo
La scoperta del DNA ha avuto un impatto significativo sulla percezione di sé e ha contribuito alla sua riflessione sulla propria identità e sulle sue convinzioni.
Ha condiviso pubblicamente la sua storia come esempio di come le persone possano superare le ideologie estreme e abbracciare la tolleranza e la comprensione interculturale.
La storia di Meeink serve come esempio di come la conoscenza delle proprie radici e della propria identità possa essere un motore per il cambiamento e la crescita personale.
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Cinema
Katy Perry e Orlando Bloom si sono lasciati: “Niente più amore, ma ci unisce nostra figlia Daisy”
Dopo settimane di speculazioni, è arrivato il comunicato ufficiale: Katy Perry e Orlando Bloom non stanno più insieme. Una rottura consensuale, dicono, con l’unico obiettivo condiviso di crescere con amore la figlia Daisy Dove, che compirà cinque anni ad agosto

È finita. Dopo otto anni di relazione, un fidanzamento da favola e una bambina nata nel 2020, Katy Perry e Orlando Bloom hanno messo la parola fine alla loro storia. La conferma è arrivata attraverso un comunicato congiunto diffuso dai portavoce di entrambi alla rivista People. “La coppia non è più sentimentalmente coinvolta ed è ora concentrata sulla co-genitorialità”, si legge.
I segnali c’erano tutti. Lei in lacrime sul palco durante l’ultima tappa del suo Lifetimes World Tour in Australia, lui fotografato da solo — e troppo vicino a un’altra donna — durante il matrimonio di Jeff Bezos a Venezia. Poi, il silenzio. Fino a oggi.
Niente nozze, ma una figlia da proteggere
Insieme dal 2017, Katy e Orlando si erano conosciuti a un afterparty dei Golden Globe e si erano fidanzati nel 2019, il giorno di San Valentino. Il matrimonio, però, non è mai arrivato. Al contrario, è nata Daisy Dove, al centro adesso di un delicato equilibrio di famiglia allargata. “Continueranno a farsi vedere insieme come famiglia – continua la nota – poiché la loro priorità comune è, e sarà sempre, quella di crescere la figlia con amore, stabilità e rispetto reciproco”.
Entrambi hanno già alle spalle relazioni importanti: lei è stata sposata con il comico Russell Brand, lui ha avuto un figlio, Flynn (oggi 14 anni), dalla top model Miranda Kerr. Ora si trovano a ripartire da zero, di nuovo.
Un anno difficile per Katy Perry
La separazione arriva in un momento complicato per la cantante, che sta attraversando un periodo in chiaroscuro anche sul piano professionale. Il suo ultimo album 143 non ha convinto il pubblico e nemmeno il tour mondiale ha ottenuto i risultati sperati, con molte date segnate da vendite fiacche.
Nonostante tutto, Katy ha continuato a mostrarsi sul palco con il sorriso. Ma quel crollo emotivo ad Adelaide, le lacrime e il silenzio sui social non erano casuali. Era il preludio di ciò che oggi si è ufficialmente confermato.
Fine di un amore sotto i riflettori
Come spesso accade alle coppie famose, a logorarli non è stato solo il tempo, ma anche la pressione mediatica. Una storia d’amore vissuta tra i red carpet e gli stadi, con flash, rumors e aspettative. Eppure, almeno stando al comunicato, la chiusura è avvenuta nel rispetto reciproco. E questo, nel circo di Hollywood, è già una piccola notizia.
Cinema
Michael Madsen, volto duro e cuore fragile del cinema americano, se ne va a 67 anni l’attore amato da Tarantino
Addio a Michael Madsen, morto a 67 anni: lo sguardo da duro, la voce bassa, l’anima poetica. Indimenticabile Mr. Blonde di Le iene, simbolo del male che affascina, della violenza che balla. Con lui se ne va l’ultimo cowboy metropolitano del cinema di Tarantino.

Aveva lo sguardo di chi non chiede scusa, la voce di chi non ha bisogno di urlare, il fisico da cattivo e l’anima da poeta. Michael Madsen è morto a 67 anni, e con lui se ne va uno degli ultimi duri del grande schermo, quello che anche quando non parlava rubava la scena
Indimenticabile Mr. Blonde in “Le iene”, vendicativo Budd in “Kill Bill”, fratello dimenticato di Beatrix Kiddo e alter ego sporco e malinconico di un’America che sapeva farsi amare mentre ti prendeva a calci. Era il volto che Quentin Tarantino ha scelto per raccontare la bellezza imperfetta del male, la sua parte più cool e disperata, quella che sa farti ballare un motivetto anni ’70 mentre taglia un orecchio con calma metodica.
Eppure, dietro quella maschera da duro, c’era anche il volto rassicurante del patrigno tenero che in “Free Willy” aiutava un ragazzino a liberare un’orca dal suo destino da attrazione acquatica. Anche lì, occhi stanchi ma sinceri, mani grandi e movimenti misurati. Madsen era uno di quegli attori che non cercavano la luce ma che, per una strana legge gravitazionale, la attiravano.
Non aveva bisogno di gridare per imporsi: bastava uno sguardo obliquo, una camminata lenta, una battuta detta sottovoce. Il suo carisma, ruvido come il suo timbro vocale, si portava dietro l’odore dei bar di provincia, dei motel di terza mano, delle giacche di pelle consumate. Non era una star da tappeto rosso: era un’icona da asfalto bollente. Sul set, Michael era un fuoriclasse con la stessa naturalezza con cui fuori dal set si trasformava in un disastro ambulante.
Una carriera costellata di film cult e b-movie dimenticabili, di successi che brillavano anche grazie alla sua presenza e di scelte artistiche che sembravano fatte più con l’istinto che con la testa. Eppure, anche nei ruoli minori, riusciva sempre a restare impresso. Perché Madsen era una di quelle presenze che non puoi ignorare. Una scheggia di cinema purissimo, pericoloso, romantico. A renderlo ancora più umano c’era la vita vera, quella che non si monta e non si recita. Lì dove si fanno figli, si sbaglia, si beve troppo, si piange senza telecamere. E oggi che la sua voce si è spenta per sempre, resta quel mix di fascino e autodistruzione che lo ha reso unico. Non era l’attore perfetto. Era Michael Madsen. E tanto basta.
Cinema
Charlize Theron snobbata da Bezos e Lauren Sanchez: “Loro fanno schifo, noi siamo a posto”
Charlize Theron ironizza sul mancato invito al matrimonio di Jeff Bezos e Lauren Sanchez e poi affonda il colpo: “Penso che siamo le uniche a non aver ricevuto un invito. Ma loro fanno schifo”. E forse, tra jet privati e pacchianerie, non esserci è stato un colpo di fortuna.

A Venezia, il matrimonio da favola tra Jeff Bezos e Lauren Sanchez ha attirato mezza Hollywood. Star, miliardari, influencer, politici, e una discreta dose di pacchianeria si sono riversati in Laguna per quello che molti hanno definito l’evento del secolo. Tutti presenti, o quasi. Perché tra i grandi esclusi – e parecchio risentiti – c’era Charlize Theron. E l’attrice premio Oscar non ha perso l’occasione per farlo notare al mondo intero.
Sabato scorso, durante l’annuale Block Party organizzato dalla sua fondazione benefica “Africa Outreach Project”, Charlize ha fatto una battuta che sapeva di rosicata, ma anche di velenosa ironia. «Penso che siamo le uniche persone a non aver ricevuto un invito», ha detto con un mezzo sorriso, ma il tono era tutt’altro che neutro.
Difficile non cogliere il disappunto sotto l’ironia. Perché essere esclusi dal party del miliardario più chiacchierato del globo e dalla sua ex giornalista diventata regina del jet set, fa notizia. Ma Charlize ha rincarato la dose, andando ben oltre la stoccata: «Ma va bene, perché loro fanno schifo e noi siamo a posto». Un colpo basso, certo, ma che strappa applausi in un’epoca in cui dire quello che si pensa – soprattutto se scomodo – è diventato rivoluzionario.
Il contesto, poi, era quanto mai significativo: non una première o un red carpet, ma un evento benefico dedicato alla salute e alla sicurezza dei giovani sudafricani. Una serata sobria e impegnata, lontana anni luce dai festeggiamenti barocchi messi in piedi dalla coppia Bezos-Sanchez.
E dire che gli invitati al matrimonio non mancavano di peso: Leonardo DiCaprio con Vittoria Ceretti, Tom Brady, Oprah Winfrey, Ivanka Trump e Jared Kushner, senza dimenticare il clan Kardashian al completo. Sembrava la versione terrestre del Met Gala con budget illimitato e gusto opinabile.
Nel tripudio di sfarzo, champagne e gondole, forse Charlize Theron ha avuto davvero poco da rimpiangere. Tra i gossip di laguna e l’aria da girarrosto veneziano, la sua assenza potrebbe essere stata una benedizione. E lei lo sa bene. Tanto che, tra una stilettata e un applauso solidale, ha ringraziato il pubblico presente: «Grazie per aver dedicato del tempo a partecipare, soprattutto quando il mondo sembra bruciare».
Charlize 1 – Feste pacchiane 0.
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